l'intervista

domenica 6 Novembre, 2022

Michieletto si racconta: «Gioco alla PlayStation e tifo Inter ma sogno di vincere con l’Itas»

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Il 20enne, schiacciatore della Trentino Volley, racconta la sua vita e il suo rapporto con la pallavolo. «Vorrei far amare di più questo sport. La prima volta con Kazijski e Juantorena avevo le gambe pesantissime. Il mio carattere? Istintivo»

Ha 20 anni e, appesi al collo, ha già 2 ori: uno mondiale e uno europeo. Nonostante questo Alessandro Michieletto resta umile.
Quali sono i suoi altri obiettivi?
«Crescere sempre di più e vincere qualcosa anche con la Trentino Volley. È la mia ambizione. Vorrebbe dire aver contribuito a un altro pezzo di storia di questo club».
E la sua, di storia, invece? Com’è stata fin qui?
«Intensa. Fino alla seconda media giocavo a calcio e a pallavolo. Poi capii che con il calcio avevo poco a che fare scegliendo il volley. E devo dire per fortuna (ride)».
In che ruolo nel calcio?
«Terzino di sinistra ma, contrariamente a quanto sarebbe necessario in quel ruolo, non ero affatto veloce e se aggiungiamo anche il fatto che i piedi non sono proprio il mio forte, direi che l’analisi è presto fatta. Ecco perché mi sono dedicato alla pallavolo».
Scelta quanto mai azzeccata. Spinto forse anche dalla carriera di papà Riccardo?
«Spinto mai, sostenuto sì. In famiglia si è sempre respirata aria di sport e quando ho avuto autonomia di scelta – ero in prima superiore – ho deciso di venire a vivere a Trento con papà che all’epoca giocava nell’Itas. Così mi sono avvicinato sempre più alla pallavolo, sono stato inserito nelle giovanili della Trentino Volley e lentamente ho scoperto la mia passione e il mio ruolo: schiacciatore».
La crescita anche fisica avrà favorito le attenzioni degli addetti ai lavori. Com’è avvenuta la prima convocazione più importante?
«Era il febbraio del 2019. La prima squadra stava preparando il match di Cev Cup contro gli svizzeri dell’Amriswil. Coach Lorenzetti mi stava tenendo sotto controllo da un po’ e decise di convocarmi. Ero tesissimo. La mia prima volta fra “i grandi”. Volevo sfruttare al massimo quell’occasione e in quel match segnai il mio primo punto».
Entrare in uno spogliatoio dove siedono grandi campioni e poi giocare con loro. Che effetto fa?
«In tv guardavo le partite ed ammiravo molto Matej Kazijski e Osmany Juantorena. Quando me li sono trovati davanti, nelle partite di allenamento, è stato da palpitazioni. Entrare, poi, a far parte del loro gruppo ti fa sentire le gambe pesantissime e lì capisci che hai fatto un grande salto.
Fra il 2021 e il 2022 la consacrazione fra i «big» con un mondiale, un europeo e un ruolo da protagonista in Nazionale. Carriera velocissima. Si sente un predestinato?
«Non lo so. Mi sento fortunato, questo sì. Ti ritrovi in un vortice fatto di allenamenti, partite, interviste. Capisci solo quando ci sei dentro che hai fatto qualcosa di importante e adegui la tua vita».
A proposito. Com’è la sua vita? La sua giornata tipo? Oltre alla pallavolo c’è anche lo studio?
«Sì. Seguo le lezioni online della facoltà di Scienze motorie. Non riesco a frequentare l’università quindi mi arrangio con le lezioni via web. Per il resto la sveglia è alle 8.30 se c’è allenamento oppure alle 9.30 quando abbiamo giornata libera. Allenamento, poi studio a casa. Al primo pomeriggio pisolino di un’ora, che è quanto mai necessario e poi si torna all’allenamento più duro, quello della sera. Arrivi in fondo che non vedi l’ora di cenare e andare a dormire».
Nel tempo libero?
«Vedo gli amici, sto con la fidanzata oppure gioco alla PlayStation».
Il rapporto con i suoi genitori?
«Mamma e papà mi hanno aiutato nelle scelte da fare lasciandomi, però, libero. Mamma mi ha seguito più sull’aspetto umano e papà sull’aspetto tecnico, quando ho scelto la pallavolo. Il risultato sportivo è quello che state vedendo, quello umano lo posso migliorare (ride)».
Perché? Cosa non va?
«Mi rendo conto di essere un tipo istintivo. Ciò che penso lo dico e questo fa spesso innervosire i miei. Mi accusano di avere la risposta sempre un po’ troppo pronta».
Si definisce un tipo «social»?
«Ho 20 anni. Lo sono per natura, credo ma evito le sovraesposizioni».
Prima di lei, a Trento, c’è stato un altro giovane che era una promessa e oggi è una certezza. Si sente un po’ il Simone Giannelli 2.0?
«Non so che rispondere. Se lo dite voi mi fa piacere. Simone ha fatto qualcosa di importante per Trento e per la Nazionale. Mi piacerebbe fare altrettanto e ci sto provando ma credo anche che ognuno faccia il suo percorso».
Lei tifa Inter. Quel genere di mondo vorrebbe fosse anche il mondo della pallavolo?
«Sono tifosissimo dell’Inter. La seguo appena posso ma sono due mondi completamente diversi. Il volley è uno sport più tranquillo, con molte meno pressioni, anche mediatiche. Quell’aspetto lo evito volentieri però invidio un po’ tutta quell’attenzione che nella pallavolo non c’è».
Già. Perché c’è meno attenzione secondo lei?
«Perché agli italiani il volley non piace. In Paesi come la Polonia si mastica molto di più la pallavolo. Vorrei lavorare e vincere anche per far amare di più questo sport».
Com’è la Trentino Volley di oggi?
«Siamo un bel gruppo ma siamo indietro rispetto ad altri, siamo un mix fra giovani interessanti e gente di esperienza. Sono convinto che se ci impegneremo a giocare bene potremo fare qualcosa di interessante. Siamo arrivati fin quasi in fondo alle competizioni lo scorso anno, non vedo perché non potremmo farcela quest’anno».
Come si trova a Trento?
«È una città tranquilla, la gente è disponibile. Si vive bene. Io sono cresciuto in veneto ma Trento la sento casa mia».