la storia
martedì 9 Settembre, 2025
Norma Cescotti, centenaria e unica superstite, ricorda le bombe di S.Ilario: «Nessuno voleva parlare. Mi dissero di tacere»
di Anna Maria Eccli
Il 13 settembre verrà ricordata la strage di 81 anni fa, occultata e insabbiata per tanto tempo. Un aereo americano si liberò di tre bombe innescate in un’area dove si erano rifugiate 18 persone

La giornata era bellissima quel 13 settembre 1944. Alla giovane Norma Cescotti, figlia del custode del tribunale di Rovereto, non dispiaceva l’idea di incamminarsi verso Volano per comprare libri di seconda mano («Le tre librerie della città erano semivuote – ricorda – con la guerra le case editrici non stampavano più libri scolastici»), tanto più che a farle compagnia c’era un’amica, vicina di casa. Tagliavano per scorciatoie, sotto al sole rovente. Arrivate a Sant’Ilario le sorprese la sirena antiaerea; non si spaventarono, non erano un bersaglio utile, e guardarono affascinate la formazione di quadrimotori americani che stava sbucando da sopra le montagne, verso Nord: «Sotto ai raggi del sole luccicavano, sembravano uccelli d’argento; pensammo fossero davvero belli».
Norma, 100 anni il prossimo 10 luglio, oggi è l’unica superstite del bombardamento di Sant’Ilario che straccerà i corpi di 18 persone disseminandone i pezzi tutt’attorno. Per 80 anni non si saprà nulla dell’accaduto: un B24, dovendosi liberare di 3 bombe già innescate che portava ancora a bordo, si staccò dallo stormo, s’abbassò di quota e cercò un perimetro visibilmente privo di case per lasciarle cadere. Il pilota non immaginava certo che sotto le vigne si fossero rifugiate tante persone. Erano le 12.07, la carneficina fu tale che Italo Dossi, vicecapo dell’Unpa (l’Unione nazionale protezione antiaerea, formata da volontari a sussidio dei vigili del fuoco), cercò di allontanare i soccorritori più giovani, tra cui Giulio Baldessari, padre degli architetti Michela e Paolo, e il musicista Bruno Meneghelli. Voleva proteggerli da quell’orrore. Norma e l’amica erano state sepolte dalla terra scagliata loro addosso e avevano perso i sensi ma si erano salvate. La vita, poi, porterà Norma a Trento, sposa di Dante Covelli (celebrante fu don Antonio Rossaro, il Padre della Campana dei Caduti), ma il tentativo di dimenticare falliva: «Ogni volta che passavo da Sant’Ilario, in auto o in treno, l’occhio correva a quel sentiero tra le vigne sul quale ci eravamo inerpicate prima dello scoppio. Lo trovavo ogni volta più corto, finché sparì del tutto tra le case». L’alta densità abitativa di Brione e Sant’Ilario ha fatto sì che le costruzioni si ingoiassero progressivamente la campagna. Oggi è difficile trovare il monumento eretto nel punto centrale in cui piovve la morte, chiuso tra le case.
A riportare alla ribalta il racconto di Norma, nel 2018, è stato il docu-film “Come uccelli d’argento”, di Maurizio Panizza e Federico Maraner, straordinario lavoro di restituzione alla memoria collettiva di un evento tragico censurato. Tra archivi e documenti militari, rapporti secretati di piloti e interviste il film ha ricostruito per la prima volta i motivi del bombardamento: «Quell’aereo faceva parte dello stormo americano di ritorno dal bombardamento del Ponte dei Vodi, per tagliare le vie di rifornimento bellico tedesco – spiega Panizza – Sorprendentemente i giornali non parlarono dell’accaduto, qualche notizia incerta arrivò in città per il passaparola, ma la censura si diede da fare per insabbiare tutto, per non “demoralizzare” la popolazione».
Nonna di 4 nipoti, con 2 pronipoti, Norma ha conservato la sua indole vulcanica e alla sua verde età dirige la cattedra di Esperanto per Trento e Bolzano. È spiritosa, vivace, coerente come chi sa puntare tutto su ciò che crede, col rischio di perdere assumendosene la responsabilità. Dote di pochi per la quale, forse, deve ringraziare quel padre autorevole che educava i figli facendo loro firmare patti da onorare con serietà, suggellati da una stretta di mano.
Norma, cos’è la paura? Lei ha provato quella vera.
«L’ho tenuta dentro di me per lungo tempo. L’ho vinta proprio grazie a Panizza, a quel benedetto documentario che mi ha fatto diventare coraggiosa per principio. Adesso non ho più paura di niente, neanche dalla morte. Cosa vuole che sia? Tutti dobbiamo morire, ce la faremo. Possibilmente senza soffrire, ma se ci sarà da soffrire, soffriremo. Sarà l’ultima volta».
Ricordare rafforza.
«Io volevo dimenticare senza riuscirci. Non sono più tornata in quel luogo, ma quando passavo l’occhio correva al sentiero su cui ci eravamo incamminate io e la mia amica; si riduceva sempre più, inghiottito dal rione popolare che stava nascendo. Ogni volta mi si riaffacciava alla mente il grande prato, rivedevo i bambini che vi si rincorrevano e mi chiedevo se avessi potuto salvarne qualcuno. Rivedo la signora appena arrivata dalla Puglia al seguito del marito finanziere: aveva cercato in tutti i modi di fermarci, insistendo per convincerci a nasconderci con gli altri sotto le vigne. Ma noi volevamo raggiungere la collina; risento ancora la mia voce spavalda risponderle che le munizioni costano e che nessuno avrebbe bombardato o mitragliato due ragazzine. Quella signora aveva un vestito a fiori e un bimbo di 4 mesi in braccio, di lì a poco i brandelli dell’abito avrebbero punteggiato le voragini del campo».
La cosa strana fu l’omertà che coprì tutto, fino ad oggi.
«Sì, io stessa non ne parlai più su consiglio di papà. Nei giorni seguenti aveva esaurito le forze a girare per chiedere a tutti, autorità, polizia, persino nei negozi, cosa fosse accaduto il 13 settembre. Nessuno sapeva, o non voleva parlare, e io stavo facendo la figura della visionaria. Papà, stanco di informarsi, ormai temeva il ridicolo anche per sé e gli stessi colleghi d’ufficio gli consigliarono di farmi stare zitta per evitarmi la figura dell’esaltata bugiarda, desiderosa di passare per eroina. Il funerale delle vittime si tenne nel silenzio assoluto, vi partecipò giusto la gente del rione, anche perché Sant’Ilario all’epoca era zona nettamente staccata da Rovereto».
Lei tacque e la sua amica?
«Non l’ho più rivista, era figlia di un ferroviere che fu trasferito in Veneto».
Cosa l’ha convinta, 5 anni fa, ad uscire allo scoperto?
«Mia nuora mi telefonò dicendomi d’un servizio appena trasmesso da RAI 3 in cui si parlava del bombardamento. Ne avevo accennato ai familiari, senza essere forse creduta pure da loro, o ascoltata fino in fondo, come spesso succede. In quel servizio Maurizio Panizza, che stava preparando il docu-film, invitava eventuali testimoni a farsi avanti. Lo contattai. Panizza mi aiutò anche nella stesura del libro «96 anni di storia. La mia» e da allora siamo diventati una coppia di fatto (ride); abbiamo fatto presentazioni ovunque, siamo entrati nelle scuole per parlare del bombardamento, del dovere civico del ricordo, del valore della memoria, di quello della pace».
Carattere forte il suo, si iscrisse a Ragioneria quando le donne non solo non votavano, ma non erano ammesse ai concorsi pubblici, non essendo “in possesso del cervello del maschio”.
«In piena guerra scendevo da Isera, dove eravamo sfollati, per frequentare i corsi serali alle Dame Inglesi, col coprifuoco, al buio, con la neve alta. Ero una testona di ragazza e dovevo rispettare un patto fatto con papà: avrei potuto studiare se avessi avuto una buona media, senza lezioni private né bocciature. Ho sempre creduto di essere debole, da ultimogenita, l’ultima ruota del carro, così non ho mai rinunciato a impegnarmi per ottenere ciò che mi spetta, soprattutto come donna».
A 80 anni studierà l’Esperanto. Oggi è dirigente della Cattedra di Trento e Bolzano.
«Mi ero ritrovata sola, vedova e senza figli perché tutti sposati. Se punge solitudine, sei finita, così iniziai a studiare l’Esperanto, ma senza entusiasmo. Quando però vidi l’insegnante avvilirsi perché gli studenti si erano progressivamente ritirati, decisi che era mio dovere insistere. E quando insisti su qualcosa, ti ci appassioni. Oggi presiedo gli esami in regione e ho studenti on line da Torino, Alghero, Genova e Milano».
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