La storia
domenica 1 Giugno, 2025
I sarti trentini? Dal Pakistan e dalla Cina (ma lavorano per Montura)
di Marco Ranocchiari
Da Sultan a Den John, le botteghe sono quasi tutte gestite da stranieri. Zhao: «Ho iniziato in fabbrica in Cina, oggi abbiamo più di 400 clienti»

C’era una volta il sarto di quartiere. E c’è ancora, ma oggi arriva, quasi sempre, da lontano: dal Bangladesh, dalla Cina, dal Pakistan. In anni in cui sempre più saracinesche chiudono e il commercio si sposta online e nei centri commerciali, uno dei mestieri artigianali più antichi continua a prosperare. Anche nelle vie della città, dove sono una ventina, centro storico compreso.
Alcune sono ormai «botteghe storiche», come quella di Sultan Tipu, in Santa Maria Maggiore, altre sono sorte negli ultimi anni. Tutte si sono adattate ai tempi che cambiano: con i vestiti di industriali che diventano sempre più economici, più riparazioni – chiusure lampo, cuciture, rammendi – che abiti su misura. Con qualche notevolissima eccezione.
In ogni caso, le piccole sartorie sono ancora un luogo di incontro e decisamente di integrazione, dove in tanti clienti, oltre al servizio, ricevono qualche pratico consiglio di abbigliamento e mantengono vivo un altro tessuto, quello dei quartieri.
Sultan, la «bottega storica»
Dal 2000, in Santa Maria maggiore, la bottega gestita da Sultan Tipu e suo fratello Sultan Sipu è ormai un’istituzione. «Ho viaggiato tanto, sono stato anche in Canada, in Giappone, ma qui mi piace di più. È tranquillo, sono a casa. Qui mi conoscono, mi salutano sull’autobus, al supermercato, per strada. Sultan! – scherza – anche questo nome aiuta». Il negozio – spiega – è stato fondato dal fratello Sipu che ha imparato da piccolo oltre 40 anni fa e non ha mai smesso.
Negli anni la sua attività è cambiata. «Prima facevamo più vestiti su misura, ma oggi non vanno più, la gente li compra a poco prezzo. Ma a ripararli vengono sempre, per cui oggi preferiamo concentrarci su questo. Facciamo ogni tipo di riparazioni». I Sultan non servono solo i singoli clienti, ma anche negozi rinomati del centro e case come Montura. «Quando siamo arrivati eravamo gli unici stranieri, ora siamo tanti. Gli italiani? Li ho visti diminuire sempre di più. Qualche merceria… ma credo che questo lavoro, sempre seduti sulle macchine da cucire, agli italiani non piaccia più».
Gli abiti di John Nazir
L’ingresso è piccolo, ma dal suo interno risaltano i colori vivaci degli abiti esposti, e il nome altisonante: «Den John, sartoria internazionale». L’affabile sarto pachistano mostra orgoglioso i suoi abiti in vetrina e i campioni di tessuto che offre ai suoi clienti. La sua, infatti, è tra le poche piccole botteghe che insistono sulla realizzazione di abiti su misura. «Vengo da una famiglia di sarti: mio nonno, mio padre e mio fratello – che campeggiano in foto in fondo al negozio, insieme a quella di suo figlio e di una grande stampa di una pagina del T in cui compariva – facevano questo mestiere. Prima sono stato in Thailandia il mio negozio era proprio davanti alla spiaggia ma – racconta con un sorriso – faceva un caldo terribile, invece qui a Trento c’è un clima perfetto».
I suoi clienti, spiega, sono vari, avvocati, professionisti. Arrivato in Italia con le migliori speranze, è stato sorpreso dal Covid.
Alla fine è riuscito ad aprire la sua attività nel 2023 e oggi va bene. Per avere una stabilità , oltre ai vestiti propri, si dedica tanto alle riparazioni. Dietro il nome, sorride, c’è una storia. «A Trento c’è il negozio Dan John, il nome della mia amata moglie è Eden. Abbiamo unito i nostri nomi e tagliato una E. Ed eccoci qua».
«Qui vengono da tutti i paesi»
«Qui vengono tutti: italiani, pachistani, ucraini, bengalesi», sorride Mahmud Md Dider, nel suo negozio di sartoria e riparazioni in via Grazioli. Mahmud è arrivato dal Bangladesh.
«Abbiamo aperto nel 2021.
Per ora sono da solo, ma ho fatto richiesta per il ricongiungimento con i familiari, speriamo che arrivino presto», sorride. «Facciamo solo sistemazioni, di tutto, dalle chiusure lampo ai bottoni, ma la richiesta è tanta».
Zhao, da fabbrica a bottega
Con i suoi 12 anni di servizio in via S. Maria Maddalena, la «Sartoria cinese Zhao» è tra le più radicate nel centro storico. «Prima lavoravo in una fabbrica tessile a sud di Shanghai, è lì che ho imparato il mestiere. Ma volevo fare sartoria. In Italia, prima sono andato a Modena e poi qui. Anche Zhao non si limita alle riparazioni ma fa vestiti confezionati. «Poco, però, il grosso del lavoro è sulle riparazioni. I nostri clienti? Quelli abituali sono oltre 400, ormai ci conoscono.
Quasi tutti trentini, ma anche da fuori».
Sartoria familiare in via Cavour
In una delle vie di passaggio e tra le più internazionali di Trento, via Cavour, sorge la sartoria cinese di Cristina Hu (nella foto). La sua – spiega sorridendo e schernendosi timidamente dalla macchina fotografica – è una bottega a gestione rigorosamente familiare. «Attualmente siamo in tre.
Siamo qui da otto anni», spiega, mentre un altro addetto lavora incessante alla macchina da cucire. «Facciamo solo riparazioni: Cerniere, fodere, sono le riparazioni che ci chiedono di più. La gente che passa in questa strada è tanta, ma noi siamo conosciuti, alla gente piace come lavoriamo».