la doppia intervista
martedì 5 Novembre, 2024
di Sara Alouani
«Senza violenza, insieme controcorrente»: è questo il titolo del tavolo delle appartenenze religiose che si terrà questa sera alle 18 nella Sala Parrocchiale di via Solteri. Un incontro che vuole celebrare i 23 anni della riflessione comune tra le fedi del Trentino – la realtà è stata costituita il 28 ottobre 2001 ma le attività e la frequentazione sono cominciate nel 1996 – per creare un dibattito sulla necessità di promuovere la cultura della non violenza in una società narcisista, dilaniata da guerre e egoismi. Al tavolo – la cui relazione odierna è stata affidata al direttore de «il T» Simone Casalini – parteciperanno gli esponenti locali della fede cristiano cattolica, ortodossa, avventista del settimo giorno, islamica, buddhista e bahai. Non saranno presenti, invece, i rappresentati della comunità ebraica e luterana che, dal 7 ottobre 2023, hanno preferito autosospendersi dal ragionamento interreligioso. Dalla progressiva laicizzazione, all’individualismo dilagante passando per l’assenza di empatia tra persone, don Cristiano Bettega e Abulkheir Breigheche, portavoce delle prime due comunità religiose della regione, tracciano la fotografia della società contemporanea che mai, come oggi, ha bisogno di ritrovare la spiritualità perduta.
Tra guerre e casi di cronaca pare che la violenza non abbia mai una fine. Il tavolo di oggi si chiama «senza violenza». È un concetto utopico?
Bettega: «Purtroppo siamo circondati dalla violenza, che siano guerre o violenza domestica essa crea un danno alle persone, alla società ma soprattutto chi cede alla violenza fa male a se stesso. L’unica alternativa è la non violenza che deve essere concretizzata attraverso dei segnali di volontà da parte nostra. Ad esempio, non reagire quando vengo provocato, cercare di ripulire il mio linguaggio non solo dalle offese o dalle parolacce ma anche da allusioni alla guerra. Molti diranno che è un’illusione ma noi dobbiamo cercare di insistere in quest’ottica».
Breigheche: «L’essere umano è per natura tentato di usare la violenza anche se la stragrande maggioranza delle persone desidera e cerca la pace. Viviamo in una situazione drammatica che ci invita in maniera forte a intensificare il lavoro per la pace attraverso iniziative su tutti i livelli. Riporto un detto del nostro Profeta: “Quando vedete una situazione negativa, cercate di cambiarla utilizzando tutti i modi possibili, attraverso la mano o con la parola, ma sempre utilizzando le buone maniere”. E il tavolo di oggi ne è una prova».
Sono stati molti gli esempi di non violenza anche nell’ultimo anno: dalle manifestazioni contro la guerra alle fiaccolate contro i femminicidi…
Bettega: «Se è vero che l’uomo è di natura violento, nella storia dell’umanità ci sono bellissimi esempi di non violenza da Gandhi in avanti. Le manifestazioni che vediamo non credo siano solo politiche ma credo che siano una manifestazione del sentire dell’umanità. Il discorso è sempre quello, chi provoca la guerra non è mai la gente. Il popolo, semmai, viene aizzato dai signori della guerra».
Breigheche: «Come dicevo poco fa, proprio perché la tendenza a commettere atti violenti esiste a vari livelli, abbiamo il dovere di insistere e fare tutto il possibile per contrastarla. E le religioni in questo caso devono stare in prima linea».
Nell’omelia di Ognissanti, il vescovo Tisi ha dichiarato che stiamo andando verso una progressiva laicizzazione della società. Che ne pensate?
Bettega: «È drammaticamente vero. Sul mio fronte – ecco, fronte è una parola che fa riferimento alla guerra e dovremmo evitare di usarla (ride ndr) – me ne accorgo. Anche tra i credenti si trovano persone che le domeniche vanno in chiesa ma fuori da lì, paradossalmente, assumono un atteggiamento restio nei confronti degli immigrati e non sopportano chi ha altri usi e costumi. Anche questi sono segni di laicizzazione e di individualismo che significano “mi interesso di me stesso”».
Breigheche: «È una realtà che non si può negare. Il contrasto fra l’intelletto e la religione è un’esperienza che fa parte dell’essere umano. Un’esperienza che però sta dimostrando proprio il fallimento del solo sforzo umano e molti si stanno convincendo di quanto sia fondamentale un ritorno alla religione, indipendentemente da quale fede sia. Questo momento sta riguardando in modo particolare i giovani. Abbiamo davvero bisogno di ritornare a collegarci con un riferimento spirituale per aiutarci a superare tante crisi a livello psicologico, familiare, sociale».
Siamo di fronte a un individualismo crescente, forse anche soffocando l’emotività e la sensibilità che caratterizza l’umano. È anche colpa dei social?
Bettega: «In parte, perché credo ci siano altri elementi che danno vita a questa decadenza. In primis, il fatto che la nostra società, negli ultimi decenni, abbia spinto verso la commercializzazione di qualsiasi cosa. Nei giorni scorsi leggevo di camion colmi di prodotti fast-fashion buttati in discarica. Questo è segno di una società che non sa più cosa cercare perché ha tutto. Sono segnali che ci mettono di fronte a un grande interrogativo: cosa conta nella vita? Magari la risposta non è la fede però devo chiedermi che cosa ci sto a fare in questo mondo».
Breigheche: «Qui è fondamentale il ruolo delle religioni, dell’etica e della spiritualità che insegnano l’altruismo e ad amare l’altro come se stessi. Il Profeta Mohammed dice: “Il migliore di voi è colui che si rende più utile per gli altri”. Per noi la zakat (beneficenza ndr) è un dovere, fa parte del credo. Dobbiamo uscire da noi stessi ed essere partecipi con gli altri oltre che essere presenti per gli altri. Le persone corrette e sane moralmente sono coloro che preferiscono gli altri su se stessi anche quando hanno bisogno. Al giorno d’oggi c’è molto egoismo ma ci sono molti esempi ed iniziative che lo contrastano come il volontariato».
Riporto sempre le parole di Tisi: «Non possiamo fare a meno degli altri». Siete d’accordo?
Bettega: «Certo! E in questo senso ci sono i giovani, la parte fresca della società, che vanno in controtendenza. Hanno bisogno della realtà sociale che sia per bighellonare, per andare al McDonald’s o per tirare due calci al pallone. Più che controtendenza, forse, è semplicemente il bisogno naturale delle persone, siamo così».
Breigheche: «Anche la persona più sana e più forte non può fare a meno dell’altro. Pensiamo all’industriale più ricco: anche lui ha bisogno della manodopera. È una catena».
La pace è un miraggio o c’è spazio per essere più positivi?
Bettega: «Io voglio essere ottimista anche se la pace che arriva dai potenti è effimera. Si tratta perlopiù di cessate il fuoco ed accordi, quindi, non credo sia la vera pace. Quella ce la facciamo tra noi, tra uomini e donne della parte bassa della società attraverso il dialogo. L’incontro di oggi ne è un esempio: è importante riconoscere le diverse verità di ogni fede, le espressioni della spiritualità che ci distanziano ma che, allo stesso tempo, sono complementari tra loro. Ed è fondamentale continuare a testimoniarlo».
Breigheche: «La pace può arrivare ma ad una condizione: continuare a lavorare per raggiungerla, perché la pace non viene regalata così come tutti i valori fondamentali come la libertà e la democrazia. È un valore che va protetto e va incoraggiato».
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