psicot
mercoledì 24 Settembre, 2025
Maria Rostagno: «Il conflitto genitori-figli? Fa parte della crescita, rafforza la relazione»
di Stefania Santoni
La psicologa: «Nei litigi familiari non emergono solo motivi del presente, ma anche ferite antiche e non dette»

Care ragazze, cari ragazzi, capita a tutti di discutere con i propri genitori: ci si sente fraintesi, non ascoltati, oppure arrabbiati per regole che sembrano incomprensibili. Eppure, dietro quei conflitti si nascondono spesso occasioni per conoscersi meglio, da entrambe le parti. Per questo, nella rubrica «PsicoT» abbiamo chiesto alla psicologa Maria Rostagno di aiutarci a capire come affrontare questi momenti difficili e trasformarli in un dialogo più sereno.
Maria, Perché a volte sembra che i genitori non capiscano i propri figli, anche se provano a spiegare come si sentono?
«Succede perché genitori e figli parlano linguaggi emotivi diversi. Un genitore interpreta ciò che un figlio racconta attraverso le proprie esperienze, i propri valori e le proprie paure. Questo crea una sorta di “filtro” che può rendere difficile capire davvero cosa stia vivendo l’altro. Dal punto di vista psicologico, spesso i genitori proiettano sui figli parti di sé, desideri o aspettative: ascoltano, ma lo fanno con l’orecchio del proprio mondo interno più che con quello del figlio. Non significa che non ci sia amore, ma che per comprendere davvero serve riuscire a mettere da parte il proprio vissuto per accogliere quello dell’altro. Anche lo sviluppo ha un ruolo importante: durante l’adolescenza si vivono emozioni nuove e intense, spesso difficili da tradurre in parole. Così, anche quando un figlio prova a spiegarsi, può capitare che il linguaggio usato sembri distante o complicato da decifrare per un genitore».
Quando si litiga con la propria madre, con il proprio padre, qual è il modo migliore per non far peggiorare la situazione e riuscire a farsi ascoltare davvero?
«Il primo passo è riconoscere l’emozione che sta prendendo il sopravvento. Nei conflitti familiari spesso è la rabbia a guidare: si alza la voce, ci si interrompe, si ripetono sempre le stesse frasi. Ma in questo modo non facciamo altro che attivare difese anche nell’altro. Un consiglio utile è spostare l’attenzione da “tu” a “io”: invece di dire “tu non mi capisci mai”, provare con “io mi sento frustrato quando…”. Così si riduce la percezione di attacco e aumenta la possibilità che l’altro ascolti davvero. Dal punto di vista psicoanalitico bisogna ricordare che nei litigi con i genitori non emergono solo motivi del presente, ma anche ferite antiche e non dette: ci portiamo dietro dinamiche che si riattivano ogni volta. Se riusciamo a esserne consapevoli possiamo non farci travolgere e restare più aperti al dialogo. A volte, poi, serve anche una pausa: fermarsi, respirare e riprendere il discorso in un momento più calmo. È la regolazione emotiva che trasforma uno scontro sterile in un confronto costruttivo».
I conflitti tra genitori e figli sono inevitabili: come possiamo trasformarli in occasioni per conoscerci meglio, invece che solo in scontri?
«Sì, perché fanno parte della crescita e segnano il passaggio dall’infanzia all’autonomia. Non sono solo “rotture”: possono diventare occasioni per conoscersi meglio e rinegoziare il legame. Ogni conflitto porta in realtà un messaggio: il figlio cerca riconoscimento della propria individualità, il genitore vuole mantenere il legame e trasmettere valori. Se riusciamo a guardare oltre la rabbia possiamo chiederci: che bisogno sta esprimendo davvero l’altro? La psicoanalisi ci ricorda che il conflitto, se accolto, fa emergere parti profonde della relazione. Il genitore può scoprire aspetti nuovi del figlio, e il figlio può cogliere anche le fragilità del genitore. Trasformare il conflitto significa passare dalla logica del “vincere o perdere” a quella del “capire e crescere insieme”. Non è semplice, ma quando accade la relazione diventa più autentica e solida».
psico t
Dal prepararsi lo zaino allo studio individuale, Lazzeri: «Autonomia significa anche saper chiedere aiuto»
di Stefania Santoni
La psicoterapeuta: «La presenza del genitore, che guida e affianca, è utile e necessaria; poi diventa importante lasciare che i figli, le figlie, se ne occupino da soli»