Il caso

venerdì 7 Novembre, 2025

«Ragazze spogliate dall’intelligenza artificiale»: allarme nelle scuole trentine

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La dirigente Chiara Ghetta: «Quattro studentesse hanno scoperto le loro foto modificate con l’AI». Cresce il disagio giovanile: «Il divieto dello smartphone servirebbe più agli adulti che ai ragazzi»

«AI undress». Spogliare – fino anche a denudare – le persone ritratte nelle foto attraverso l’intelligenza artificiale (AI, acronimo in inglese). Una pratica che si sta diffondendo sempre di più. Nelle ultime settimane è stata scoperta una piattaforma che diffondeva immagini di nudo di vip italiane generate dall’AI. Ma il fenomeno non riguarda solo i personaggi famosi, interessa anche persone comuni, spesso donne, anche giovanissime. «Proprio ieri abbiamo avuto un caso di questo tipo nella nostra scuola», dice Chiara Ghetta, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Trento 6 (scuole elementari di Sardagna, Cristo Re, Vela, Bellesini, Sopramonte, Cadine e scuola media Manzoni), che riflette sulla proposta dello psicoterapeuta Alberto Pellai per prevenire il disagio giovanile: vietare l’uso del cellulare a scuola e ritardare il più possibile il primo telefono (il T di ieri). In Trentino sono oltre 3.500 i ragazzi e le ragazze dai 14 ai 24 anni presi in carico dai servizi sanitari per disturbi d’ansia, alimentari, depressivi e altre patologie. Il malessere giovanile sarà anche uno dei temi al centro dell’incontro di oggi al Vigilianum (alle 18) con lo scrittore Eraldo Affinati, in dialogo con il direttore di Vita Trentina Diego Andreatta e proprio Ghetta.
Dirigente, è d’accordo sul divieto dello smartphone a scuola?
«Il divieto potrebbe ridurre la distraibilità dello studente, quindi potrei essere anche d’accordo. Ma il divieto è limitante rispetto a ciò che il cellulare significa per lo studente. Lasciarlo fuori da scuola non significa lasciare fuori le emozioni che passano attraverso il cellulare. L’ansia, la rabbia e tutte le altre emozioni che passano per il cellulare non vengono mica archiviate prima di entrare a scuola. Il divieto sarebbe piuttosto una provocazione per sollecitare una maggiore attenzione da parte degli adulti. Molto spesso è la scuola che, per prima, viene a conoscenza di ciò che accade nello spazio virtuale. Proprio ieri quattro ragazze mi hanno raccontato che alcune loro foto sono state riviste attraverso l’AI».
Cosa è avvenuto?
«Sono stati trasformati i volti delle studentesse in sticker (una sorta di adesivi virtuali spesso utilizzati con ironia, ndr) e sono state modificate alcune loro foto mettendole in bikini. Queste ragazze sono venute da me lamentando questo tipo di utilizzo delle loro foto, per il quale si sono sentite anche violate. Un utilizzo che non è avulso da ciò che si sente negli ultimi tempi sui mezzi di comunicazione e tra gli adulti. Alle ragazze ho chiesto se ne avessero parlato con i genitori, la risposta è stata “no”. Solo una di loro lo aveva fatto… Noi abbiamo parlato con il ragazzo e abbiamo chiesto che siano informate le famiglie. La situazione è complessa: non c’è una vittima e un colpevole, c’è stata una forma di reciprocità. Ma questo caso è emblematico. Il tutto è accaduto fuori da scuola. Per questo motivo il divieto dell’uso del cellulare a scuola, in realtà, sarebbe più utile per gli adulti – dai genitori agli educatori – per responsabilizzarli rispetto alla gestione dello strumento da parte dei nostri ragazzi. Come scuola, dunque, viviamo quotidianamente gli aspetti descritti dal professor Pellai, quando parla della fragilità emotiva degli studenti e delle aspettative elevate degli adulti, che vanno quasi ad amplificare questa fatica emotiva».
Riscontrate un incremento di questa «fatica»?
«Sicuramente riscontriamo degli atteggiamenti e delle criticità che si manifestano in maniera sempre più precoce. È un dato di fatto, rispetto al quale la scuola si sta interrogando. Queste fatiche non sono regressioni del genere umano, ma hanno una radice sociale e culturale. Inoltre, in aggiunta all’abbassamento dell’età, riscontriamo anche un numero più elevato di casi. Per la scuola è cruciale mantenere un dialogo aperto con gli studenti per quanto riguarda la gestione della parte emotiva: è la chiave per facilitare il processo di insegnamento e apprendimento».
Pellai ha associato il disagio giovanile alla realtà virtuale, è effettivamente così?
«Condivido certamente questa lettura. Lo spazio virtuale è vissuto in maniera individuale: il contatto con gli altri – un contatto che pesa, si pensi alla questione dei like – è vissuto da soli, senza riscontri reali. L’individuo è la misura di tutto. La relazione reale, invece, ti permette di acquisire quelle capacità di mediazione rispetto alle regole del gioco e rispetto alla comunicazione. E non è indifferente crescere senza questo esercizio di mediazione, o comunque in forma ridotta. Ecco allora che la scuola, uno spazio a cui accedono tutti, diventa ancora più importante perché ti permette di imparare insieme ed esercitare quelle capacità relazionali».