l'intervista
martedì 4 Novembre, 2025
Da Rovereto al Qatar, l’informatico Esposito: «Con l’intelligenza artificiale aiutati 2000 bambini di Gaza con disturbo da stress post-traumatico»
di Francesca Dalrì
Il progetto verrà presentato al pubblico giovedì nell’ambito del decimo festival Informatici senza frontiere: «Il sistema permette di individuare i sintomi dell'ansia e depressione»
Da Rovereto al Qatar per aiutare con l’intelligenza artificiale i bambini e gli adolescenti palestinesi con disturbo da stress post-traumatico. È il progetto a cui da circa un anno sta lavorando il direttore del dipartimento di Psicologia e scienze cognitive dell’Università di Trento Gianluca Esposito assieme al ricercatore Andrea Bizzego e che verrà presentato al pubblico giovedì nell’ambito del decimo festival Informatici senza frontiere (appuntamento alle 16.30 nell’aula magna Iprase in via Tartarotti).
Professor Esposito, come nasce e in cosa consiste il progetto?
«Fin dall’inizio dell’emergenza palestinese il Qatar, e nello specifico la capitale Doha, ha accolto persone provenienti dalle zone di guerra, in particolare bambini e giovani adolescenti, orfani di guerra o comunque senza genitori, ospitati nei centri di accoglienza nei sobborghi fuori Doha. Parliamo di bambini con forti disagi psicologici e psichiatrici, soprattutto legati al disturbo da stress post-traumatico. A farsi carico di queste situazioni è la Child and adolescent psychiatry della Hamad medical corporation che dallo scoppio della guerra è passata in poco tempo da zero a oltre duemila pazienti. Numeri umanamente impossibili da gestire. L’equipe medica ha da subito garantito una presa in carico generale, ma per trattamenti mirati servono diagnosi psichiatriche accurate che richiedono tempo, senza considerare le barriere linguistiche. È qui che interviene il sistema basato sull’intelligenza artificiale che abbiamo sviluppato a Rovereto: nell’identificazione precoce di questi disturbi».
È quindi l’intelligenza artificiale a fare la diagnosi?
«No, perché in ambiti come la psichiatria la componente umana rimane fondamentale. L’intelligenza artificiale, analizzando la mole di dati dei bambini curati e di quelli in altri contesti, ci fornisce gli indicatori di rischio precoce. In base alle risposte date, il modello predittivo è in grado di dirci quali sono i bambini che presentano condizioni più vicine a quelle di una diagnosi psichiatrica».
A che punto è il progetto?
«Al momento stiamo lavorando soprattutto con maschi dai 12 ai 18 anni. Il progetto, finanziato con centomila dollari dal Ministero della ricerca e della salute del Qatar, è ancora in fase preliminare. L’obiettivo di questa fase pilota della durata di 18 mesi era sviluppare un software con cui interagire in modalità giocosa attraverso smartphone o tablet che, tramite l’analisi della voce e una serie di azioni, potesse identificare i sintomi del disturbo post traumatico da stress, dell’ansia e della depressione. Il progetto prevedeva anche la possibilità di investire parte del finanziamento su Rovereto, ma per ora abbiamo deciso di spendere tutto in tecnologie e operatori sul campo, scegliendo di offrire volontariamente la parte di analisi dei dati che svolgiamo in università. Ora che il prototipo è stato messo appunto ci siamo candidati per un progetto molto più grande, di oltre due milioni di dollari. Per ora siamo stati preselezionati».
La decima edizione del festival si concentrerà sugli «antropomorfi digitali», potenziali alleati del benessere collettivo ma anche potenziali sostituti dell’esperienza umana. Qual è l’equilibrio?
«L’intelligenza artificiale è e deve rimanere uno strumento a disposizione dell’esperto. Parliamo di sistemi in grado di fornire risultati impressionanti, come quelli che abbiamo ottenuto in uno studio sulle sedute psichiatriche tra l’Italia, Doha e Londra: abbiamo fatto studiare alla Ia le interviste condotte da uno psichiatra durante la prima seduta e la diagnosi a cui è giunto il sistema ha mostrato un’accuratezza tra l’85 e il 90 per cento rispetto a quella dello psichiatra, arrivata però dopo sei mesi di osservazione. Il problema è che questi sistemi per funzionare bene hanno bisogno di dati reali costantemente aggiornati, dati che solo gli esperti possono supervisionare. Oggi l’intelligenza artificiale ci fornisce diagnosi accurate perché abbiamo psichiatri formati che controllano il processo: se per i prossimi quindi anni ci affideremo solo a questi sistemi, perderemo l’expertise umana e con essa la capacità di controllare i risultati ottenuti».