Il caso

domenica 18 Dicembre, 2022

Un parroco per tutta la val di Sole

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A causa della malattia di due sacerdoti è rimasto un unico prete. Don Pellegrini: «Necessario coinvolgere i laici e discutere delle donne-prete»

In Val di Sole il problema dell’assenza di parroci sta diventando preoccupante. L’assenza di nuove vocazioni, combinata a una serie di sfortunati eventi, ha portato le 29 parrocchie a una situazione senza precedenti, con un solo parroco attivo, costretto a fare l’impossibile per garantire un conforto ai fedeli: don Renato Pellegrini. Una speranza potrebbe arrivare da don Renzo Caserotti, che dall’anno scorso deve fare i conti con una malattia che l’ha tenuto lontano dalle sue parrocchie (da Malè a Commezzadura), ma che potrebbe tornare a dire messa in tempo per Natale. La notizia è ancora ufficiosa, ma si spera diventi presto ufficiale. Soprattutto dopo l’annuncio di don Enrico Pret: anche lui dovrà prendersi una pausa per motivi di salute. Con una lettera indirizzata alle sue comunità, don Enrico ha detto di dover affrontare una terapia per combattere una malattia al sangue: una pausa forzata che durerà tra i quattro e i sei mesi. Mesi in cui, almeno che il rientro di don Renzo non venga confermato, le messe festive nelle comunità coinvolte (tutta la Val di Pejo, Vermiglio e l’Alta Val di Sole a monte di Mezzana) verranno officiate dal vicario del vescovo don Claudio Ferrari e da altri preti che saliranno in Valle da Trento e dalla Val di Non.
«Non credo che ci siano soluzioni facilmente attuabili per fare fronte a questa situazione – ci dice don Renato, guida da diversi anni delle comunità della Val di Rabbi e di tutte quelle a valle di Terzolas –. Siamo di fronte a una situazione senza precedenti, in cui riusciamo a dare risposta solamente grazie alla presenza di qualche parroco in pensione, dei cappuccini di Terzolas o di aiuti che vengono da fuori Valle. La gestione delle messe festive è sempre più complessa: abbiamo previsto delle rotazioni con parrocchie che hanno la messa una o due volte al mese, ma a volte non basta e all’insorgere di qualche piccolo contrattempo la situazione si complica ulteriormente. Io riesco ad occuparmi di quattro messe al weekend, ma quando arrivano festività come Natale o Pasqua diventa impossibile essere ovunque. Per non parlare dei funerali: con un territorio così vasto ci sono settimane in cui devo officiare quattro o cinque cerimonie funebri, che ovviamente richiedono anche una presenza in termini di sostegno morale alle famiglie. Non basta aprire una chiesa per essere parroci, ma bisogna essere presenti e saper essere di conforto». Per fare fronte a una situazione tanto complessa l’unica via da seguire secondo don Renato è quella della responsabilizzazione dei laici, che dovranno avere un ruolo fondamentale per provare a garantire un senso di comunità alle parrocchie. «La situazione in futuro non farà che peggiorare, siamo di fronte a una crisi vocazionale senza precedenti che impone una seria riflessione nei centri nevralgici della cristianità. Per anni la figura del parroco ha esautorato quella del laico, ma dobbiamo ricordarci che Gesù Cristo non ha fondato nessun sacerdozio ma solo dei ministeri: si era semplicemente circondato di persone che avevano la capacità di mettersi a servizio degli altri e della comunità. Nella catechesi questo già succede, ma in futuro dovrà accadere sempre di più, anche per la lettura del Vangelo o per momenti di preghiera. C’è poi il grande tema del ruolo della donna-prete: ormai da anni dal Nord Europa arriva questa richiesta, ma a Roma non si ha il coraggio di capire se sia realmente percorribile».