L'intervista
venerdì 7 Novembre, 2025
L’ex giudice costituzionale de Pretis: «Con l’elezione diretta il limite dei due mandati è inevitabile»
di Tommaso Di Giannantonio
L'esperta giurista spiega la decisione della Consulta: «Se legittimi un potere con l’elezione diretta, devi compensarlo con un limite di durata».
«L’elezione diretta del presidente impone un limite di due mandati». A dirlo è l’ex giudice costituzionale Daria de Pretis, già rettrice e professoressa emerita dell’Università di Trento, che spiega così la sentenza emessa dalla Consulta.
Il divieto del terzo mandato consecutivo costituisce «un principio generale dell’ordinamento giuridico della Repubblica, in quanto tale vincolante anche la potestà legislativa primaria delle autonomie speciali», ha fatto sapere l’Ufficio stampa della Corte. Ora si attendono le motivazioni della sentenza, ma cosa possiamo dedurre da queste poche righe?
«C’è già un’indicazione precisa: il divieto del terzo mandato consecutivo è un principio generale dell’ordinamento giuridico – quindi non un principio fondamentale di una materia, che potrebbe essere anche superato – che vincola anche le Regioni e le Province autonome, così come vincola le Regioni ordinarie».
Quali sono le ragioni alla base del divieto del terzo mandato?
«Se dai un certo potere a una carica e la legittimi attraverso l’elezione diretta, devi compensarla con un limite dei mandati. Questo vale in ogni caso, anche per lo Stato, perché è un potere molto concentrato, e la Costituzione cerca sempre di dividere il potere. Tant’è che nella prima versione della riforma del premierato era prevista l’elezione diretta del premier senza alcun limite dei mandati, poi, nelle audizioni, tutti i costituzionalisti e gli studiosi hanno detto che non era possibile ed è stato introdotto il limite dei due mandati».
Ci sono anche altre questioni in gioco?
«Si pone anche una questione di uniformità dell’elettorato passivo: se si ritiene che si debba limitare il potere, altrimenti rischia di essere esorbitante, non è pensabile che debba valere solo per determinati territori. Nel momento in cui si sceglie l’elezione diretta, il vincolo dei mandati va al di là delle possibilità dell’Autonomia. Oltre alla concentrazione di potere, inoltre, c’è anche una ragione di protezione della concorrenza nell’elezione: chi gode di questo potere a suffragio diretto, infatti, concorre con gli altri in maniera privilegiata, cioè gode del vantaggio dell’incumbent derivante dalla visibilità connessa al proprio incarico e dal sistema di relazioni costruito legittimamente nel corso del mandato. In tutti i sistemi a elezione diretta sono presenti dei limiti chiari per garantire una concorrenza ad armi pari».
L’elezione diretta è quindi la discriminante fondamentale?
«Esattamente, la legittimazione popolare diretta necessita di una compensazione sul piano del limite dei mandati».
Depotenziando il premio di maggioranza cambierebbero le cose?
«No, proprio perché l’elemento fondamentale è il suffragio diretto, a prescindere dal premio di maggioranza. Una volta che la carica è eletta direttamente dal popolo, ciò comporta la necessità di compensare il potere, limitandolo nel tempo. In un sistema di questo tipo, tra l’altro, il presidente non è espressione delle forze del Consiglio provinciale, quindi gode di una stabilità che lo avvantaggia».
I giudici costituzionali potrebbero suggerire dei correttivi alla legge trentina?
«La Corte non si impegna in questi ragionamenti. La Corte valuta le leggi e, in questo caso, ha ritenuto che la legge contrastasse con un principio generale, quindi l’annulla. Finché c’è l’elezione diretta, il limite dei mandati deve esserci».
La legge sul terzo mandato si è rivelata un boomerang per l’Autonomia?
«La Provincia autonoma di Trento ha ritenuto che il terzo mandato rientrasse nei margini della propria Autonomia. Io, personalmente, ho sempre pensato che non fosse così, ma fa parte della normale dialettica Stato-Provincia. Se la legge è stata approvata significa che c’era una maggioranza che probabilmente ha voluto verificare lo spazio per legiferare in tal senso. Ma non è stata una lesione dell’Autonomia. Si sa che l’Autonomia è ampia e garantita, ma deve rimanere all’interno dell’ordinamento giuridico della Repubblica. Qui, tra l’altro, andiamo a toccare principi costituzionali come la divisione dei poteri».
La norma poteva essere inserita nell’ambito della revisione dello Statuto speciale?
«Sarebbe stata una forzatura. Le ragioni per le quali il terzo mandato non c’è sono ragioni fondate, che corrispondono a quello che succede in tutto il mondo – anche negli Stati Uniti, ad esempio – rispetto alla necessità di porre dei limiti ai mandati».
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