l'intervista

martedì 8 Luglio, 2025

L’ex sindaco di Bolzano Salghetti Drioli: «Il Trentino è più avanti dell’Alto Adige: l’università è un grande motore»

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Primo cittadino del capoluogo altoatesino dal 1995 al 2005: «Trasformare “piazza della Vittoria” in “piazza della Pace” era un esempio di crescita culturale. Ma i cittadini lo bocciarono. Rimanemmo in un altro tempo. Oggi, però, la convivenza è migliorata»

È stato sindaco di Bolzano per una decade, tra il 1995 e il 2005. Quell’anno, al ballottaggio per il terzo mandato, venne sconfitto d’un pelo da Giovanni Benussi del centrodestra (per sette soli voti) che però, senza maggioranza, non riuscì a formare una giunta. E il pallone tornò al centrosinistra-Svp, prima con Spagnolli e poi con Caramaschi. Ora, con Corrarati, il pendolo è tornato a destra. Idem a livello provinciale, già dal 2018, con la Stella alpina al governo con partiti della destra italiana (ieri la Lega, ora Fratelli d’Italia). Oggi, a 83 anni, Giovanni Salghetti Drioli assiste con un certo distacco alle eterne diatribe della politica altoatesina o sudtirolese, a seconda delle propensioni: già a suo tempo, peraltro, l’assenza del benché minimo afflato nazionalista gli veniva riconosciuta o viceversa imputata, anche qui a seconda dei gusti. E infatti non è del tutto d’accordo con lo storico Hans Heiss, che nei giorni scorsi liquidava l’eterna questione sudtirolese, e in particolare la proporzionale etnica per l’assegnazione di posti nel pubblico impiego, con questo folgorante giudizio: «Qui le soluzioni provvisorie sono sempre definitive. Come nel resto d’Italia».
«Direi invece che un po’ di cambiamenti concreti ci sono stati – afferma Salghetti – proporzionale, censimento etnico e bilinguismo sono i capisaldi dell’Autonomia. Si temeva che avrebbero fatto inasprire la convivenza. Soprattutto gli italiani erano preoccupati, perché erano i più deboli: la lingua tedesca poco conosciuta, la provenienza da regioni diverse… Invece, alla fine, anche per loro la proporzionale ha costituito una garanzia, benché oggi un posto pubblico non sia più considerato invitante come un tempo. Se poi nel bilinguismo ci sono ancora difficoltà, queste riguardano anche il gruppo tedesco, specie in periferia. E ultimamente servono sempre più spesso deroghe per garantire i servizi. Ma se siamo rimasti un po’ indietro, penso soprattutto al confronto con Trento».

Con Trento? E perché?
«Ha investito molto in cultura, con un’università molto aperta e attrezzata. Ma tutto il territorio trentino lo è. Anche noi qui abbiamo voluto l’università, ritenendola importante per la crescita di questa terra: ora è arrivata anche Ingegneria, ma siamo appena all’inizio. Abbiamo però un grosso problema: mancano le iscrizioni, perché è difficile sistemarsi a Bolzano a livello residenziale, collegi e studentati non bastano. Poi penso anche ai tanti festival che animano la vita trentina. Noi siamo a ottimi livelli nel turismo, certo, ma forse si è investito anche troppo».
Negli anni in cui lei era sindaco a Bolzano, era invece Trento a soffrire di complesso d’inferiorità nei confronti dell’Alto Adige. In Trentino erano gli anni della frammentazione e dei partiti-persona.
«Adesso si sono invertite le parti, purtroppo. La nostra è una bella zona, c’è tanta natura, anche se riusciamo a volte a rovinarla, ma culturalmente c’è poco da fare. Siamo rimasti un po’ città di provincia, questa è la verità».
Fu lei nel 2001 a promuovere, con la sua giunta, il mutamento di piazza della Vittoria, con il nuovo nome «piazza della Pace». Neppure un anno dopo un referendum ribaltò tutto.
«Quello era un esempio di crescita culturale, ma venne bloccata dai cittadini. Ci si aspettava che da parte della popolazione ci fosse una presa di coscienza, che i tempi fossero ormai quelli giusti, invece eravamo ancora indietro. Oggi forse, vedendo quotidianamente che cosa comportano le guerre, e che come diceva papa Francesco non ci sono vincitori ma siamo tutti perdenti, è ancora più chiaro che stare a rievocare vittorie aveva poco senso. E che è invece la pace che andrebbe evocata. Speriamo che i tempi migliorino».
Oggi si potrebbe ritentare?
«Adesso direi proprio di no. Ma la convivenza da allora è molto migliorata. Sta diventando positiva, finora era negativa: si stava assieme senza un’idea profonda di arricchimento e confronto. Ora si sta iniziando, specie tra i giovani si è capito che i confini uniscono invece di dividere. Ma un altro problema che abbiamo riguarda proprio i giovani, che stanno scappando da questa terra. I più preparati, quelli che hanno più chance di crescita, studiano all’estero e poi ci rimangono. Perché qui la vita è troppo cara».
Bolzano resta città divisa tra italiani e tedeschi, anche solo dal punto di vista urbanistico.
«Ci sono rioni, è indubbio. Esistono, però, locali frequentati da entrambi i gruppi, il teatro per fortuna è abbastanza misto, l’auditorium unisce e non divide, ma alla fine è come dice lei: non è che ci sia molta circolarità».
Il centrodestra governa in Provincia e ora anche il Comune. Quando vinse Benussi, anche se poi si dovette tornare subito a votare, ci furono grandi discussioni. Oggi è avvenuto senza sollevare troppe polemiche. Significa che le divisioni e le resistenze sono definitivamente superate?
«Significa che i partiti non hanno più riferimenti ideologici, che si guarda più a un progetto di coalizione che non a fronti separati. Non vedo neppure grandi differenze tra centrosinistra e centrodestra, spesso non si riesce a capire da che cosa siano caratterizzati. La vita è più avanti, c’è attenzione su determinate priorità ma non c’è una nitida politica di destra».
Bolzano e l’Alto Adige sono comunque sempre poco compresi dal resto d’Italia. Avrà letto dei commenti di Corrado Augias, quindi non un uomo di destra, su Jannik Sinner.
«Purtroppo è così. I turisti vengono più che altro per la natura, ma della vita di qui tutto sommato conoscono poco. Il guaio è che siamo la terra più cara d’Italia, questo è il problema grosso. E la forbice si sta allargando: chi vive nel sociale o fa volontariato, si accorge che la povertà è in crescita. Poi abbiamo il problema della casa: gli imprenditori si stanno rendendo conto che forse è il caso di estirpare qualche meleto, che occorrono nuovi terreni. È un problema che si ripercuote anche sull’occupazione: si trova poco personale anche perché non ci sono case».
In questo quadro quanto avrebbe senso, oggi, rilanciare un’ipotesi di terzo Statuto di autonomia? Ha ragione Heiss nel preferire piccole correzioni più o meno provvisorie a una nuova stagione riformatrice?
«Siamo gattopardiani. Penso anch’io che grandi stravolgimenti sono impossibili, perché darebbero solo preoccupazioni. Le due Province e la Regione hanno un’autonomia finanziaria più che garantita, non vedo ulteriori margini a livello istituzionale. Qualche problema potrebbe venire in futuro dall’Europa, se decidesse di diventare più Europa. Vediamo che cosa accadrà».