L'editoriale

lunedì 17 Aprile, 2023

Carriere dei docenti, tre questioni

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Il disegno di legge della giunta provinciale cerca di inserire per la prima volta una diversificazione nella progressione dei professori. Il tema è delicato: ecco alcuni condizioni da tenere in considerazione

Numerose ricerche internazionali indicano come, fra i diversi fattori che la scuola può mettere in gioco e che determinano il  successo scolastico, il principale sia sempre la qualità degli insegnanti. Uno dei motivi che rende poco attrattiva la prospettiva di lavorare nella scuola, e che quindi ne allontana molti talenti,  è la totale mancanza di carriera. L’appiattimento fra principianti ed anziani, ma soprattutto fra incapaci e bravi è un perenne elemento di frustrazione. Non solo chi continua a studiare, a prepararsi, a perfezionare le didattiche non è premiato, ma spesso vede colleghi che dedicano pochissime energie e cure al loro insegnamento che vengono gratificati da ruoli e incarichi  che il mancato investimento nella didattica permette loro di assumere.

Fino a oggi, a parte lentissime ed esigue progressioni stipendiali dovute all’anzianità, non esiste in Italia una carriera del docente in quanto tale. Al massimo l’insegnante può spostarsi su funzioni diverse, assumendo compiti organizzativi, o approdando alla dirigenza. Che però sono mestieri diversi rispetto all’insegnamento. La carriera di un calciatore non è diventare arbitro, ma un calciatore più bravo.

Ma chi decide che  un insegnante è bravo? E come?

Ci sono docenti che sono riconosciuti bravi da studenti e famiglie; docenti che sono decisamente più efficaci, comunicativi, chiari, profondi rispetto ad altri. Ma la soddisfazione dell’utenza non può essere il solo criterio di valutazione del docente: difatti la classe è un ambito caratterizzato da disparità cognitiva (lo studente spesso non ne sa abbastanza per giudicare la competenza o incompetenza del docente) e da disparità gerarchica ( la fascinazione di un docente amabile o compiacente può coprire carenze professionali, e viceversa un insegnante esigente può essere meno simpatico). Tentativi di utilizzare l’apprezzamento per una valutazione dell’insegnante sono stati fatti, ma, per quanto siano interessanti,  risultano non decisivi e a volte aleatori.

È necessario che il riconoscimento per la qualità dell’insegnamento sia realizzato con strumenti valutativi pertinenti ed oggettivi, e  che a questo riconoscimento si accompagni una carriera. Bisogna individuare quindi  un riconoscimento legato all’eccellenza, ma una ricaduta,  un beneficio per il sistema a partire da questo riconoscimento.

Negli anni Settanta le seppur deboli forme di valutazione e riconoscimento del “merito distinto” degli insegnanti vennero abolite. Tentativi di reintrodurre distinzioni di merito fra docenti sono state poi regolarmente affossate, o non implementate in riferimento all’istruzione, come la riforma Brunetta. Fra le ipotesi via via esaminate c’è stata quella del valore aggiunto: cioè la misura, attraverso prove oggettive, dell’incremento negli apprendimenti disciplinari negli alunni,  attribuibili a un docente. Se gli studenti  sono migliorati in test oggettivi riguardo al loro profilo in matematica, sarà merito dell’insegnante di matematica, e come tale andrà premiato. Il problema è che tale miglioramento può essere frutto di svariati fattori, scolastici ed extrascolatici, e comunque per lo più deriva da una sinergia di azioni da parte di più insegnanti, e degli stessi studenti. Magari è arrivato in classe uno studente bravo che condivide volentieri il suo sapere. Magari sono stati bocciati due che erano negati per la matematica e abbassavano la media. Magari il professore di matematica mediocre è supportato da un ottimo insegnante di fisica.  Inoltre una grande influenza sul risultato in termini di apprendimenti viene dal contesto iniziale degli studenti: quelli migliori non solo sanno di più, ma sanno imparare più efficaciemente. Non ha alcun senso premiare un docente perché gli sono capitati studenti migliori, semmai andrebbe incentivato chi si spende nelle scuole più difficili.

Insomma, il tentativo di derivare dalla valutazione degli studenti quella dei docenti, (o delle scuole) è irta di difficoltà. Invalsi funziona benissimo come strumento di valutazione del sistema, ma non è concepito per valutare gli insegnanti. Un tentativo di premialità indiretta fu introdotto con la riforma renziana: i dirigenti avrebbero avuto il potere di scegliere chi chiamare nella propria scuola. Ma una forte protesta e alcune grandi difficoltà insite in questo meccanismo lo bloccarono: non era chiaro con quale criterio e competenza un dirigente potesse scegliere docenti in discipline a lui sconosciute, e come garantire che elementi di familismo e corruzione non venissero alimentati dall’arbitrarietà della scelta.

Il Pnrr ha richiesto che si introducesse una carriera dei docenti: ma la risposta del governo è stata debole ed evasiva, limitandosi a qualche impegno di aggiornamento. Molte proposte tese a rafforzare le figure organizzative della scuola, il middle management, anche disegnandone una carriera, si sono levate in questi anni. Però la questione più rilevante è come migliorare il lavoro in classe e le didattiche,  che non si riducono ai miglioramenti metodologici e organizzativi, ma necessitano di una qualità dell’insegnamento in quanto tale, come conoscenza disciplinare, come capacità di divulgazione e di comunicazione dei saperi, come tessitura di dialogo ed empatia.

La ormai lunga gestazione di una proposta di carriera dei docenti formulata da una commissione di esperti nominata dalla Giunta trentina è approdata alla presentazione ufficiale di un disegno di legge.  Ci sarà una successione di tre passaggi selettivi, con un numero di posti che andrà restringendosi: docente esperto, docente ricercatore, docente delegato all’organizzazione (quest’ultima su nomina triennale del dirigente scolastico). Quindi si va nella direzione di un middle management di carriera, anche propedeutico al passaggio a dirigente.

Io vedo tre questioni molto spinose:

1) i criteri e le modalità della selezione sono demandati ad un regolamento successivo, ma il nodo della questione è quasi tutta lì: come selezionare un bravo docente? Nel testo si cita: processo di crescita professionale, formazione acquisita, bilancio delle competenze, grado di apprezzamento dell’operato da parte di studenti e colleghi. Elementi che sono vaghi e parzialmente rilevanti, ma non decisivi se non sostanziati in precisi processi di valutazione. Se si tratta di accumulare attestati, aggiornamenti, incarichi, autovalutazioni non ci siamo. Se è fare un esame serio sulla disciplina che insegni, dimostrando le tue conoscenze, le tue capacità didattiche, la tua gestione delle relazioni in classe (verificate in azione) allora la selezione serve.

2) Un’unica carriera verso i ruoli organizzativo-gestionali parte dal presupposto che un buon insegnante non è quello che insegna meglio, ma quello che sa occuparsi di compiti manageriali. Non è così: un grande insegnante di matematica può non essere capace di organizzare le gite o la sicurezza, e un ottimo organizzatore di gite e sicurezza può essere un pessimo docente di matematica. Bisogna diversificare l’eccellenza didattica dalla assunzione di compiti di management. Paradossalmente, bisognerebbe dedurre da una tale logica che i dirigenti siano i migliori fra gli insegnanti: vi posso assicurare che, se non incidentalmente, non lo sono, o almeno: non sono selezionati per esserlo.

3) Solo i docenti che passano la selezione per esperti potranno candidarsi a ricercatori. E quelli che passano la selezione per esperti o ricercatori possono essere nominati in quei ruoli che oggi sono dei collaboratori dei dirigenti. Quindi i dirigenti avranno scarse possibilità di scelta per i loro collaboratori, ed essendo la carica fiduciaria, e le responsabilità tutte del dirigente, rischiano di veder aumentate le loro  difficoltà.

Due condizioni mi paiono dirimenti per la riuscita del progetto: che si tratti di un concorso teorico e pratico, tenuto da esperti della materia esterni, connotato fortemente sul piano disciplinare, (e non centrato su mode metodologiche di breve respiro),  che porti i vincitori ad una progressione permanente. E che a chi è promosso siano affidati ruoli di tutor, aggiornamenti, rapporti con l’università, ricerca didattica a beneficio del sistema scolastico ( e non viceversa).

La terzietà e oggettività del concorso deve essere particolarmente reale e visibile: meglio nessuna carriera che la percezione di carriere improprie.