L'intervista

domenica 23 Novembre, 2025

Ezio Zermiani e il premio a Valda dove visse da sfollato: «Baratterei l’intervista a Senna con quella a Woytjla»

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Il rammarico per quella chiacchierata esclusiva con il Papa polacco che, per errore, nessuno registrò

Papa Woytjla e Napoleone, la Marmolada e Waterloo. C’è tutto questo nella vita da cronista di giudiziaria e di sport, di Ezio Zermiani (1941) il giornalista che a due anni fu sfollato con la mamma Velia a Valda, villaggio dell’alta val di Cembra. Che oggi lo festeggia come l’esule recuperato o, se volete, il personaggio che torna bambino. Per un giorno. E che vive di ricordi, nella sua abitazione di Bolzano, assieme alla moglie, Rosy, una santa donna che lo ha sempre aspettato. Per una vita, accanto al telefono (lei lavorava ai «telefoni di Stato»).

A proposito di santi: papa Woytjla e l’intervista, uno scoop straordinario finito in un flop.
«Domenica 26 agosto 1979 sulla Marmolada c’era un tempo da lupi. Benché fosse estate, nevicava come a dicembre. Sfidando la bufera, il papa “venuto di lontano” vi era salito per ricordare il suo predecessore, Albino Luciani, Giovanni Paolo I, da Canale d’Agordo, morto un anno prima dopo appena 33 giorni di pontificato».
Ezio Zermiani, quel giorno inviato sulla Marmolada per conto del GR1 Rai.
«Finita la messa, in quel turbinio di neve e di ghiaccio, Karol Woytjla si era ritirato nei locali della stazione. Non avevo con me il “Nagra”, il pesante registratore a nastro. Solo un microfono a filo, collegato con un trasmettitore che era stato piazzato, assieme al tecnico della Rai, sopra la stazione della funivia».
E lì, alla stazione a monte c’era un brigadiere della polizia di Stato, vecchia conoscenza del «giro» di nera a Bolzano.
«Mettiti lì, in un angolo della stazione, mi aveva detto, e cerca di non farti vedere dagli altri colleghi. Erano da poco passate le 13. Avevo già effettuato il collegamento con Roma: un minuto e mezzo di cronaca. Il Giornale Radio era ancora in corso quando, da una porta laterale, vidi sbucare il Papa. La porta si chiuse alle sue spalle. Io e lui ci trovammo da soli nello stanzone. Karol Woytjla stringeva in mano un paio di sci bianchi, che gli erano stati donati poco prima dai maestri di sci della Marmolada».
Un’occasione ghiotta, l’intervista di una vita.
«Feci cenno al tecnico, appollaiato sotto il tetto della stazione, di chiedere la linea a Roma. “Santità, peccato per il brutto tempo”, dissi tanto per rompere il ghiaccio. Sorrise. Mi confidò che la neve dalle sue parti faceva parte del panorama per molti mesi l’anno. Parlammo di papa Luciani, della sua morte improvvisa che lo aveva molto impressionato…»
E intanto a Roma…
«Quando il tecnico, trafelato, aveva chiamato la regia del GR1 e aveva detto di ridarmi la linea poiché avevo il Papa in diretta, Mirella Lentini, che conduceva quell’edizione, aveva risposto nell’interfono: “E io ho in linea Napoleone Bonaparte”».
Convinto che qualcuno, a Roma, registrasse in bassa frequenza quell’intervista, Zermiani continuò a parlare con Giovanni Paolo II mentre, fuori, gli altri inviati facevano segni al poliziotto di aprire la porta. Inutilmente.
«Parlammo della Polonia, della sua vita, della sua sorprendente elezione a Papa. Non sapevo più che cosa chiedere. Azzardai: “Santità, ma se a causa della bufera si fosse costretti a scendere con gli sci, lei che farebbe?” Sorrise: “Scenderei assieme ai maestri di sci e, credo, non arriverei nemmeno ultimo”».
Con quell’intervista, Zermiani sarebbe arrivato primo, se…
«Avrei rinunciato a tutti gli scoop o presunti tali, alle interviste ad Agnelli, a Schumacher, a Niki Lauda, che non le rilasciava a nessun giornalista italiano tranne a me perché, diceva, ero sudtirolese; a Senna e tanti altri… avrei rinunciato davvero per il lungo colloquio, avuto ma non trasmesso, con Karol Woytjla».
Che c’era, l’aveva dentro il microfono. Ma nessuno l’aveva nemmeno registrato. Un’intervista nella bufera, scritta sull’acqua. Invece, anni dopo, sempre per il Gr1 diede la notizia che Gheddafi si era comprata la Fiat.
«Era il 1° dicembre 1976. Lavoravo alla Rai di Milano. Un amico che bazzicava in Borsa mi aveva anticipato: “Oggi annunciano l’entrata di Gheddafi nella Fiat”. Chiamai Sergio Zavoli, direttore del Gr1. “Sei sicuro” mi domandò? Mi fidavo della fonte ma… La sua risposta: “Se non hai dubbi spara la notizia. Se è vera avrai una medaglia di cartone. Se è una bufala noi non ci siamo mai sentiti».
Il GR1 delle 13 la diede nel primo titolo. E la medaglia?
«Zavoli non mi ha mai chiamato. Neanche per dirmi grazie».
Almeno non è stato mandato al quel paese, come accadde anni dopo sui circuiti della formula Uno.
«Accadde con Riccardo Patrese. Ma il giorno dopo mi domandò scusa. Lo aveva costretto sua moglie perché ci si conosceva tutti nell’ambiente. Molti erano amici. Anche i tecnici delle scuderie. Tra una trasferta e l’altra, da un circuito all’altro, in giro per il mondo, ci si frequentava, c’era confidenza».
L’approdo alla postazione di telecronista sui circuiti della Formula Uno aveva radici lontane.
«Sono diventato giornalista nel 1975, dopo una gavetta fatta di collaborazioni ai programmi radio: “Dal Garda alle Dolomiti” (col Checco dela Portèla), a “microfono in piazza”. Quando Gianni Faustini mi fece assumere alla redazione di Bolzano della Rai, fui destinato alla cronaca giudiziaria».
Dal delitto nella canonica di S. Gertrude, in Val d’Ultimo (6-7 novembre 1973), ai due quintali di eroina scoperti al Karinhall di Mattarello (16 dicembre 1980).
«Ne seguii gli sviluppi fino a un certo punto, anche se Piero Agostini, che era il caporedattore, mi aveva dato carta bianca. C’erano in giro brutte facce, minacce larvate… In Rai mi fu consigliato di cambiare aria e approdai a Milano».
Dalla redazione cronaca di Milano alla «Domenica sportiva» che era al piano di sopra, nella sede di Corso Sempione, il passo fu un lampo.
«Avevo un amico, taxista a Bolzano, che era tifoso sfegatato dell’Inter. Pur di vedere da vicino le partite della sua squadra del cuore mi portava in giro gratis. Un giorno Tito Stagno, capo dello sport, preoccupato, mi affrontò: “Non è che poi metti in conto alla Rai le trasferte in taxi da Bolzano a Milano e nel resto d’Italia”?»
Chissà se Tito Stagno sapeva della Porsche. La vulgata dei colleghi invidiosi diceva fosse stata vinta da Zermiani a poker. Sfilata sotto il naso a Sandro Ciotti, appassionato del brivido al tavolo da gioco e non solo, dopo una nottata storta in quel di Bressanone.
«No, non l’ho mai vinta. Ma è vero che l’ho comprata a prezzo stracciato da uno che l’aveva vinta a poker».
Non è consentito chiederne il prezzo, no?
«È come per le belle donne, gli anni non si dicono».
Costretto» ad andare in pensione nel 2006 – allora la mannaia scattava a 65 anni, oggi il boia può attendere fino ai 67 – poi che cosa ha fatto?
«Dal 2007 al 2009 sono stato direttore dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari a Imola. Ho collaborato con varie testate, adesso faccio il pensionato a tempo pieno».

Vent’anni dopo quel faticoso abbandono, Zermiani Ezio di Gino e Velia, sfollato a Valda, ingegnere mancato (è stato compagno di università di Reinhold Messner) cronista non per caso, è chiamato a rivangare il passato nella valle dove la vanga e la gerla segnano la fatica e il riscatto. Convocato in val di Cembra dal suo amico Antonio Gottardi e dalle scuderie Ferrari Club di Cembra-Lisignago e della Vallarsa. Ma per favore, non rammentategli Napoleone.