il ricordo
mercoledì 28 Dicembre, 2022
di Gilberto Bonani
Tredici anni fa quattro soccorritori del Soccorso Alpino morivano sotto una valanga mentre cercavano due escursionisti scomparsi in Val Lasties. Una tragedia che ha segnato la comunità fassana, una ferita che non riesce a rimarginare anche a distanza di tempo. Luca Prinoth, Alessandro Dantone, Erwin Riz e Diego Perathoner rimangono inchiodati nella memoria collettiva. Quella sera, tetra e carica di nuvole nere, non si cancella nella mente di Gino Comelli, allora capo stazione del Soccorso Alpino Alta Fassa, che ha vissuto in prima persona quel frangente.
Comelli, dove ha trovato la forza di continuare l’impegno come soccorritore?
«Ogni persona trova dentro di sé le motivazioni che lo spingono ad aiutare il prossimo. Sicuramente qui in valle c’è una tradizione consolidata, direi di famiglia. I giovani respirano già in casa i valori del servizio alla comunità. Un esempio è Igor, il figlio di Alex Dantone. Al tempo della morte del papà, il ragazzo era minorenne ma appena ha compiuto i 18 anni ha chiesto di entrare nel Soccorso. In questo caso non ho seguito la prassi. A decidere non è stato il capo stazione ma la mamma. Ora Igor porta avanti l’impegno del papà ed è già vice capo del gruppo. Da parte mia posso dire che nonostante i lutti che ho vissuto nella lunga esperienza di soccorritore, mantengo la passione per la montagna e so quanto sia importante avere qualcuno che ti aiuti quando sei in difficoltà».
Il gruppo Alta Valle ha avuto delle defezioni dopo l’incidente?
«Affatto. In un primo momento pensavamo che la morte di quattro soccorritori sarebbe stato un buco nero capace di mettere in crisi un gruppo affiatato. Invece non solo non abbiamo avuto rinunce ma molti giovani hanno chiesto di entrare a far parte del Soccorso Alpino Alta Fassa».
L’incidente della Val Lasties ha cambiato l’approccio dei soccorritori?
«Prima di tutto ha cambiato la mentalità. Dopo quella disgrazia abbiamo compreso, purtroppo a caro prezzo, che si parte per un soccorso ma è possibile non tornare. Oggi la tecnologia può dare un grande contributo per salvare le vite delle persone in difficoltà ma anche di coloro che soccorrono. Un esempio è la complessa operazione eseguita in Marmolada questa estate dopo il distacco di parte della calotta sommitale. Sono stati adottati protocolli molto stringenti per assicurare l’incolumità dei volontari e sul campo operavano strumenti come il radar.
Quell’evento di tredici anni fa ha cambiato l’approccio alla montagna dei tanti appassionati?
«Purtroppo no. Osserviamo continuamente, e direi ancora di più, un avvicinamento alla montagna non adeguato. Dopo la pandemia, molte persone hanno scoperto l’ambiente montano ma lo percorrono senza una adeguata preparazione. Lo testimonia l’elevato numero di interventi che portiamo a termine in un anno. Solo in Alta Valle di Fassa contiamo circa 160 soccorsi».
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