l'intervista al coach

mercoledì 29 Novembre, 2023

Il coach di Sinner, Simone Vagnozzi: «Jannik crescerà. Numero 1 al mondo? Ci lavoriamo»

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L'intervista inedita all'allenatore del campione altoatesino: «Migliorerà ancora. False le accuse di menefreghismo verso la Nazionale italiana»

Macché guru. Macché santone. Nel tennis è pieno di quelli che si atteggiano. Non Simone Vagnozzi, coach di Jannik Sinner dal febbraio dell’anno scorso. Eppure c’è molto di suo e di Darren Cahill, l’altro allenatore del numero 4 del mondo, nella consacrazione del giovane fuoriclasse pusterese, fresco eroe di Coppa Davis. Vagnozzi, 40 anni, marchigiano, ma ex tennista di scuola altoatesina a Caldaro, dove nel primo decennio dei 2000 sotto la guida di Massimo Sartori si allenava con Andreas Seppi e Alex Vittur (da sempre manager di Sinner), è uomo pratico e concreto, che non cede a facili suggestioni. «Non credo nelle bacchette magiche, a quelli che prendono un tennista e in una settimana dicono di averlo trasformato. Jannik era già fortissimo, ma per farlo crescere serviva tempo e tanto lavoro. Ora stiamo raccogliendo i frutti, ma Jannik ha ancora tantissimi margini di miglioramento. Certo, mi riempie di orgoglio quello che lui sta diventando».
Lei era a Malaga con Sinner. L’Insalatiera è il suggello di due mesi sontuosi: due titoli Atp 500, il best ranking, la finale di Torino, gli scalpi di Medvedev, Alcaraz e Sua Maestà Djokovic.
«A Malaga è stato emozionante. Qualsiasi italiano quando inizia a giocare a tennis sogna di disputare e possibilmente vincere la Coppa Davis. Esserci riusciti è motivo di grande orgoglio».
Alla faccia di chi additava Sinner di essere poco legato alla Nazionale per aver saltato, a settembre, la penultima fase di Davis a Bologna…
«Guardi, quella è stata una decisione sofferta ma che rivendichiamo. Non c’è ovviamente la controprova, ma i risultati ottenuti poi da Jannik sono frutto di quel pit stop. Poi un conto sono le critiche tecniche, che vanno sempre accettate, un altro gli attacchi personali: mi è dispiaciuto che da fuori abbiano fatto passare Jannik come un menefreghista, non attaccato ai colori. Nulla di più falso, come poi si è visto. Anzi, uno come Jannik dovrebbe essere preso da esempio per come rappresenta l’Italia nel mondo».
Diceva: non ci sono bacchette magiche, ma tanto lavoro. Su cosa avete agito lei e Cahill per portare Sinner tra i più forti?
«Il tennis è come un puzzle fatto di tanti pezzi che si devono incastrare. Abbiamo modificato la tecnica di servizio di Jannik e anche la tecnica del rovescio. Abbiamo approfondito la parte tattica: prima Jannik era un giocatore unidimensionale, che faceva contro chiunque lo stesso gioco; oggi invece sa cambiare in base al tipo di avversario e alla contingenza della partita. E sa variare anche i colpi».
Ecco, le famose variazioni di cui si è tanto dibattuto…
«Spesso ho sorriso nel leggere certi commenti. Da fuori molti considerano variazioni solo lo slice, la volée, il dropshot ecc. Abbiamo certamente inserito questi colpi nel gioco di Jannik, ma variare significa tante piccole cose che l’occhio esterno non sempre percepisce. Prenda l’ultima partita con De Minaur in Davis…».
Spieghi.
«Jannik lì non ha fatto chissà che smorzate o volée, eppure ha variato molto la palla, nel senso che sapeva quando tirarla piatta, o quando alzare la traiettoria per mettere in difficoltà la ricezione dell’avversario e dunque poter accelerare, mettere i piedi in campo e chiudere il punto. Altra cosa…».
Prego.
«Accennavo prima alla tecnica del servizio che abbiamo modificato. Oggi Jannik serve in diversi modi: forte, in slice, in kick, al corpo. E ha irrobustito la seconda di servizio, che prima era leggibile. In passato andava in difficoltà anche sullo slice degli avversari, penso al match con Wawrinka agli Us Open o con Fucsovics in Australia, adesso non più».
Questo 2023, dopo il tormentato 2022, nasce anche dall’off season di un anno fa, quando Sinner, a differenza del 2021 (in quel momento non ancora con voi), ha potuto svolgere una preparazione atletica completa?
«Poter fare la preparazione in un determinato modo è stato importante. Nel 2021 Sinner aveva giocato tanto e si era allenato poco, mentre a fine 2022, dopo una stagione costellata da piccoli guai fisici che lo hanno frenato, ci siamo fermati per metterlo a punto sul piano atletico. Consideri che abbiamo preso in mano Jannik a febbraio dell’anno scorso, reduce dagli Australian Open e dal Covid. Non è mai facile entrare in corsa e non è mai immediato per un atleta abituarsi al cambiamento».
Questione di feeling, insomma…
«Tra noi si è creato immediatamente, ma il tempo ha rafforzato il rapporto, la conoscenza e la complicità. Entrambi proviamo stimoli pazzeschi a lavorare l’uno con l’altro. Il resto lo fa l’impressionante sete di conoscenza e di apprendimento di Jannik».
Non sia modesto, lei ci ha messo del suo. Non a caso ha portato discreti giocatori come Cecchinato e Travaglia al loro best ranking e con Ceck ha fatto la semifinale al Roland Garros. Allenare Sinner, che ha un’altra cilindrata, è diverso?
«Per me il bravo allenatore è quello che in una carriera fa buoni risultati con più giocatori. Prima regola: adattare il tuo modus operandi al tennista che alleni. Non esiste un metodo universale per tutti. Con Sinner mi comporto diversamente che con Travaglia e Cecchinato, che sono orgoglioso di avere portato al loro punto più alto. Poi l’obiettivo rimane sempre lo stesso: trarre il meglio da ognuno, che si tratti di un fenomeno come Sinner che lavora per essere numero uno, o di un 300 del mondo».
Come è arrivato ad allenare Sinner?
«È stato importante conoscere da tanti anni Vittur, che è la figura più vicina a Sinner, ma poi conta anche dare garanzie e io venivo da sette anni di buoni risultati con Cecchinato e Travaglia».
Prima si sentiva un po’ sottovalutato?
«No, credo che la mia carriera da coach sia sempre stata in linea con quello che meritavo in quel momento. Amo il mio lavoro, non cerco la fama».
Ora però comincia a esserci pure quella…
«Diciamo che prima ero apprezzato in Italia, adesso, grazie a Sinner, iniziano a conoscermi ovunque».
A febbraio mi disse che l’obiettivo stagionale di Sinner era qualificarsi per le Atp Finals. Quello del 2024?
«Stabilizzarsi a questo livello di ranking, quindi avere continuità di rendimento e arrivare alle semifinali Slam e in fondo ai Master 1000. Con la continuità poi magari ci scappa anche la grande vittoria. Jannik tornerà a giocare agli Australian Open (14 gennaio, ndr), fino ad allora ci alleneremo, poi in calendario abbiamo Marsiglia e Rotterdam. Ci teniamo comunque sempre un margine di flessibilità».
Sinner può diventare numero uno già l’anno prossimo?
«Non pensiamo a quello, ma a lavorare. Poi attraverso il lavoro si può arrivare anche in cima».
Cos’ha imparato da Cahill e Cahill da lei?
«Deve chiedere a Darren cosa eventualmente ha imparato da me. Io da lui tantissimo, soprattutto come approcciarmi al giocatore, come parlargli, il linguaggio del corpo. Grazie a Darren sono un allenatore migliore».
A proposito di parole, mi levi infine una curiosità. Si è parlato tanto della nuova regola del coaching. Voi, a differenza di altri team, interagite senza esagerare e con molta discrezione con Sinner durante il match…
«Il coaching è molto sopravvalutato dai media, ma è solo l’1% del lavoro. Se tu hai agito bene prima del match, preparando la gara in modo corretto in tutte le sue possibili situazioni e sfaccettature, non serve poi fare o dire chissà cosa quando il giocatore è in campo».