l'intervista
lunedì 6 Ottobre, 2025
Aldo Cazzullo: «San Francesco, abbiamo dimenticato il suo insegnamento. Bergoglio? Rivoluzionario e illuso»
di Alberto Folgheraiter
Il vicedirettore del «Corriere della Sera» ha dedicato un libro al Santo: «Ha molti punti in comune con il Buddha. Entrambi hanno rinunciato alla ricchezza, hanno rotto con il padre, si sono spogliati nudi»
Aldo Cazzullo (1966), giornalista dal 1990: 15 anni a «La Stampa» di Torino, oggi vicedirettore del «Corriere della Sera». Volto televisivo (conduce «Una giornata particolare» su La7) è uno scrittore molto noto (30 titoli tra cui «Il Dio dei nostri Padri», con 400 mila copie vendute in Italia nel 2024, «Quando eravamo i padroni del mondo», oltre 300 mila copie, sull’impero romano). Sarà a Trento venerdì 10 ottobre, ore 18.30, nella sede della Sosat, in via Malpaga, per presentare l’ultimo libro «Francesco, il primo italiano» (HarperCollins ed.)
Cazzullo, quando si è imbattuto in San Francesco?
«Fin da bambino. Mi ha sempre affascinato la figura di questo ribelle. Ho sempre frequentato, fin da ragazzo, i frati di Assisi. Essendomi occupato nei miei libri dell’identità italiana penso che Francesco sia costitutivo di questa identità».
Perché?
«Perché ha scritto la prima poesia in italiano, ha inventato il presepe, ha reinventato la pittura, il teatro… e anche perché è il precursore dell’umanesimo. Ovvero: ogni uomo è al centro dell’Universo e davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali».
Francesco, giullare di Dio, si è spogliato di tutto. Per dare che cosa al mondo?
«Sé stesso. E soprattutto per dire che siamo tutti connessi, l’uno all’altro. Che tutte le creature si appartengono. L’uomo che ama e custodisce il Creato. Una figura straordinaria. Tanto più che adesso tutti parlano di Francesco ma è abbastanza negletto».
Ignorato perché?
«Francesco oggi è negletto perché era uomo di pace e oggi facciamo la guerra; perché ci ha insegnato ad amare tutte le creature e noi stiamo distruggendo la Creazione. Perché ci ha insegnato a rispettare la dignità di ogni uomo e di ogni donna e noi la dignità umana, a volte, la stiamo calpestando. Per questo, a 800 anni dalla morte sarebbe il caso di riscoprirlo».
Nato nel 1181 o 1182 e morto nel 1226, fu considerato un pazzo, una provocazione vivente. Lei ne racconta la storia con frequenti rimandi all’attualità. A questo nostro tempo senza umanesimo.
«Penso sia molto attuale. E c’è una continuità. Per esempio i Terziari francescani, laici appartenenti al suo ordine, sono stati Giotto, Dante, Petrarca, Boccaccio, fino a Manzoni, fino a Degasperi, passando per don Bosco il fondatore dei Salesiani… Oggi è il protettore degli Scout, in particolare dei Lupetti. Santa Chiara delle Coccinelle».
Dunque, mutuando Benedetto Croce, gli italiani non possono non dirsi «terziari francescani».
«In qualche modo sì. Tutti quelli che hanno fatto qualcosa di buono sono stati ispirati da S. Francesco».
Come lei sostiene «in tutto quello che facciamo c’è San Francesco».
«Poi non gli diamo tanta retta, ma c’è, eccome».
Nel suo libro, parte da Siddharta (il Budda degli orientali), passa da Gesù Cristo, approda a S. Francesco e ai santi del suo ordine. Tra questi S. Antonio da Lisbona, morto a Padova. Sottolinea: un uomo come Francesco nasce ogni mille anni. Ne avremo un altro tra due secoli?
«Temo di no, perché rischiamo di mandarla in aria questa Creazione che lui amava. Con Buddha, Francesco ha molti punti in comune. Erano entrambi ricchi; entrambi hanno rinunciato alla ricchezza, hanno rotto con il padre, si sono spogliati nudi… Entrambi hanno capito che la via della Verità passava attraverso la via di mezzo: gli agi della giovinezza e la mortificazione. Buddha non è arrivato a chiamare la morte “sorella”. Anche in questo Francesco fu rivoluzionario».
Citiamo dal suo volume: «Matteo, Marco, Luca, Giovanni hanno scritto il Vangelo; Francesco l’ha portato nella storia». Oggi la cronaca lo sta buttando nella discarica dell’umanità?
«Viviamo un tempo molto difficile però la Chiesa è ancora un punto di riferimento. Abbiamo avuto in questo secolo un papa chiamato Francesco. Adesso abbiamo un papa che ha scelto il nome Leone, ovvero il nome del miglior amico di Francesco. Non disperiamo».
Cinque francescani sono diventati papi, un sesto (Pizzaballa) era dato tra i papabili nell’ultimo conclave. È toccato a un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, prendere il nome di Francesco. Un rivoluzionario come il poverello d’Assisi o un illuso?
«Entrambe le cose. In fondo anche San Francesco era un po’ un illuso. A ben vedere non è che Francesco sia sempre un vincitore: deve cedere la guida dell’Ordine… Non voleva neanche fondare un Ordine religioso, lui voleva fondare una fraternità, una comunità di uguali secondo il Vangelo. S. Francesco non esce di scena da vincitore».
Eppure la sua impronta resiste da otto secoli.
«Perché era un grandissimo. Io non so che cosa resterà di papa Francesco. Io credo che sia stato un grande papa. Personalmente l’ho amato molto. C’ero quando disse: “Quanto vorrei una Chiesa povera per i poveri”, e mi sono commosso. È stato osteggiato in una maniera… Non ho mai visto un papa osteggiato così all’interno della Chiesa».
Forse perché Francesco papa ha terremotato la Chiesa. Se ne è andato prima di portare a compimento il suo disegno di riformare la Curia e con essa il governo di una istituzione millenaria. È stato dimenticato?
«Forse Francesco è piaciuto più fuori che dentro la Chiesa. Più ai non credenti che ai cattolici tradizionalisti. Penso che papa Leone si stia muovendo nel suo solco. Di sicuro è un uomo più legato alla tradizione. Però è un papa nato a Chicago, uno dei luoghi più ricchi del mondo ed è finito a fare il missionario a Chiclayo, periferia del Perù, tra i poveri. Ci sarà continuità con Francesco pur con le differenze di ogni papato».
Torniamo al suo racconto di 264 pagine su «Francesco, il primo italiano». Gli italiani concordano?
«Credo che gli italiani siano molto legati a San Francesco. Io dico che è il primo italiano perché fu il primo a scrivere una poesia in italiano, il Cantico delle creature…».
Il governo di Giorgia Meloni ha deciso che dal prossimo anno, 800 anni dalla morte di San Francesco d’Assisi, il 4 ottobre, tornerà a essere festa nazionale. Era stata declassata a festività civile nel 1977 per motivi di bilancio dello Stato. È una captatio benevolentiae della destra di governo al mondo cattolico combattuto tra spiritualità e secolarizzazione?
«Credo sia semplicemente una buona idea. È partita dalla destra ma è stata accettata anche dalla sinistra. Ogni nazione ha un santo fondatore: gli inglesi hanno S. Giorgio che uccise il drago, un santo guerriero; i francesi hanno santa Giovanna d’Arco, santa guerriera; gli spagnoli hanno “Santiago Matamoros”, S. Giacomo che fa strage di infedeli. Noi abbiamo Francesco, un uomo di pace. Teniamocelo ben stretto».
Oggi sono 60 mila, nel mondo, i Francescani, i Cappuccini e le suore Clarisse che si richiamano a S. Francesco. Nel suo libro scrive che ogni volta che ne ha incontrato qualcuno è sempre stato accolto dal sorriso. In TV lei sorride sempre. È stato contagiato?
«A volte non sorrido affatto, però Francesco era sempre sorridente. Lo scrive proprio nella Regola: “I fratelli devono essere felici.” Soprattutto quando si trovano con gente tenuta in poco conto: i poveri, i lebbrosi, i mendicanti della via».
Perché uno scrittore affermato come lei si è incanalato su temi di tipo religioso: dal «Dio dei nostri Padri» a «Francesco il primo italiano»? Titoli che paiono distanti dal comune sentire di oggi.
«I miei libri sono dedicati all’identità italiana: ho scritto sul Risorgimento, sulla prima Guerra mondiale, su Mussolini, sulla Resistenza, sulla ricostruzione… Poi sono andato indietro: Dante, i Romani, la Bibbia e, dovendo parlare dell’identità italiana, San Francesco non poteva mancare».
Il prossimo libro?
«Sto scrivendo, ma adesso devo concentrarmi su San Francesco».
Aldo Cazzullo dove trova il tempo per fare tutto ciò che vien fuori?
«Faccio sempre la stessa cosa: racconto delle storie. Lo faccio sul giornale, coi libri, in televisione e anche a teatro. È il mio mestiere e cerco di farlo coi mezzi che mi sono consentiti».
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