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martedì 3 Giugno, 2025

Migranti trasferiti, la dirigente scolastica Ghetta: «Ci vuole più rispetto per i bambini, hanno diritto di finire la scuola»

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La dirigente dell’Istituto Trento 6 spiega: «Spostati come pacchi, le famiglie vanno in difficoltà, io e i docenti disposti ad andare a prenderli»

I diritti dei bambini prima di tutto. È questo il messaggio che manda Chiara Getta, dirigente dell’Istituto scolastico Trento 6, quello in cui sono accolti molti dei bambini ospiti della Residenza Adige alla Vela. 22 famiglie, molti di più i bambini che frequentano le varie scuole dell’Istutoto: molti vanno alle San Vigilio della Vela, alcuni alle Schmid di Cristo Re, i più grandi alle medie Manzoni e i più piccoli nei servizi per l’infanzia. Delle 22 famiglie in uscita dalla Residenza, perché il proprietario dell’immobile ne ha chiesto la restituzione, 14 sono state trasferite in alloggi Itea, mentre altre 8 ancora aspettano di conoscere il loro destino. Per tutti i bambini coinvolti in questo stravolgimento delle loro abitudini però i traslochi rischiano di avere un impatto sulla loro possibilità di concludere l’anno scolastico. «Che è un loro diritto», ricorda Ghetta.
Dirigente lei sa di avere alcuni di questi minori nelle sue scuole? Che ne pensa della situazione?
«Io so di avere almeno otto bambini iscritti tra primaria e secondaria. È chiaro che siamo di fronte a una decisione attesa, ma imprevista nei tempi. Siamo preoccupati per come potranno vivere gli ultimi giorni di scuola insieme ai loro amici e compagni. In una situazione già faticosa per loro e le famiglie, la scuola rappresenta un punto fisso, un porto sicuro: non vorremmo che la perdessero. La nostra richiesta è quella di essere informati su cosa stia accadendo a queste famiglie. L’assurdo è che i trasferimenti sono stati avviati senza sapere dove sarebbero finiti. Ci sono mamme con più bambini, situazioni anche molto delicate. La cosa importante per noi ora è ricevere queste informazioni: per questo ringrazio il Cinformi per la condivisione e per aiutarci a capire come poter essere d’aiuto. Anche i docenti sono colpiti da questa situazione, mi chiedono come possono dare una mano concretamente».
Qual è per voi ora l’urgenza?
«L’ordine delle priorità è vario, ma la cosa più urgente è farli arrivare a scuola. Mancano pochi giorni alla fine, ma hanno diritto di concludere l’anno. Queste famiglie, spostate come pacchi, non so se avranno poi la forza di accompagnare i bambini nei prossimi giorni: hanno bisogno di supporto. Noi ci siamo messi a disposizione: li andremo a prendere, ovunque siano. Se necessario, farò il giro io con l’auto. Anche i docenti, in base alle zone, si sono offerti di aiutare. Tutti sappiamo quanto un trasloco sia stressante: in queste condizioni, pensare a una mamma con quattro figli – due neonati, un infante e un bambino alle elementari – rende davvero difficile immaginare che riesca da sola a portarli a scuola ogni mattina. I docenti si sono mossi anche per fornire cibo, vestiti, oggetti utili: tutto ciò che serve a una famiglia in una nuova casa. Mi sono impegnata a fare da ponte su queste necessità. In tutto questo, però, resta l’amarezza. Parliamo di bambini: avranno una casa, e mi auguro che questo porti stabilità e migliori la loro condizione. Ma mi rimane il dubbio che si potesse gestire tutto con maggiore attenzione».
Cioè?
«Il nodo è nelle modalità. Quando c’è di mezzo un bambino, penso che qui siano stati violati dei diritti. La scuola è un punto di riferimento stabile, e l’istruzione rappresenta un valore primario per queste famiglie. Su questo aspetto dovrebbe esserci la massima attenzione. Comprendo che non sempre si riesca a gestire tutto nei tempi ideali, ma la situazione mi ha lasciata molto perplessa. Abbiamo una Carta dei diritti dei bambini, una Costituzione: bisognerebbe agire nel solco di quei principi, che però troppo spesso non trovano riscontro nei fatti. Questo ci ha colpiti profondamente. La situazione era nota da mesi: ci avevano garantito che i bambini avrebbero potuto concludere l’anno scolastico qui. Poi le cose sono andate diversamente. E c’è anche un discorso più ampio da fare…»
Ossia?
«Serve più attenzione all’integrazione. Servono corsi di italiano per le madri, una rete efficace tra i servizi. Abbiamo molte famiglie straniere, ma la riduzione dei servizi – i tagli – non vanno certo a favore dell’integrazione. Noi, a scuola, ci proviamo con tutte le forze, ma da soli non basta. C’è una certa ipocrisia di fondo, che tende a inquadrare il fenomeno solo attraverso luoghi comuni o con risposte inefficaci. Ho visto ridursi anche i percorsi di istruzione per adulti. Integrare significa dare la possibilità di essere parte della società, a partire dalla lingua e dalla partecipazione attiva ai contesti sociali. Con le mamme abbiamo cercato di far comprendere il nostro lavoro, ma manca la mediazione culturale: ed è un elemento fondamentale».