La storia

mercoledì 26 Novembre, 2025

Matteo Morlino: «Mia figlia uccisa davanti ai figli. Sussidi per i nipoti? Solo aiutini, senza il mio Tfr non ce l’avremmo fatta»

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Il papà di Carmela, ammazzata nel 2015 da Marco Quarta, e la battaglia per proteggere i nipoti

«Sono già trascorsi più di dieci anni da quando nostra figlia Carmela è stata uccisa da quell’assassino davanti ai figli e il tempo che passa non aiuta, no. Il dolore è così grande che non si può superare. Ci penso molte volte al giorno a nostra figlia, ai nostri due nipoti, al ricordo di ciò che ha subito lei e che hanno subito i ragazzi, allora bambini. In questi anni abbiamo dovuto affrontare problemi che nessuno può immaginare. Se siamo riusciti a salvare i nostri ragazzi, di cui abbiamo ottenuto non senza difficoltà l’affidamento sine die, è stato grazie alle nostre risorse economiche. I contributi destinati loro quali orfani di femminicidio sono importanti ma sono solo un aiutino.. inezie». La voce di Matteo Morlino, ex docente di diritto ed ex assessore foggiano, è pacata e dolce ma graffiata da un dolore acuto mentre racconta di come «quell’assassino» — non lo chiama mai per nome — si sia arrogato il diritto di uccidere l’amata figlia 35enne e abbia stravolto e segnato la vita di tutti loro. Quell’uomo è stato condannato in via definitiva a 30 anni e sta scontando la pena in carcere a Bollate. Era già finito ai domiciliari per aver violato quattro volte il divieto di avvicinare la madre dei suoi figli ma «il magistrato lo aveva rimesso in libertà grazie a una perizia e così ucciderà Carmela» sospira il professore. Era la sera del 12 marzo 2015 quando Marco Quarta, agente immobiliare allora quarantenne, aveva teso un agguato fuori casa, a Zivignago di Pergine Valsugana, all’ex moglie Carmela Morlino che l’aveva già denunciato per maltrattamenti rivolgendosi anche ai centri antiviolenza. Quando ce l’ha avuta davanti le aveva scagliato una raffica di coltellate, una quindicina, inferte senza pietà, anche mentre le era sopra.

«I miei nipoti, allora 6 e 9 anni, hanno visto quasi tutto..» racconta Matteo Morlino che assieme alla moglie Teresa D’Orsi, anche lei ex docente, da allora stanno crescendo quei ragazzi con tanto amore e dedizione per dare loro un futuro sereno: sono il loro motore e senso di tutto. La loro missione di vita.
Professor Morlino, lei ha sempre detto che sua figlia Carmela era stata lasciata sola, senza protezione, voi invece avete potuto contare su supporti e sussidi economici e psicologici?
«Se io e mia moglie Teresa non avessimo avuto il trattamento di fine rapporto — eravamo andati in pensione da poco — non ce l’avremmo fatta. E certo mi capita di pensare a quelle famiglie che invece non hanno disponibilità economiche. I sussidi della Provincia di Trento per i nostri nipoti, in quanto vittime di femminicidio, non sono più stati erogati dopo che ci siamo trasferiti a Foggia, quindi mi sono dato da fare per ottenere gli indennizzi statali del Fondo gestito dalla concessionaria Consap. Una somma di 300 euro a ragazzo che però, mi è stato comunicato, terminerà tra qualche mese per il più grande, al compimento dei suoi 18 anni, per quanto stia ancora studiando. Era un aiutino, comunque importante. Anche il contributo per le spese scolastiche di mille euro non è stato sufficiente a coprire le rette».
Insomma, inezie rispetto a quanto avete speso finora?
«Già.. I nostri nipoti erano estremamente provati, avevano già un futuro segnato. Considerati i gravi traumi subiti erano destinati a diventare pazzi, ciechi o muti. Invece lo abbiamo scongiurato grazie al nostro impegno, anche finanziario, e al supporto di specialisti esperti a cui ci siamo affidati anche io e mia moglie: anche noi abbiamo avuto bisogno di psicologi per essere curati per il forte trauma».
Soldi che avete sborsato anche per affrontare i tanti processi, no?
«Sì, tredici finora, e solo per due abbiamo avuto il gratuito patrocinio. Tanti processi in cui i colpevoli sembravamo essere noi. Noi vittime. I processi penali ma anche quelli civili – e con l’occasione ringrazio l’avvocata Elisa Molinari che ci ha assistito. Dal procedimento per ottenere dal tribunale dei minori l’affidamento dei nostri nipoti — estenuante e tremendo, da incubo — a quello per riuscire a diseredare del suo 50% l’assassino dopo che noi soli avevamo continuato a pagare il mutuo della casa di Zivignano, per scongiurare che andasse all’asta. E ancora quello che ha portato il giudice a rigettare la richiesta dei familiari dell’assassino di avere contatti con i ragazzi: il giudice ha vietato loro ogni rapporto. Ora i processi sono finiti ma è stata davvero dura: assistevo ad ogni udienza a Trento e quanti patemi d’animo..».