Educazione

giovedì 18 Settembre, 2025

Smartphone e minori: dall’età alla trasparenza (e al divieto di usarlo a tavola) le cinque regole scelte dal comune di Arco

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Cosa prevede il patto digitale di Comunità, proposto alle famiglie dal comune dell'Alto Garda

Chiedersi a che età dare il primo smartphone al proprio figlio o figlia è quantomai legittimo. Avere la forza per affrontare la pressione commerciale e l’omologazione del contesto sociale, di classe, cittadino e territoriale, è assai più difficile. Per questo è sempre più necessario agire sulla comunità educante, ossia dare a tutti (cittadini, famiglie, associazioni sportive e culturali ecc) le giuste informazioni affinché si formi una consapevolezza diffusa che consenta una presa di coscienza capace di contrastare cattivi usi e costumi. Un lavoro intenso, lungo, ma che se attivato con costanza e con determinazione consente di ottenere ottimi risultati dissipando paure e soggezioni che spesso frenano (come in questo caso) le volontà di gestire i mezzi digitali nei minori. Il Comune di Arco ha quindi deciso di fare la propria parte e ha attivato il «Patto digitale di Comunità» che dall’ente pubblico unirà associazioni, famiglie, istituzioni scolastiche ecc. a diffondere le buone norme sull’uso e sui comportamenti da adottare per digitalizzare i più giovani in modo graduale e consapevole senza demonizzare la tecnologia, elemento che i minorenni dovranno saper dominare e adoperare nel presente e nel futuro, divenendo sempre più consci dei pericoli ad essa legati.

Seguire le 5 regole del patto
L’assessora alle politiche giovanili e sociali, Mattia Mascher, ha presentato l’iniziativa del patto digitale che parte da un respiro nazionale e che ha l’ambizione di raggiungere più territori possibili animando le comunità. Alla base di tutto una corretta informazione e diffusione delle informazioni corrette. Per questo il patto è sorretto da 5 semplici regole. La prima regola: attendiamo almeno fino alla fine della scuola secondaria di primo grado per la consegna ai nostri figli di uno smartphone personale connesso in rete. Si consiglia fino a quel momento il telefono fisso oppure il telefono cellulare senza connessione internet abilitato solo a chiamate e messaggi, ovvero i cellulari di vecchia generazione, di cui esistono ancora molte versioni in commercio, strumenti più che adatti per comunicare con gli amici e la famiglia. Seconda regola: manteniamo fino ai 16 anni smartphone e altri strumenti digitali trasparenti. Password di accesso condivisa con i genitori e confronto periodico della cronologia e delle attività online dei figli anche su pc o tablet (i genitori hanno sempre la responsabilità legale). Terza regola: concordiamo insieme luoghi e orari per l’uso di smartphone e altri strumenti digitali. Bastano poche semplici regole condivise, ad esempio no a tavola, a letto prima di dormire, al ristorante, ecc. Ricordiamoci di dare il buon esempio: noi adulti per primi ci impegniamo a riservare a tutta la famiglia tempi liberi dalle interferenze degli schermi. Quarta regola: scegliamo App, social e giochi in regola con l’età. In accordo con la legge italiana, l’utilizzo autonomo di social (persino di Whatsapp) è consentito dopo i 14 anni. Rimaniamo informati e verifichiamo i contenuti e l’età legale per app e giochi (ad esempio, con la classificazione Pegi). Quinta regola: Sottoscriviamo in accordo con i figli alla consegna dello smartphone personale. Il Comune ha progettato una bozza di contratto genitori figli da poter modificare per dare senso di responsabilità.

«Non è tutta colpa dei genitori»
«Questa iniziativa – racconta Mascher – non vuole rimanere bloccata entro i confini comunali e abbiamo intenzione di allargarci. Abbiaomm già contattato Distretto Famiglia e faremo un incontro l’8 ottobre al Cantiere 26 e l’auspicio è che si allarghi a tutti i Comuni del territorio. Questo patto non è una bacchetta magica e funziona se ci sarà costanza nella sensibilizzazione e se gli attori coinvolti ci crederanno. Vorrei non si colpevolizzassero i genitori. La questione è ben più grande e ha a che fare con la società, con la pressione commerciale, con il contesto dei coetanei. Serve un lavoro culturale di Comunità. Se sapremo essere uniti e incisivi avremmo i risultati sperati».