il caso
mercoledì 16 Luglio, 2025
Vedovo chiede la reversibilità della pensione dopo il decesso del partner (non unito civilmente): la questione passa alla Corte Costituzionale
di Redazione
La coppia si era sposata negli Stati Uniti prima dell'entrata in vigore della legge italiana sulle unioni civili

Un uomo vedovo con un figlio a carico, dal 2018 lotta per la riversibilità della pensione dopo il decesso del partner, non unito civilmente. Ora la Corte Costituzionale è stata interpellata dalla Corte di Cassazione per decidere della questione.
Il caso riguarda una famiglia lombarda in cui uno dei partner è deceduto inaspettatamente nel 2015. Dalla loro unione è nato un figlio nel 2010, anch’egli parte del procedimento, in quanto l’Inps ha negato il diritto alla reversibilità sia al marito vedovo che al figlio. Dopo aver trascritto in Italia tutti gli atti stranieri relativi al matrimonio (contratto negli Stati Uniti) e alla co-paternità, nel 2018 è stata presentata una domanda all’INPS, rimasta però senza risposta. Il Tribunale di Milano respinse la domanda contro l’INPS, ma la Corte d’appello diede ragione al ricorrente. Seguì il ricorso in Cassazione dell’INPS.
Con l’ordinanza n. 19596 del 16 luglio 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rimesso alla Corte Costituzionale la questione se il partner dello stesso genere abbia diritto alla reversibilità in caso di decesso avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge sulle unioni civili. Secondo la Cassazione, la Carta costituzionale garantiva già prima dell’introduzione delle unioni civili il diritto in questione, in quanto si tratta di un diritto fondamentale che deve essere riconosciuto anche al lavoratore in una stabile convivenza, nel caso specifico suggellata da un matrimonio contratto negli Stati Uniti.
Per questo motivo, le Sezioni Unite civili hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 36 e 38 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del R.D.L. n. 636 del 1939, nella parte in cui, limitando il diritto al coniuge, non consente l’attribuzione della pensione di reversibilità in favore del partner superstite in caso di decesso dell’altro componente della coppia omosessuale, verificatosi prima dell’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016, nonostante l’avvenuta formalizzazione del vincolo all’estero.
Nell’ordinanza si legge che si tratta di «un diritto che, alla luce di quanto precisato in motivazione da Corte Cost. 25 luglio 2024 n. 148, punto 11, può essere ricondotto nell’alveo di quelli fondamentali, in presenza dei quali diviene recessiva la diversità con la famiglia fondata sul matrimonio, e risulta giustificato, proprio in ragione della natura del diritto del quale si discute, l’intervento additivo al quale si fa riferimento nella motivazione di Corte Cost. n. 138/2010 cit., finalizzato a rendere omogenea la condizione della coppia omosessuale con quella coniugata, nel caso in cui alla prima sia stato impedito, in ragione della normativa vigente ratione temporis, il riconoscimento del vincolo contratto all’estero».
Il ricorrente, assistito dallo studio legale Schuster, ha accolto così la notizia: «Da otto anni non sappiamo se ci spetta o meno la reversibilità. Ovviamente speravo in una decisione risolutiva, ma almeno la Cassazione si sta muovendo nella giusta direzione: quella di tutelare la nostra famiglia come tutte le altre. Mio marito, insieme a me padre di nostro figlio, pagava i contributi come tutti gli altri lavoratori, ma l’INPS gli ha negato i diritti di cui gli altri lavoratori invece godono. Non eravamo una semplice coppia di fatto, ma una coppia sposata all’estero con diritti e doveri reciproci molto chiari. Spero che la Corte costituzionale possa finalmente fare chiarezza e riconoscere che le nostre famiglie meritano la stessa tutela delle altre».
Per l’avvocato Alexander Schuster: «Era il 2010 quando per la prima volta andai in Corte costituzionale a seguito del rinvio della Corte di appello di Trento. Quella importante sentenza certo non assicurò il matrimonio egalitario, ma pose le basi per le future unioni civili. Intanto, però, la Corte disse che in attesa del Parlamento si riservava di intervenire per colmare le carenze più gravi o, come scrisse, “irragionevoli”. Ci sono voluti quindici anni, ma finalmente posso ripartire da quella promessa della Consulta e chiedere che essa ponga un rimedio ai danni causati dal gravissimo ritardo con cui il nostro Parlamento ha riconosciuto i diritti delle coppie omoaffettive».
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