Il lutto
martedì 7 Marzo, 2023
Addio a Domenico Modena: «Dispensava amore puro»
di Donatello Baldo
Settant'anni, è scomparso improvvisamente domenica scorsa. Era tra le persone Down più anziane d’Italia
Quando se ne va una persona buona il vuoto che lascia è doppio. E Domenico Modena, per indole profonda, era più che buono, esprimeva una bontà autentica, gratuita, pura, a tratti anche ingenua. Aveva settant’anni, un’età record per una persona Down: «Era forte — dicono le sorelle — aveva superato anche un grave problema di salute che due anni fa lo aveva portato in rianimazione. Si era ripreso», ma poi un altro malanno se l’è portato via.
Domenico era conosciuto da tutti a Mori, soprattutto a Mori Vecchio dove ha sempre abitato con la famiglia.
Prima al fianco dei propri genitori Fabio e Lisa Moscatelli e dopo la loro scomparsa con le attaccatissime sorelle che mai hanno smesso di accudirlo. Di loro, Daniela, Fabiola, Annalisa, Giulia e Luigina era lo stesso Domenico a parlarne sempre bene e a non nascondere quel grande amore familiare che li univa tutti. Ora in quell’abbraccio comune che era la loro famiglia si è aperto un nuovo vuoto: l’addio del fratello Domenico.
«Non c’è più — dicono rassegnate — e sembra che tutto ora sia vuoto. Domenico era speciale». E raccontano che fino all’ultimo chiedeva di addormentarsi abbracciato a una di loro, che fino all’ultimo ha saputo dispensare quell’amore che lo contraddistingueva e che lo faceva ben volere agli occhi di tutti». Amore, appunto, ricambiato dalla famiglia in primis, ma anche da tutta la comunità che lo ha sempre accolto, anche nella dimensione associativa e ricreativa: nessuno potrà dimenticare, ad esempio, la sua puntuale partecipazione dal Carneval de Mori Vecio. Lui, sempre presente, immancabile, con la sua divisa bianca da cuoco, con il fiocchetto e il cappellino.
Ma è un’altra la divisa che per molto tempo, ogni giorno, e fino a quando c’era suo padre, Domenico indossava con fierezza: il completo blu di stoffa grezza da lavoro con giacca e pantalone coordinato. E il suo posto era sul trattore, a fianco di papà Fabio, seduto sul parafango posteriore. Sempre presente ovunque si andasse, che fosse a raccogliere patate o a fare legna. Lui era lì.
«Era stato per un breve periodo in un collegio da adolescente — ricordano le sorelle — ma voleva tornare a casa e tentava sempre di scappare». A dimostrazione che la famiglia, per Domenico, è sempre stata un fulcro d’amore importante, una bussola che gli permetteva di muoversi nel mondo. E fu a seguito di quelle fughe che il padre decise di portarlo con sé in campagna, formando negli anni una coppia indissolubile. Dove c’era il padre c’era il figlio.
Il lavoro era la sua dimensione, la sua missione, il suo posto nel mondo. Oggi tutto questo — per una persona Down come Domenico — si chiamerebbe «inserimento lavorativo», «interazione sociale». Metodologie educative che con naturalezza la famiglia Modena e tutta la comunità di Mori Vecchio seppero far nascere senza che nessuno insegnasse loro come fare.
Gli ultimi anni, da anziano — una delle persone Down più anziane d’Italia — Domenico era più spesso a casa, ma mai in ozio. «Aveva i sui puzzle. Ne componeva due al giorno, la mattina e la sera», ricordano le sorelle. «E poi ascoltava musica, valzer, mazurca, polka, le canzoni che poi suonava con la fisarmonica». La giornata, vicino alle sorelle, era poi intervallata da mille baci, da mille abbracci, da un amore che era la sua cifra. «Ci manca già, tutto quell’amore ora non c’è più. Il vuoto che ha lasciato è enorme».
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