l'intervista
venerdì 19 Settembre, 2025
Il regista americano Mark Pedri indaga le origini a Tregiovo: «Mio nonno, soldato emigrato dalla Val di Non fu prigioniero di guerra in Germania»
di Walter Iori
Dall'archivio di documenti e foto che raccontano il terribile viaggio di nonno Silvio è nato un film. «Queste storie fanno parte di noi. Se non le preserviamo, perdiamo pezzi della nostra identità»

Il regista italo americano Mark Pedri è tornato in questi giorni a Tregiovo, frazione del Comune di Novella in val di Non che ha dato i natali ai suoi progenitori. Nello zaino ha portato due pellicole, due sue produzioni cinematografiche nate dallo studio degli archivi di famiglia e dalla raccolta di testimonianze attraverso la voce di suo nonno Silvio. Mark è un documentarista e scrittore del Wyoming sud-occidentale, che si occupa di spedizioni, dove racconta storie fuori dai sentieri battuti. Ha fondato Burning Torch Productions nel 2014, una casa di produzione che si concentra su storie di personaggi provenienti dall’entroterra e dalle strade secondarie di tutto il mondo. Con lui lavora la moglie Carrie McCarthy, scienziata diventata produttrice e consulente per documentari e film scientifici. «Quella di poter godere di film in lingua originale e alla presenza di chi li ha diretti è senz’altro un’occasione eccezionale che l’amministrazione invita a saper cogliere – afferma l’assessore alla cultura Alessandro Rigatti -. Non è frequente, infatti, poter srotolare una pellicola e poterne indagare gli aspetti più profondi, i dietro le quinte, le avventure e le fatiche che si nascondono nella sua produzione. Un grazie sincero al regista Mark Pedri, all’Associazione “San Maurizio” di Tregiovo ed al circolo cinematografico “Percorsi” per aver collaborato alla realizzazione di queste due serate». Questa sera alle ore 21.15 nella sala civica di Tregiovo sarà proiettato il docufilm «Mountain Roots» che ha recentemente ottenuto al Trento Film Festival menzioni speciali e racconta la storia di Bennet, una ragazza americana di origini trentine, che scopre la Val di Non camminando fra le cime delle sue montagne insieme al nonno. Domenica 21 settembre alle 20.45 all’Auditorium comunale di Revò con la proiezione del film «Dear Sirs», sarà possibile conoscere la vera storia di Silvio Pedri di Tregiovo, figlio di emigrati negli Usa, spedito nell’orrore della Seconda Guerra Mondiale e infine catturato nella Germania nazista. Più di 70 anni dopo, il nipote di Silvio, Mark per l’appunto, ha scoperto un archivio di documenti e foto che raccontano il terribile viaggio di suo nonno come prigioniero di guerra. Nell’inverno del 2018, insieme alla sua fidanzata, ha ripercorso le sue orme attraverso la Germania in bicicletta, ricomponendo una storia a lungo dimenticata nel tentativo di comprendere l’uomo che lo ha cresciuto. Entrambi i lavori sono in lingua inglese con sottotitoli in italiano e l’ingresso è libero.
Mark, i suoi film hanno partecipato a vari festival internazionali ed hanno raccolto l’attenzione della critica per la particolarità delle storie raccontate. Come è venuto a conoscenza dell’archivio di suo nonno Silvio e per quale motivo ha deciso di realizzare un documentario sulla sua storia?
«Dopo la morte di mio nonno, mi trovavo nella sua casa quando scoprii un archivio dettagliato sulla sua storia di soldato e prigioniero di guerra nel secondo conflitto mondiale. Gran parte delle informazioni si trovavano nel suo studio, ma erano sparse anche per tutta la casa. Per esempio, una Silver Star conferitagli dal presidente era nascosta in una scatola di caffè in garage. Non aveva mai condiviso questa storia con la sua famiglia quando era in vita, quindi ogni pezzo ritrovato era come incontrare una nuova versione della persona che mi aveva cresciuto. Sono stato ispirato a realizzare un documentario perché sapevo che la sua storia sarebbe scomparsa se nessuno se ne fosse fatto carico. Questo accade a molte vicende di quel periodo storico. Avevo anche bisogno di capire cosa significasse la storia di Silvio per la mia stessa esperienza di crescita al suo fianco. Era un uomo silenzioso, e io avevo bisogno di capire cosa si nascondesse dietro quel silenzio».
Quale è stato il processo di ricerca e produzione del documentario? E in che modo pensa che l’esperienza di suo nonno Silvio come prigioniero di guerra abbia influenzato la sua percezione della guerra e della storia?
«Quando abbiamo trovato l’archivio di mio nonno, la mia famiglia non si rese conto di quanto fossero importanti le informazioni che aveva conservato. Sembrava potesse essere soltanto una raccolta di ricordi familiari, ma dopo aver consultato un esperto di studi italoamericani, ci fu detto che la collezione di Silvio era la più completa raccolta di materiali d’archivio che documentasse l’esperienza di un prigioniero di guerra italoamericano durante la Seconda guerra mondiale. Mia moglie Carrie, che ha un background nella ricerca accademica, ha guidato il processo: prese ogni singolo elemento dell’archivio di Silvio e lo mise in relazione con altre ricerche sulla guerra e sui prigionieri. Utilizzando archivi nazionali negli Stati Uniti, in Germania e nel Regno Unito, riuscì a ricostruire passo dopo passo l’esperienza di Silvio. Grazie a questa ricerca, siamo stati in grado di ripercorrere il suo esatto tragitto da Rock Springs attraverso la Germania fino al ritorno a casa. Questo rese la guerra molto più vicina alla mia esperienza, anche se era accaduta 80 anni prima e a cinque mila miglia di distanza. Visitare i luoghi in cui era stato, inclusi i campi in cui fu costretto a lavorare, fu molto emozionante: non era solo andare in un sito storico, era come incontrarlo in quei luoghi e immaginare la versione giovane di mio nonno durante la guerra».
Che ruolo giocano la famiglia e la tradizione nella cultura italoamericana, come rappresentato nel documentario?
«La famiglia è al centro della cultura italoamericana, in particolare il rapporto intergenerazionale tra nonni e nipoti. È per questo che mio nonno è stato una parte così importante della mia vita. È comune che i nonni si occupino dei nipoti, mentre i genitori lavorano e costruiscono la loro carriera. Ho trascorso tutta la mia infanzia con mio nonno, ed è una parte centrale del film, ma anche del modo in cui ho formato la mia identità da bambino. Questo è anche uno dei motivi che mi hanno spinto a realizzare il film: ero curioso di sapere chi fosse davvero questa persona che mi aveva cresciuto, ma che non aveva mai parlato della sua esperienza in guerra. Mi sembrava di non conoscere un intero lato di lui e, poiché avevo basato così tanto di me stesso su di lui, mi sembrava di perdere anche una parte di me».
Come ha scelto di rappresentare la storia di Silvio nel documentario?
«L’obiettivo del documentario era raccontare la storia di Silvio attraverso le tracce che aveva lasciato. L’archivio comprendeva fotografie, lettere personali a mia nonna, documenti governativi, mappe e cimeli conservati durante la prigionia. Ma questi frammenti non bastavano a restituire l’intero quadro, quindi abbiamo deciso di usare la bicicletta come strumento per collegarli, ripercorrendo il suo itinerario e attraversando la Germania in bici. Nel film si vedono esami dettagliati del suo archivio, con le lettere e le foto conservate, ma anche il viaggio invernale attraverso la Germania».
In che modo la storia di suo nonno Silvio ha influenzato la sua famiglia e la sua identità personale?
«Man mano che apprendevo di più sulla sua esperienza in guerra, imparavo anche di più sulla sua famiglia, che era emigrata dalla Val di Non. Non solo cambiò la mia percezione di mio nonno a causa della guerra, ma crebbe anche la mia curiosità verso le nostre radici italiane, in particolare verso l’esperienza dei suoi genitori emigrati dal Trentino al Wyoming. Raccontare la storia di Silvio mi portò a visitare Tregiovo per la prima volta, dove incontrai Paola Flaim che mi ha fatto riscoprire la famiglia rimasta in Italia. Da allora sono diventato molto vicino ai Pedri italiani, con i quali sono direttamente imparentato tramite Silvio, e il cui primo cugino vive ancora oggi nel paese. Queste storie fanno parte di noi. Se non le preserviamo, perdiamo pezzi della nostra identità. Esiste un legame tra il Wyoming e la Val di Non, e i due film tentano di conservarlo e di mostrare come venga tramandato nella cultura italoamericana.
In che modo la creatività può essere strumento per raccontare storie importanti e preservare la memoria?
«L’espressione creativa ci permette non solo di comprendere e elaborare la nostra storia, ma anche di renderla più accessibile agli altri. Ad esempio, “Mountain Roots” racconta la storia della migrazione italiana e del ritorno alle radici dal punto di vista di un bambino di 10 anni. Questo approccio rende l’argomento storico più interessante per i più piccoli, e apre alla possibilità che esplorino la propria storia familiare. “Dear Sirs”, invece, utilizza la bicicletta come principale strumento narrativo. Siamo trasportati nella Germania della Seconda guerra mondiale pedalando attraverso la Germania di oggi. Per me, questo è stato un mezzo creativo non solo per documentare la storia di mio nonno, ma anche per avvicinarmi a lui. Le lunghe strade tra le tappe erano momenti di meditazione sulla sua esperienza. Così la storia non rimaneva solo un insieme di fatti, ma diventava parte della mia esperienza. Dobbiamo trovare modi per vivere la storia affinché entri a far parte di noi, se vogliamo davvero preservarla. Entrambi i film sono esempi di come affrontare le storie familiari per tramandarle alle generazioni future.
spettacoli
Al via il 18 ottobre la nuova Stagione del Teatro di Meano. E arriva una programmazione speciale per il decimo anniversario
di Redazione
Sei le diverse rassegne proposte: dal teatro professionale a quello dei ragazzi fino agli show dedicati ai Centri diurni anziani di Trento e a tutti gli over 60
la nomina
Cristina Collettini è la nuova Direttrice del Museo Castello del Buonconsiglio
di Redazione
Architetta, specialista in restauro dei monumenti, vanta di una lunga esperienza nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale. Collettini dal 2010 è in forza al Ministero della Cultura, dove ha ricoperto incarichi di rilievo presso la Direzione Regionale Toscana, la Soprintendenza Archeologica di Roma, il Segretariato Regionale Lazio e il Parco Archeologico del Colosseo