l'editoriale

sabato 27 Settembre, 2025

Le guerre d’attrito uomo-natura

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La maggior parte di questi conflitti si basa sostanzialmente sul lento esaurimento delle risorse dell'avversario. Un approccio che nel caso della natura non ci possiamo permettere perché significherebbe banalmente (e in qualche caso letteralmente) farci franare la terra sotto i piedi

Il rapporto uomo natura viene spesso rappresentato come conflitto dove il primo, spesso armato di una qualche tecnologia, affronta la minaccia rappresentata dalla seconda. Questo confronto sembrava essersi sostanzialmente risolto con una vittoria degli umani che si sono sempre più dimostrati capaci di soggiogare gli ecosistemi naturali sfruttandoli come risorse. Ma questa forma di dominio ha progressivamente generato squilibri sistemici che sono visibili soprattutto nel cambiamento climatico. Un’alterazione difficilmente reversibile e catastrofica degli effetti e che, letta ancora con le lenti del contrasto, ha provocato un salto di scala del conflitto.

Ora la natura è rappresentata come sofferente ma anche ribelle e virulenta nelle reazioni come mai, o raramente, si era visto prima. Questo confronto a livello macro è stato affrontato dagli umani attraverso strategie che hanno cercato di introdurre correttivi volti a riequilibrare le alterazioni climatiche ad esempio grazie a nuove tecnologie per lo sfruttamento delle risorse naturali o limitando gli effetti negativi di quelle più impattanti. Uno sforzo che tutto sommato sta funzionando mentre invece non si può dire altrettanto rispetto al livello politico a causa di interessi contrastanti tra le diverse società umane non solo per le caratteristiche dei loro regimi di governo ma anche per il loro ciclo di sviluppo e per la diversa disponibilità di risorse naturali.

C’è però un altro tipo di conflitto che, rubando l’espressione al vocabolario militare oggi purtroppo molto in uso, può essere definito di attrito. Il rapporto uomo natura è fatto anche da un crescente numero di micro sconfinamenti che generano uno stato di crisi ricorrente soprattutto nelle comunità locali e nelle aree naturali contigue. L’avanzamento dei boschi a ridosso degli insediamenti abitativi, anche di quelli urbani, e, al contrario, umani che per ragioni diverse si spingono all’interno di aree naturali antropizzandole, rappresentano un quadro sempre più diffuso e difficile da risolvere. In questo scenario si colloca il ritorno della natura animale con specie selvatiche e predatrici di ritorno (non solo per scelte di reintroduzione artificiale) a cui si accompagna la colonizzazione di aree ancora naturali o che in passato erano state abbandonate. Il rischio, già piuttosto evidente, è quello di un logoramento reciproco, praticamente senza una soluzione vera e propria ma con continui aggiustamenti che molto spesso si dimostrano precari, pronti a essere travolti.

Nei manuali militari non ci sono molte soluzioni rispetto a come risolvere una guerra d’attrito perché la maggior parte di queste si basano sostanzialmente sul lento esaurimento delle risorse dell’avversario. Un approccio che nel caso della natura non ci possiamo permettere perché significherebbe banalmente (e in qualche caso letteralmente) farci franare la terra sotto i piedi. Ma comunque un’indicazione interessante c’è ovvero la necessità di dotarsi di una strategia di lungo periodo senza la quale l’attrito rischia di diventare una condizione permanente per entrambi i contendenti. A ben pensarci questo è l’approccio che ha consentito nel passato di costruire e mantenere in modo costante e paziente “zone cuscinetto” tra luoghi umani e aree non antropizzate, oppure di sviluppare forme di insediamento temporaneo lasciando poche tracce una volta liberate o ancora di selezionare l’utilizzo di risorse naturali allo scopo non di esaurirle ma al contrario di favorirne una migliore riproduzione. Strateghi e filosofi parlano sempre più spesso, seppur a volte in modo ambiguo, di “long path”, cioè di percorsi lunghi che, attingendo a quel che rimane della nostra cultura popolare, per essere intrapresi richiedono un passo lento e costante che guardi in prospettiva inter-generazionale grazie a istituzioni costruite ad hoc come gli usi civici e la cooperazione. Un percorso che finalmente ci porti fuori anche da questa ideologia del conflitto con la natura che a ben pensarci è senza senso, considerato che della natura siamo parte integrante anche in questa fase di presunto suprematismo su di essa.

*Sociologo, Open Innovation Manager del Gruppo cooperativo Cgm