La polemica

venerdì 24 Marzo, 2023

La Provincia ricicla l’ex assessore lombardo per il cda di Unitn. Le opposizioni: «Trentino trasformato in ufficio di collocamento»

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Stefano Bruno Galli era nella giunta Fontana, ma non è stato rieletto. La minoranza: «C’era da sistemare qualcuno»

Stefano Bruno Galli, ex assessore alla cultura della Regione Lombardia, è in lizza per entrare nel consiglio di amministrazione (cda) dell’ateneo trentino. Ieri la prima commissione consiliare, presieduta da Vanessa Masè, ha discusso infatti di nomine. Quattro i profili verificati: quello di Flavio Bertolini, di Ettore Cosoli, di Marco Viola e appunto di Stefano Bruno Galli.
Quest’ultimo è quello indicato dalla giunta, e non a caso è lo stesso assessore Mirko Bisesti a sperticarsi nelle lodi del lombardo: «È di origini trentine (anche se a WikiMilano risulta nato a Bollate, nel 1966, ndr). È un grande conoscitore dell’autonomia e della storia italiana e trentina».
Flavio Bertolini e Marco Viola non sono stati ritenuti idonei: il parere espresso è stato negativo con quattro voti contrari della maggioranza e l’astensione della minoranza. Sui nomi di Ettore Cosoli e Stefano Bruno Galli, invece, il parere espresso dalla commissione è stato favorevole con quattro sì e tre astensioni.
Ma è appunto Bruno Galli il «prescelto» che andrà ad aggiungersi al consiglio di amministrazione dell’Università di Trento. Professore aggregato all’Università degli Studi di Milano, insegna Storia delle dottrine politiche e Teorie e storia della democrazia alla Facoltà di Scienze politiche. In precedenza ha insegnato anche all’Università degli Studi dell’Insubria, alla Bocconi e all’Università degli Studi di Siena.
«Studioso di autonomia e regionalismo, federalismo e costituzionalismo, collabora con diversi quotidiani e periodici», ed è pure «socio per cooptazione dell’Accademia roveretana degli Agiati», si legge sul suo curriculum pubblicato sul sito della Regione Lombardia.
Della Regione Lombardia perché lo studioso è stato presidente del gruppo consiliare regionale della Lista civica Maroni presidente nel Consiglio regionale, eletto nel 2013. Nel 2018 non si è ricandidato, nominato però nella giunta di Attilio Fontana: assessore con delega all’autonomia e alla cultura. Si è poi ricandidato quest’anno — nella Lega — ma senza riuscire a farsi eleggere.
«Ed ecco che nelle istituzioni trentine, un’altra volta, arrivano quelli da sistemare», afferma il consigliere provinciale Paolo Zanella. «Il Trentino diventa quindi un ufficio di collocamento per chi viene silurato alle elezioni in Lombardia. E al netto del curriculum, su cui era chiamata a esprimersi la commissione e sul quale non mi permetto di intervenire perché risultato evidentemente idoneo all’incarico, vorrei sottolineare che nel cda dell’Università di Trento mandiamo un politico, l’ex assessore alla cultura della Regione Lombardia che non è riuscito nemmeno a farsi eleggere come consigliere».
E così, con parole quasi rassegnate, il consigliere grillino Alex Marini: «La destra fa la destra. Non dobbiamo scandalizzarci per il metodo che viene seguito per le nomine nelle società partecipate e negli enti funzionali. C’è inoltre da aggiungere che la legge provinciale in materia è inadeguata non solo per le procedure selettive e per il ruolo della commissione nel vagliare il profilo dei candidati ma anche perché ci sono ostacoli insormontabili che impediscono di esercitare il corretto controllo a livello politico rispetto all’attività svolta dagli amministratori di nomina pubblica. L’ho denunciato più volte nel corso della consiliatura: gli amministratori delle società partecipate non si presentano mai in commissione per illustrare gli obiettivi programmatici o per fare resoconti rispetto all’attività svolta. Il M5s ha presentato anche un disegno di legge a livello regionale per garantire una maggiore trasparenza ed effettivi strumenti di controllo ma è stato respinto nell’indifferenza generale. Le forze politiche di governo si spartiscono le nomine in funzione del loro peso specifico all’interno della coalizione che ha vinto le elezioni mentre le minoranze fanno altrettanto per le nomine di loro competenza. Bisogna riconoscerlo senza scadere nell’ipocrisia: nessuno ha interesse a mettere in discussione questo sistema».