L'intervista

sabato 24 Maggio, 2025

Ludovico «Dodo» Versino e il fenomeno (virale) degli ensemble giovanili. «Ho creato 16 cori con 500 adolescenti. La musica? Unisce»

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Il doppiatore ha creato un movimento nei licei di Roma e arriva a Mattarello a raccontare la sua esperienza. «Durante la pandemia abbiamo mantenuto vive le relazioni con l’arte»

Musicista, doppiatore, attore. Ludovico «Dodo» Versino è un artista a 360 gradi, ma il suo successo forse più grande è quello ottenuto come maestro di coro all’interno dei licei della «sua» Roma. Un percorso partito nel 2012, quando per la prima volta un professore lo invitò a insegnare nel liceo classico Albertelli nel cuore della Capitale: oggi Versino, con l’aiuto di alcuni collaboratori, dirige e gestisce 16 cori sparsi fra i vari istituti scolastici della provincia, coinvolgendo circa 500 studenti, e i video delle varie esibizioni vantano migliaia di visualizzazioni sui social. Domani il maestro sarà al centro civico di Mattarello prima per un corso dalle 16 alle 19 e poi, a partire dalle 20:30, per raccontare la sua esperienza. A seguire, l’evento si concluderà con i concerti del coro Torre Franca e di quello giovanile dei Minipolifonici.

Versino, come è nata questa idea dei cori scolastici?
«Io sono sempre stato un appassionato corista, diventato direttore nei primi 2000. Nel 2012, dopo un concerto con uno dei miei cori, un professore del liceo Albertelli, che si trova a poca distanza dalla stazione di Roma Termini, mi chiese di andare lì a insegnare coro. Accettai, e da lì visti anche gli ottimi riscontri si è innescato in maniera quasi inaspettata un continuo passaparola fra i diversi istituti, che ha portato alla creazione di tanti cori scolastici in tutta la provincia. Ci sono stati anni in cui all’Albertelli era quasi insolito trovare qualcuno che non facesse parte del coro».

Come si è evoluta l’iniziativa?
«Siamo arrivati al punto in cui ho dovuto mettere su una piccola vera e propria scuola, una squadra di direttori per poter seguire tutta l’attività. Oggi come associazione promuoviamo 16 cori scolastici che variano dai 20 ai 60 componenti, e coinvolgiamo circa 500 studenti. Abbiamo girato video visti da oltre mezzo milione di persone su YouTube come il medley dei Queen, cantato in concerti prestigiosi e vinto concorsi».

Fra questi ragazzi c’è anche chi ha proseguito poi questo impegno una volta terminato il liceo, magari trasformandolo in professione?
«Certamente. In questa piccola scuola a cui facevo riferimento ci sono anche giovani coristi che poi impieghiamo come assistenti o direttori dei vari cori scolastici. E poi qualche anno fa è nato il Coro che Non c’è, formato da oltre 90 dei ragazzi più “entusiasti” che durante gli anni di liceo avevano preso parte all’iniziativa. Un’altra idea che è sorta da sé, precisamente dopo un concerto interscolastico a Montecatini. Lì ho capito quanto questi studenti, che venivano da scuole diverse, avessero legato fra loro, e ho proposto quindi di formare un coro».

Quale crede che sia il motivo del grande successo che ha avuto in queste scuole?
«Credo che molto dipenda da noi come maestri, da come cerchiamo di trasmettere la nostra passione. Io da sempre con i ragazzi cerco di avere un approccio leggero, allegro, fresco, perché loro decidano volontariamente di trascorrere dei pomeriggi a cantare piuttosto che a fare altre attività. Ci sono tanti modi in cui questo approccio viene messo in pratica: si parte ad esempio dalla scelta del repertorio. Se si comincia subito a proporre musica popolare, in un qualche dialetto particolare, o dei brani più “colti” i ragazzi difficilmente si appassionano. Cominciare invece con i Queen piuttosto che con Cohen è già un primo passo per avvicinarli e rendere la proposta per loro più accattivante. Se sentono di star cantando bene una canzone che gli piace ritorneranno di sicuro. La gestione dei primi incontri, quindi, è fondamentale. Poi, ovviamente, un ruolo decisivo lo gioca anche la scuola in cui organizziamo il progetto e la disponibilità che troviamo».

Come promuovete l’iniziativa ogni anno all’interno delle scuole per rinnovare l’organico?
«È un tema fondamentale perché, considerando che i cori sono aperti a studenti di ogni classe dalla prima alla quinta, è tanto anche solo partire da una base di 20 ragazzi rispetto all’anno precedente. Facciamo brevissimi incontri di due minuti per classe in cui chiediamo banalmente di compilare un questionario, rispondendo a domande sui propri gusti e conoscenze musicali. Le ultime due domande poi sono quelle “decisive”: nella prima chiediamo se lo studente sarebbe interessato a far parte del coro, nella seconda, qualora abbia risposto no, domandiamo invece se sarebbe disposto anche solo a fare una sola lezione. Chi risponde sì a quest’ultima domanda viene poi convocato a sua insaputa, durante l’orario scolastico, per partecipare a una prova molto “leggera”. Da lì si riallaccia tutto il discorso riguardo all’approccio e ai primi incontri».

Per un maestro di così tanti cori cosa significa lavorare con i giovani?
«Lo definirei un “west”, un terreno spesso incolto. Lavorare con i giovani è meraviglioso per l’entusiasmo e l’energia che mettono in tutto quello che fanno, per la loro rapidità di miglioramento e apprendimento. Un adulto che si avvicina per la prima volta a un coro deve fare una fatica quadrupla rispetto a un adolescente. Serve però pazienza, vocazione, la consapevolezza che stai andando “in trincea” e troverai magari degli studenti più timidi, altri poco interessati, altri rumorosi. Ma quello che si riceve è enorme rispetto a quello che si dà. Anche da un punto di vista tecnico e professionale: il coro è un’arte assimilabile allo sport, le voci dei giovani sono pulite, più piacevoli da sentire e più duttili».

E quali sono invece i benefici per i ragazzi di far parte di un coro?
«Ogni singolo coro è un fiorire di rapporti e relazioni: si conoscono persone nuove, di età diverse, con cui si condivide una passione, è qualcosa di diverso anche rispetto al trovarsi in classe con i diversi compagni. Questa rete e questi benefici poi si moltiplicano esponenzialmente quando si organizzano concerti ed esibizioni con altri cori scolastici e si allargano gli orizzonti».

C’è qualche storia che le è rimasta particolarmente impressa con uno di questi cori?
«Citerei nuovamente il Coro che Non C’è. Il progetto è partito nel 2019, pochi mesi prima dello scoppio della pandemia covid-19 che ha obbligato i ragazzi a restare chiusi in casa propria. Quando è scattato il lockdown avevamo in preparazione un arrangiamento del brano Helplessly Hoping di Crosby, Stills e Nash. Abbiamo chiesto ai ragazzi di registrarsi mentre cantavano il brano realizzando poi un video unico: qualcosa che abbiamo visto tante volte in quei mesi, ma credo che siamo stati fra i primi a proporlo visto che è stato pubblicato il 25 marzo. L’iniziativa ha avuto un successo incredibile a livello internazionale: ne ha parlato il New York Times, e lo stesso Crosby dopo averla sentita l’ha definita la miglior versione che ne ha mai ascoltato. Ci sono ragazzi che mi hanno chiamato in lacrime per la commozione dopo quel successo quasi sproporzionato».