L'intervista

sabato 15 Novembre, 2025

Gigi Riva e l’assedio di Sarajevo: «I turisti cecchini pagati mille marchi per uccidere bambini»

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Il giornalista seguì la guerra. La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta sul «Sarajevo safari» dal titolo del documentario di Zupanic

Aberrante. È aberrante venire a sapere che durante l’assedio di Sarajevo, tra il 1992 e 1996, c’era chi pagava per un viaggio dell’orrore. Gente che provava divertimento ad andare a uccidere uomini, donne e bambini nella capitale bosniaca assediata, unendosi alle postazioni dei serbo-bosniaci. E c’erano anche italiani che partecipavano a questo «Sarajevo Safari», dal titolo del documentario dello sloveno Miran Zupanic che tre anni fa denunciò questa nefandezza oltre i limiti dell’umano. Le voci circolavano da tempo, ma ora i presunti «turisti cecchini» sono oggetto di indagine della Procura di Milano in seguito ad un esposto dello scrittore Ezio Gavazzeni che la vicenda la conosce nei dettagli avendo raccolto le confessioni di un ex 007 bosniaco. Ne abbiamo parlato con Gigi Riva, giornalista e scrittore che la sporca guerra in Bosnia la raccontò dal ventre di Sarajevo come inviato.

Riva, si torna a parlare della guerra in Bosnia e il sangue si raggela.
«Quando ho letto la notizia ho provato un sentimento di déjà vu totale, perché a Sarajevo già all’epoca la voce girava. Noi che stavamo là dentro avevamo avuto notizie, ma nessuna conferma, di turisti dell’orrore che partivano per Belgrado e da lì venivano poi portati dall’esercito serbo dietro pagamento sulle colline di Sarajevo a sparare. Si è, però, sempre parlato di europei, mai di italiani».

Di che gente parliamo?
«Riflettendoci in questi giorni, mi sono ricordato che noi avevamo distinto delle figure diverse. La prima erano i serbi che nel weekend partivano da Belgrado e, dopo aver fatto tutta la settimana in ufficio, si univano ai cecchini che sparavano su Sarajevo per poi tornare in ufficio il lunedì. Serbi che andavano ad aiutare altri serbi, quindi: impiegati, persone comuni. La seconda, i turisti della guerra che si rivolgevano ad agenzie, anche italiane e ne scrivemmo, per divertirsi ad andare a vedere la guerra sui luoghi della guerra stessa. Voyeurismo della guerra, una follia, ma abbastanza diffusa. Io stesso mi ricordo di aver incontrato delle comitive di questo tour della guerra. Una volta incrociai persino un bergamasco, mio conterraneo. Terzo caso, questi turisti cecchini che andavano a fare i safari e sparare. Altra storia erano invece i cacciatori, perché in Bosnia c’era questa terribile assonanza tra cacciatori di cervi e cacciatori di uomini…».

Racconti.
«La Jugoslavia è sempre una meta per le battute di caccia. Prima ancora della Bosnia, durante la guerra in Croazia, io stavo, come gli altri giornalisti, all’Hotel Esplanade di Zagabria. Di giorno andavamo al fronte e la sera tornavamo all’albergo a scrivere. Dalla reception mi passavano le chiamate al telefono di cacciatori che mi chiedevano informazioni sulle vie libere per raggiungere i territori doveva prima della guerra andavano a caccia. “Ma dove andate, che c’è la guerra!” gli dicevo. Rimanevo basito, non ci volevo credere. Una volta due cacciatori italiani rimasero intrappolati nel mezzo della terra di nessuno, vennero recuperati e rimpatriati. Su quella vicenda scrissi anche un film, “Il carniere”, uscito nel 1997 per la regia di Maurizio Zaccaro».

Non è quindi sorpreso per quanto sta emergendo.
«No. Come dicevo, le voci circolavano. Sebbene non avessimo prove, né tantomeno prove che ci fossero anche degli italiani. Ai noi risultava si rivolgessero a un’agenzia di Vienna; partivano da Trieste, arrivavano a Belgrado, da lì con l’esercito serbo attraversavano la Drina e raggiungevano Pale in Repubblica Serba di Bosnia per essere portati al fronte e fare i cecchini nell’assedio di Sarajevo. Una cosa è accertata: i serbi avevano un tariffario. Mille marchi tedeschi per uccidere un bambino, ottocento per una donna incinta. Loro valevano di più, soprattutto i bambini che gettavano nel dolore una famiglia intera. All’epoca, clamoroso fu il caso di un’olimpionica rumena di tiro al piattello andata lì a fare la cecchina. Arrestata dai bosniaci, venne trasmesso il video della sua confessione. Questo era il contesto, quindi quanto sta emergendo è del tutto verosimile».

Traffico di mercenari?
«Sì, ma quella è un’altra cosa. Già in Croazia c’erano molti mercenari, soprattutto di estrema destra. Mi ricordo di diversi argentini, i Carapintadas legati al colonnello Aldo Rico, uno dei militari golpisti di Videla. C’erano anche mercenari italiani che combattevano coi croati. Ne incontrai alcuni nella sede degli HOS, l’organizzazione neo-ustasha il cui leader era Ante Paraga. C’erano persino irlandesi reduci dalla guerra in Irlanda del Nord. Gli HOS erano una sorta di brigata internazionale, gente di estrema destra che combatteva a fianco dei croati: chi per un malinteso senso di ideologia, perché di ideologia ce n’era davvero poca in quella guerra, la maggior parte per ragioni etniche. Anche i musulmani in Bosnia avevano la loro brigata, la brigata musulmana con reduci dalla guerra contro l’Unione Sovietica in Afghanistan: avevano base a Zenica, molti di loro hanno sposato donne bosniache, restando a vivere nei villaggi delle vallate della Bosnia più profonda. Ai tempi dell’Isis in quei villaggi, dove nemmeno la polizia bosniaca osava mettere piede, sventolava la bandiera dello Stato Islamico. È quasi certo che di lì sia passato anche Bin Laden, mentre è invece accertata la presenza di Omar Sheikh, colui che diversi anni dopo avrebbe rapito e decapitato in Pakistan il giornalista americano Daniel Pearl».

In attesa che Sarajevo si costituisca parte offesa nel procedimento, Benjamina Karic, ex sindaca di Sarajevo, si è attivata per chiedere di accertare la verità dei fatti e consegnare alla giustizia i responsabili. Avrà un seguito, secondo lei?
«Di certo avrà delle informazioni sui servizi segreti, perché è stata una gola profonda dei servizi a svelare tutto. È una donna molto in gamba, intelligente, uno dei pochi sindaci di sinistra dalla fine della guerra. Il partito musulmano controlla i servizi e l’esercito, mi pare complicato possa fornire informazioni su una storia rimasta per anni segreta. Non so che entrature lei possa avere, ma spero ce la possa fare».