L'intervista

venerdì 30 Giugno, 2023

Alfonso Fuggetta: «L’innovazione è motore di crescita e occupazione. Steve Jobs lo dimostra»

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L'ingegnere, docente universitario e imprenditore sarà ospite di Trentino 2060 per fare il punto sul fenomeno della digitalizzazione: «Lunare parlare di Spid, c’è e funziona. Più scambi pubblico-privato»

Ingegnere, docente universitario e imprenditore. Alfonso Fuggetta, classe 1958, autore di diversi libri sul tema, esperto di innovazione, insegna informatica (professore ordinario) al Politecnico di Milano e al Festival Trentino 2060 interviene nel pomeriggio di domani, alle 17, in piazza Degasperi a Borgo Valsugana, sul tema della digitalizzazione.
Professor Fuggetta, esiste una definizione univoca della parola innovazione?
«Troppo spesso confondiamo o sovrapponiamo ricerca e innovazione. Una definizione, tagliata un po’ con l’accetta, ci permette di dire che la ricerca è creazione di conoscenze che prima non c’erano. Lo studio di cose sconosciute può avere tempi lunghi. Le polemiche sulle applicazioni sono solo strumentali. L’innovazione, invece, è legata al concetto di impatto, non necessariamente economico. L’open source software, ad esempio, ha un impatto anche culturale e sociale. Se un’innovazione non ha impatto, non è reale. Si dice spesso che Steve Jobs non ha inventato nulla. È vero, perché già nel 1968 c’era il mouse e già negli anni Settanta esistevano le interfacce grafiche. Ma lui è stato capace di trasformare in impatto quelle scoperte, come il computer aziendale Lisa. Jobs ci ha messo dieci anni a fare un MacIntosh. Oggi è tutto più accelerato».
Innovazione vuol dire anche passare dalla produzione di un oggetto a quella complementare di servizi?
«Certo. Ma non è una novità. Si chiama processo di servitizzazione. L’oggetto fisico lo vendo una sola volta. Poi si rompe e al massimo lo sostituisco. Se vendo anche servizi ho un flusso di ricavi continui. Noi oggi, più che comprare app, infatti, paghiamo abbonamenti».
L’obsolescenza programmata e questi tentativi di fidelizzazione forzata puntano al profitto e non sempre sono etici e sostenibili…
«È vero nella misura in cui si superano pratiche lecite per quelle illecite. C’è l’Antitrust che vigila».
Come si fa a reinventare un prodotto?
«Un esempio di successo, classico, è l’I-phone. Che non è più un telefono…».
Come c’è il green washing in campo ecologico (innovazione sostenibile solo di facciata) esiste un’innovazione fake, farlocca?
«C’è sempre stata. Viviamo di onde e mode in Italia. L’entusiasmo forse esagerato per il Metaverso di Zuckerberg e la realtà aumentata, ad esempio, è già calato, sostituito da quello per l’intelligenza artificiale».
Anche il denaro è soggetto a queste ondate di presunta innovazione?
«Bitcoin, criptovalute, blockchain: sono tutte tecnologie interessanti, ma fino al punto in cui usarle ha senso».
Lei ha scritto un recentissimo saggio sul mondo del lavoro che cambia. Perché c’è questa costante fuga dal lavoro?
«C’è grande distanza tra le aspettative delle aziende e quelle di chi lavora o cerca lavoro. Viviamo il paradosso che è vero sia che il lavoro manca, sia che non si trovano lavoratori. Le persone devono essere aiutate a studiare e a formare le competenze giuste. Vanno allineate formazione e esigenze d’impresa. Dove il mercato tira di più. Servono ingegneri. Se studio lingue antiche devo essere consapevole che non c’è equilibrio, poi, nel mercato del lavoro. Ma anche le aziende devono sapersi innovare per poter offrire posti di lavoro».
Per lei come avvenne l’avvicinamento alle cosiddette materie Stem (tecnologico-scientifiche)?
«Una scelta naturale. Mi piacevano matematica e fisica già al liceo scientifico. Prima puntai sull’ingegneria chimica, poi sulla programmazione di calcolatori elettronici, come si chiamava allora…».
Lei conosce bene questi tre mondi: accademia, istituzioni, imprese. Quali ombre rileva in queste tre sfere?
«Le università non sono troppe, ma sono troppo sbilanciate. Non possono fare tutto. Servono nuove facoltà di ingegneria, ad esempio. E più collaborazioni con i centri di trasferimento tecnologico, come il Cefriel o la vostra Fondazione Kessler. Lo Stato deve diventare facilitatore dei meccanismi di innovazione. Non quella del Pnrr, che non funziona. Noi abbiamo bisogno di consorzi efficienti, come in Germania. Non di strutture autoreferenziali come spesso accade in Italia».
Cosa conosce del mondo della ricerca e dell’innovazione trentino?
«Ho collaborato con Fbk e il nuovo presidente Ferruccio Resta arriva dal mio Politecnico. So che il Trentino fa parecchio per attrarre innovazione. Un limite del vostro territorio è dipendere dall’aeroporto di Verona, che non è collegato via ferrovia con il Trentino. La mobilità semplice ed efficace favorisce l’innovazione».
A Borgo Valsugana parlerà di digitalizzazione in particolare. Quali criticità si registrano ancora in Italia?
«Trovo davvero “lunare” che si discuta di Spid. Ormai c’è e funziona. Dobbiamo puntare di più sull’interoperabilità dei sistemi e su scambi di informazioni tra servizi pubblici e privati per via digitale. Purtroppo si tende a replicare ciò che già si conosce e a riprodurre in digitale macchinose procedure analogiche…».