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giovedì 26 Gennaio, 2023

Val di Gresta, un maxi impianto per contrastare la siccità

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Il progetto di fattibilità prevede la realizzazione di un bacino principale a cielo aperto, con una capacità di 37.000 metri cubi e di due serbatoi di accumulo chiusi. Il costo è di 11 milioni di euro che saranno finanziati dal Pnrr

Progetto di fattibilità definito e trivellazioni per l’analisi del terreno iniziate: la Val di Gresta avrà il suo nuovo maxi-impianto d’accumulo e irrigazione. Un progetto importantissimo che tenta di colpire al cuore quello che, in tutta apparenza, sta diventando il problema più urgente della valle: la scarsità d’acqua. Basti pensare che solo nell’ultima estate la produzione agricola ha registrato un calo del 19% rispetto all’anno precedente (14.500 quintali di ortaggi prodotti contro i 17.900 del 2021); tutta colpa delle alte temperature e della siccità, che hanno colpito duro uno degli asset fondamentali della Val di Gresta, l’orto botanico del Trentino, e costretto il comune di Ronzo-Chienis a ricorrere a misure d’emergenza, come la razionalizzazione dell’acqua. Ora arriva la cavalleria: quattro punti di accumulo per migliorare l’approvvigionamento di acqua sfruttando le sorgenti limitrofe e garantirne la disponibilità per l’irrigazione, l’utilizzo potabile e quello antincendio. Un maxi-progetto da quasi 11 milioni di euro, interamente finanziato dal Pnrr e attuato dal Consorzio trentino di bonifica, referente per i cinque Consorzi di miglioramento fondiario della valle (Pannone, Ronzo-Chienis, Valle San Felice, Nomesino e Manzano) e per le amministrazioni di Mori e Ronzo-Chienis. Proprio quest’ultima, nel 2020, aveva chiesto e ottenuto l’ingresso nel Consorzio trentino di bonifica, rendendo di fatto possibile il progetto e dando il via alla collaborazione. «Abbiamo trovato una grande disponibilità nel collaborare insieme – sottolinea Luigi Stefani, presidente del Consorzio trentino di bonifica –. Si tratta di un grande gioco di squadra». Nello specifico, il progetto di fattibilità prevede la realizzazione di un bacino principale a cielo aperto, con una capacità di 37.000 metri cubi, posizionato a Santa Barbara, e di due serbatoi di accumulo chiusi: uno da 5.000 metri cubi poco sotto Passo Bordala e uno da 3.000 metri cubi sotto il campo sportivo di Ronzo. Per quanto riguarda quest’ultimo, nonostante la parte preponderante sarà comunque destinata all’irrigazione e all’utilizzo antincendio, ben 300 metri cubi saranno riservati all’utilizzo potabile: una scelta che mira ad aumentare la capacità di accumulo della rete idropotabile di Ronzo. Il progetto prevede, infine, anche un terzo serbatoio di accumulo più piccolo (140 metri cubi) nei pressi di Nomesino, dove è già presente una vasca da 10.000 metri cubi. Il volume complessivo di accumulo supererà quindi i 55.000 metri cubi – comprese le vasche già esistenti – e darà risposta alle necessità di circa 300 ettari. Nei prossimi giorni avrà inizio l’iter per ottenere i permessi dalla Provincia, dopodiché si accelererà: a marzo la gara d’appalto, a settembre l’aggiudicazione dei lavori, che dovranno essere conclusi entro il 2026. Come spiega ancora Stefani, il progetto «è stato fatto con grande attenzione, perché non si vuole intaccare il terreno agricolo, e ha una valenza importantissima, perché darà risposta allo sviluppo della valle a 360°: non solo nell’ottica dell’acqua potabile, ma anche dal punto di vista del turismo e dello sviluppo delle azioni connesse a un’attività agricola multifunzionale». La situazione estiva ha costituito un chiaro metro di paragone per capire quali siano le difficoltà di approvvigionamento idrico della zona. Proprio per questo, sottolinea Michele Bernabè, direttore del Consorzio trentino di bonifica, «Il finanziamento prevede anche la possibilità di realizzare dei collegamenti tra le infrastrutture in progetto e quelle esistenti, per garantire e migliorare la resilienza del sistema idrico e quindi aumentare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici e ai momenti di emergenza idrica, come quelli avvenuti quest’estate». L’obiettivo finale? Raccogliere l’acqua presente in quota e portarla in questi nuovi punti d’accumulo, con una particolare attenzione ai costi di gestione dell’impianto e alla minimizzazione degli sprechi di energia. In questo senso, acquista importanza anche l’inserimento di strumenti come i pannelli fotovoltaici, per coprire possibili pompaggi nei momenti di massima criticità – nonostante il progetto sia basato principalmente sulla pressione a caduta – e garantire una costante e sicura disponibilità d’acqua: «Tra le risposte che si vogliono dare con questo progetto – conclude Bernabè – c’è anche quella di fornire una scorta per la riserva antincendio, avendo a disposizione adeguati volumi per emergenze».