La storia

domenica 3 Agosto, 2025

Il torrefattore Torta: “Il caffè più buono? È indonesiano e viene defecato dallo zibetto”

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Il contitolare con la sorella Roberta della «Casa del caffè» a Trento: «Può costare 16-18 euro alla tazzina. Il chicco selezionato e digerito dall'animale»

Il caffè migliore? «È quello dei chicchi fermentati nell’intestino di uno zibetto, una specie di un maialino, espulsi, recuperati, bonificati, importati, tostati e… degustati». Luca Torta (1961) è il contitolare con la sorella Roberta (1957) della «Casa del caffè», a Trento, in via S. Pietro. C’è anche un fratello, Vittorio, specialista di gusto ed olfatto, non foss’altro perché già primario di otorinolaringoiatria all’ospedale di Trento. Cominciarono i genitori, Giorgio Torta (1920-1999) e Antonia Galli (1932-2021), arrivati da Venezia nel 1958. Un cognome, un destino.
«Proprio così. Mio papà è arrivato a Trento perché aveva rilevato la torrefazione come liquidazione quale procuratore di un’azienda che a Venezia importava caffè da tutto il mondo».

Che cosa è rimasto di quell’esperienza?
«Ancor oggi siamo in collegamento con gli esportatori, perché noi importiamo caffè tramite i porti di Genova e Trieste».

Da dove arrivano le partite migliori?
«Da tutto il mondo. Ci affidiamo a dei broker internazionali che analizzano e comprano i raccolti che poi vengono testati e tostati da noi. Quando soddisfano i nostri requisiti li mettiamo nel ciclo produttivo».

Un percorso complesso.
«Ci vuole un anno per l’intero ciclo. Non compriamo in banchina ma direttamente nella piantagione. Quando il caffè arriva nei nostri magazzini passa un altro anno di invecchiamento».

Con i dazi ballerini, importate anche dagli Stati Uniti?
«Negli Usa c’è un solo produttore, ovvero le Hawaii. In questo momento non stiamo importando né dagli Stati Uniti né da Israele».

Quante sono le aziende che importano e tostano il caffè?
«Un tempo eravamo in tanti, oggi siamo ridotti al lumicino perché si stanno tutti aggregando per abbattere i costi e sopravvivere in un mercato molto aggressivo».

In provincia di Trento?
«Negli anni Sessanta c’erano una ventina di torrefattori, oggi siamo rimasti in quattro-cinque. Noi, a Rovereto (Bontadi), Arco (Omkafè), a Lavis (Adler) e uno a Zambana che si è messo a fare il torrefattore di micro lotti».

Quanti sacchi di caffè importante all’anno?
«Noi siamo piccolissimi importatori, tra i cento e i duecento sacchi all’anno. I lotti normali sono di 60-70 chili; i micro lotti da 25 a 5 chili».

Qual è il caffè migliore?
«Per un italiano medio, il caffè migliore è quello originario dell’Etiopia o da piccole piantagioni della Colombia e del Centro America. Attualmente, i caffè che vanno di moda e considerati migliori in assoluto sono i Kopi Luwak dell’Indonesia, i cui chicchi sono ingeriti e poi defecati dallo “zibetto delle palme” dopo aver subito una fermentazione naturale nell’intestino dell’animale».

Avrà un costo da capogiro…
«Secondo me è sovradimensionato come prezzo. Mediamente costa dai 16 ai 18 euro la tazzina. Grossomodo siamo attorno ai 45-50 euro l’etto».

Complimenti allo zibetto.
«Una volta l’animale scorrazzava libero tra le piantagioni, sceglieva le bacche da mangiare ed era un ottimo selezionatore. Adesso è allevato come fosse in una porcilaia. Gli fanno passare davanti i chicchi di caffè su un nastro trasportatore e mangerà le bacche migliori che poi saranno recuperate una volta espulse».

Di che tipo di caffè si tratta?
«Molto mieloso, particolare. Ogni tanto facciamo delle dimostrazioni, ma non sarebbe un caffè da fare all’italiana. Andrebbe fatto a freddo o con una Chemex, una caraffa di vetro a forma di clessidra. Non sono caffè nati per la moka».

Più che nati… defecati.
«Adesso è diventato un business e non più una sorta di pratica religiosa come era in antico. I chicchi di caffè così espulsi sono puliti e confezionati in sacchetti da un chilo».

Ci sono altri tipi di caffè particolari?
«Ci sono nuove produzioni colombiane ottenute con processi di rifermentazione del caffè molto interessanti. Le Hawaii producono uno dei migliori caffè al mondo ma è inavvicinabile come prezzi».

Come si chiama?
«Hawaii Captain Cook».

C’è qualcuno che compra un etto di caffè a 50 euro?
«Sì, la richiesta c’è, abbinata alla curiosità gastronomica. Sia nel mondo del caffè, come in quello del the, come nel mondo della cioccolata».

Che è un altro ramo d’azienda.
«I coloniali sono le nostre specialità. Negli anni Cinquanta proponevamo caffè, the, cioccolata e spezie. Le spezie sono state parcheggiate. Abbiamo migliorato molto la selezione degli artigiani della cioccolata».

Chi sono i migliori?
«Attualmente la scuola italiana la fa da padrona anche per quanto riguarda il nostro bagaglio di utenza. È interessante confrontarsi peraltro con la scuola francese, quella svizzera o tedesca, per conoscere le differenze».

Stiamo parlando di cioccolata o di cacao?
«Di cioccolata, perché se parliamo di cacao è un po’ come con il vino. Partendo dalla fermentazione del seme del cacao, sono le tecniche che cambiano. Se uno vuole un prodotto raffinato e buono deve rivolgersi a produzioni completate in Europa. Se invece vuole abbassare i costi, si pre lavora il cacao in piantagione, schiacciandolo in pannelli, trasportandolo via nave».

È ciò che capita anche col caffè?
«Esattamente. Se io prendo il caffè crudo devo superare dei parametri ben precisi nell’importazione. Questi parametri li posso aggirare se io tosto il caffè in un continente diverso dall’Europa. In quel caso, all’importazione deve essere igienicamente pulito. Ma l’interno del caffè non è più così perfetto come il caffè verde».

Anche il cacao migliore deve essere ingurgitato e digerito nell’intestino di qualche animale?
«No, quando il cacao è maturo, il frutto è buonissimo. La fava del cacao invece è immangiabile. Però nel giro di 48 ore la fava va in fermentazione e, a seconda del tempo di fermentazione si ottiene un cacao diverso».

Un po’ quello che accade nel mondo del vino.
«Proprio così. La tecnica della vinificazione ci aiuta tantissimo a selezionare il cacao fermentato bene. Le analogie tra il cacao e il vino sono più di quanto si creda».

Il settore è in crisi?
«È come la clessidra. Il settore di altissima qualità è in espansione. Quelli che propongono prodotti che costano poco sono altrettanto in buona salute perché comprando ciò che gli altri scartano riescono a trasformarlo in una cioccolata gradevole. Sono in difficoltà quelli che si posizionano al centro della clessidra».

Il costo della tazzina del caffè al bar è ragionevole?
«Per noi italiani è legata psicologicamente a un prezzo che deve essere accessibile a tutti. Invece per parlare di qualità bisognerebbe sdoganarla dal vecchio rapporto che c’è tra il prezzo della tazzina del caffè e il costo del giornale».