L'INTERVISTA

martedì 25 Luglio, 2023

Mutua Artieri, Treu: «Il lavoro sta cambiando. Il salario minimo è prioritario»

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L’ex ministro è intervenuto oggi, in videocollegamento, per i 10 anni della società degli imprenditori artigiani del Trentino

Giuslavorista, due volte ministro del Lavoro e della previdenza sociale, poi ministro dei Trasporti e della Navigazione, nel 2014 è stato eletto commissario straordinario dell’Inps e fino ad aprile 2023 è stato presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. L’esperienza accumulata da Tiziano Treu, 83 anni, lo rende un osservatore privilegiato delle traiettorie dell’economia di oggi e delle politiche sociali che l’accompagnano. Le pur incoraggianti dinamiche occupazionali, se osservate da vicino, nascondono «il lavoro precario e il lavoro povero». «Il problema dell’Italia è che colpisce soprattutto i giovani che vengono intrappolati lì», evidenzia l’ex ministro. Ma ci sono anche i nodi del sistema pensionistico, della formazione e della sanità integrativa da leggere con attenzione per scrivere il futuro del Paese. Di questo ultimo tema, in particolare, parlerà oggi l’ex ministro. Alle 11.10 (in video collegamento), interverrà al convegno per i 10 anni di Mutua Artieri, la mutua degli imprenditori artigiani del Trentino.
Treu, che lettura dà della congiuntura economica che stiamo attraversando?
«In questa fase i segali positivi sono due: c’è una crescita buona dell’economia, anche leggermente migliore rispetto alle aspettative, e una risalita dei livelli di occupazione. Una cosa non scontata, visti i tanti pronostici aperti dall’avvento delle tecnologie, che si diceva avrebbero tolto posti di lavoro. Il lavoro c’è ma va detto che sta cambiando. Avremo sempre più lavori verdi, sempre più lavori di cura della persona e di manutenzione. Perciò servono investimenti per supportare la formazione e favorire le transizioni di centinaia di migliaia di persone in questa nuova economia. Significa spostarli in nuovi settori e in nuove imprese, talvolta».
Guardando dentro al basso livello di disoccupazione vediamo però, anche in Trentino, le larghe maglie del precariato, che tocca soprattutto i giovani, e ancora la maggior fragilità dell’occupazione femminile.
«C’è il lavoro precario e c’è il lavoro povero. Il lavoro a termine, pur sui livelli della media europea, diventa un problema quando è a brevissimo termine. Contratti di una settimana o un mese sono un disastro. In generale, serve garantire che chi ha lavori a tempo non resti intrappolato in quella condizione, una piaga che in Italia colpisce soprattutto i giovani. In questi giorni ricorre l’anniversario del patto sociale del 1993 (il protocollo di Ciampindr). Oggi come formula è poco proponibile. Ma su due temi serve una mobilitazione comune. Parlo della formazione e di un grande progetto per i giovani».
A proposito di lavoro povero, nell’ultimo mese è tornato il confronto sul salario minimo. Lei come si pone rispetto alla proposta avanzata dalle minoranze?
«Il salario minimo, che sia per legge o per contratto, va introdotto. La proposta avanzata dalle minoranze mette insieme le due cose. Non è accettabile avere 3,5 milioni di lavoratori poveri, che hanno redditi da fame. Parliamo di un’emergenza assoluta. Mi è parso positivo che Meloni abbia almeno aperto al confronto su questo tema».
Che cosa ne pensa dell’ultimo decreto lavoro approvato dal governo Meloni, che cambia anche la disciplina del contratto a termine?
«Rispetto alle modifiche strutturali che servirebbero, questo è un piccolo intervento. Penso che andasse chiarito meglio il ruolo della contrattazione del lavoro a termine. Poi non condivido quanto fatto sul reddito di cittadinanza. Siamo d’accordo che, per come formulato in passato, il reddito di cittadinanza fosse un eccesso. Ma la nuova misura è viceversa sbagliata per difetto. Non dà risposta alcuna alle povertà ed è di durata scarsa. Ricordiamoci che c’è una direttiva Ue che chiede misure di contrasto alla povertà sia di una certa entità. Poi certamente vanno garantite politiche attive per fare in modo che si attivino persone senza lavoro. Ma questo è un altro discorso».
Negli anni in cui fu ministro, alcune norme che propose (pacchetto Treu) furono emanate con lo scopo di contrastare la disoccupazione attraverso l’introduzione di contratti di lavoro temporanei e flessibili. Per qualcuno si cominciarono allora ad allargare i nodi del lavoro verso formule più precarie. Guardando indietro come valuta quell’intervento?
«All’epoca quel pacchetto andava bene. I giovani oggi sono trattati male, mentre allora non lo erano. I salari erano più adeguati al costo della vita. Sono passati 25 anni. Adesso bisogna fare molta più formazione e favorire la mobilità».
Sempre da ministro si è occupato di previdenza. Oggi ci sono una serie di condizioni critiche: calo demografico, stipendi più scarni e disoccupazione giovanile, invecchiamento della popolazione. Con un sistema contributivo si riusciranno a garantire pensioni in futuro?
«La questione demografica è una questione, grave, nota da almeno 15 anni. È importante intervenire con politiche familiari, guardando al modello di altri Paesi. Ci vorrà molto tempo per arrivare a situazioni di equilibrio. Ma il vero problema da risolvere è il lavoro. Perché se i giovani oggi sono disoccupati o hanno lavori discontinui, non avranno una pensione domani o questa sarà inadeguata. Come alternativa si dovrebbero studiare misure per garantire uno zoccolo di base o contributi figurativi che integrino i buchi previdenziali»
Il suo intervento nel corso del convegno per i dieci anni di Mutua Artieri verterà sulla sanità integrativa. A che punto siamo e quali spunti dà per il suo futuro sviluppo?
«La sanità integrativa oggi è molto sviluppata. Ne beneficiano circa 13 milioni di persone. Dai metalmeccanici dipendenti ai commercianti fino alle banche. Il caso di Mutua Artieri è particolare, perché si tratta di un fondo legato agli imprenditori. Imprese artigiane, spesso piccole, che si mettono insieme per avere una protezione in più. La trovo un’esperienza positiva. In generale la sanità integrativa non deve sostituire un servizio pubblico di base, che è necessario funzioni. Quello che servirebbe sarebbe, come fatto con i fondi pensione, introdurre regole che garantiscano regolamentazione e chiarezza».