Il campione
mercoledì 31 Gennaio, 2024
Jannik Sinner a ruota libera: «Io numero uno? Un passo alla volta»
di Francesco Barana
Il campione per un'ora faccia a faccia con i giornalisti: «Montecarlo? Mi sento a casa. Vittur cruciale. Sanremo? Un evento bello, ma non ci andrò, sarò in campo a lavorare»
Realpolitik. Jannik Sinner, nella conferenza stampa organizzata dalla Fitp a Roma, non ha concesso voli pindarici. Ma i sogni tennistici, quelli sì, li ha confidati: «Il mio era di vincere uno Slam e in questi gironi ho provato la sensazione che si vive nel riuscirci. Lavoreremo per poterla riassaporare». Il resto è un concentrato di idee chiare e soprattutto praticabili: «Gli obiettivi futuri? Giocare al meglio gli altri tre Slam della stagione e andare a caccia di ogni torneo, consapevole che ci saranno anche momenti meno buoni. Diventare il numero 1 del mondo? Ora sono numero 4, quindi proviamo a fare un passo per volta e intanto entrare nei primi tre. Non guardo troppo in là, il futuro è imprevedibile».
Nell’ora passata davanti ai cronisti (Jannik probabilmente non ha mai parlato così a lungo in vita sua…) il fresco campione degli Australian Open, a mente fredda, ha speso parole di gratitudine ragionata anche verso i suoi coach Simone Vagnozzi e Darren Cahill: «Con Simone curo molto la parte tattica e tecnica. Darren mi dà molto sul piano mentale, lui ha portato tanti giocatori a essere numeri uno e domenica è stato il suo quinto Slam vinto come coach». Ma è Alex Vittur, il manager nativo di Brunico, la persona più importante della vita sportiva di Sinner: «Lui è quello più vicino a me, quando ho un problema più grande vado da lui. L’ho conosciuto che avevo 13 anni e certamente è quello con cui ci capiamo di più. Alex sa come sono e sa com’ero. Se ne parlo poco è perché lui vuole così».
Dietro al campione c’è anche un ragazzo molto attento e sensibile: «Non ho voluto festeggiare la vittoria a Sesto Pusteria perché lì è successo un incidente con tre morti, una tragedia che ha coinvolto una famiglia con due bambini. In paese è un momento difficile e non aveva senso festeggiare lì». Poi un pensiero rivolto ai ragazzi come lui, che tocca corde psicologiche profonde: «Dico di stare attenti ai social. A me non piacciono, non è quello il mondo reale, vedi delle cose che non sono vere. Sui social si postano solo foto in cui tutto sembra che ti va bene, poi magari uno a cui le cose non girano e le guarda sta male. Personalmente vivo senza i social e continuerò ad andare avanti così».
Nel mondo di Sinner esiste un paradosso: il suo minimalismo collide con l’entusiasmo di massa che scatena l’atleta, non solo in Italia. Noi giornalisti, in debito di originalità, la chiamiamo Sinnermania, il fatto è che Jannik piace: «Ma è perché vinco – si schermiva lui ieri – forse piace come vivo le vittorie e le sconfitte, come mi relaziono con le persone. Poi io sono un ragazzo semplice e normale che gioca al computer e a volte mangia da solo in camera».
Un ragazzo che è già un simbolo italiano, da ieri nominato anche ambasciatore dello sport dal governo, e che la prossima estate sarà alle Olimpiadi, forse addirittura portabandiera azzurro: «Sarò contento di essere ai Giochi, sarà la prima volta per me. Lo considero un momento chiave della mia stagione sportiva e anche della mia crescita umana, sono curioso di conoscere gli altri atleti, scambiare con loro idee».
Quel che è ammirevole di Sinner è la maturità con cui affronta le sue cose. Da quelle più delicate per un atleta, vedi la scelta due anni fa di mollare il suo storico coach Riccardo Piatti: «In quel momento le cose non andavano male, eppure avevo dei dubbi. Sembrava una decisione folle, ma io volevo buttarmi nel fuoco e conoscere un altro metodo di lavoro. Per me con conta avere il team migliore, ma quello più unito nel quale ognuno rispetta i ruoli »; a quelle apparentemente più frivole (come il rifiuto a Sanremo) che però danno l’idea di come Sinner conviva in modo sano con la sua popolarità, : «Il festival un evento bello, ma non ci andrò, in quei giorni sarò in campo a lavorare ed è quello che più mi piace fare». Già, il campo, la competizione: «Non ho mai paura quando gioco, posso vivere dei momenti emotivamente difficili, ma paura mai. So che è solo una partita di tennis, al limite perdo e stringo la mano all’avversario».
Sinner ieri ha chiarito, o meglio ribadito poiché ne aveva già parlato altre volte, il tema della residenza a Montecarlo: «Ci sono andato a 18 anni, mi allenavo nella vicina Bordighera e il mio ex allenatore (Riccardo Piatti, ndr) aveva la residenza lì. È il posto ideale per allenarsi, ci sono tanti campioni di tennis contro cui giocare e strutture perfette, dai campi alle palestre. E poi onestamente lì mi sento a casa, posso avere una vita normale, andare per strada o al supermercato con zero problemi. Sto bene lì».
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