L'intervista

lunedì 12 Maggio, 2025

Il vaticanista Agasso: «In conclave Prevost ha avuto un alto consenso: è diventato Papa con oltre cento voti»

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Il giornalista: «Leone XIV è riflessivo, pesa ogni parola: vigilerà sull'intelligenza artificiale»

È bastata qualche ora perché di lui si dicesse di tutto: che è il perfetto continuatore di papa Francesco, che è più moderato, anzi, no, più conservatore, su certi temi. Chi ha spulciato nei registri elettorale lo ha individuato come elettore repubblicano. Ma ha anche votato alle primarie democratiche. E ci mancherebbe: era suo diritto di cittadino americano. Cose che capitano, quando si ha a che fare con un personaggio precedentemente quasi sconosciuto al grande pubblico (e alla stampa generalista), benché tutti in Curia sapessero chi era: il cardinale Robert Francis Prevost, prefetto per il dicastero dei vescovi. Ora il «mistero» si sta dipanando mano a mano che passano le ore, con gli interventi del nuovo pontefice — e le sue omelie. A leggerle, a seguirle, tra i «vaticanisti», anche Domenico Agasso, giornalista de La Stampa e coordinatore di Vatican Insider, il sito collegato al quotidiano torinese, specializzato su tutto ciò che riguarda la Santa Sede e la fede Cattolica.

 

Papa Leone XIV in due giorni da pontefice ha già fatto dichiarazioni importanti. Il discorso dal balcone — il primo scritto nella storia dei pontefici — la Messa in Sistina, quindi l’incontro coi cardinali oggi. Le sue parole, non gli aneddoti, per quanto interessanti, che abbiamo avuto l’occasione di leggere sui giornali, che figura restituiscono?
«Lo collocano in una posizione di equilibratore. Da una parte ci sono i temi che sono stati sempre al centro del pontificato di Francesco, la giustizia, il lavoro. Temi che sono sono spiegati dal nome, che il cardinale Prevost, una volta diventato papa, ha scelto: Leone XIII. E ha dimostrato anche un’attenzione ai temi della tradizione cristiana, indossando, all’uscita sul balcone la stola e la mozzetta, come fatto dai predecessori ma non da Francesco. C’è la volontà di essere pastore tra la gente: lo spiega la sua lunga missione in Perù, che viene accompagnata, allo stesso tempo, dalla conoscenza dei palazzi, a cui ha contribuito molto il suo ruolo da prefetto del dicastero dei vescovi. Insomma, Prevost è qualcuno in grado di tenere insieme tutte le emanazioni del cristianesimo».

 

Parlando proprio del nome: dopo l’Habemus Papam si sono fatte tante ipotesi, dal frate «primo compagno di Francesco», al primo papa Leone, Leone Magno, quello che fermò Attila. Mi sembra che oggi abbia chiarito la sua scelta.
«Sì, il nuovo pontefice ha specificato che il richiamo è a Leone XIII, autore della Rerum Novarum, promotore della dottrina sociale della Chiesa».

 

Quali sono i temi della economici che preoccupano papa Prevost?
«Lui ha il timore che la rivoluzione industriale in atto, quella in cui gioca un ruolo importante l’intelligenza artificiale, ponga seri rischi per la condizione dei lavoratori e la loro dignità».

 

Anche l’omelia pronunciata nel corso della prima Messa, dopo l’elezione ha indicato un chiaro «programma».
«Leone XIV ha avuto subito l’occasione di dire con estremo realismo cosa sta accadendo nel cristianesimo. Non sono solo i non credenti a relativizzare Gesù, ma anche nella comunità dei cristiani si rischia di enfatizzare Gesù come “superuomo”, per citare il termine usato dal pontefice, dimenticando che è il Figlio di Dio morto in croce. Un’analisi della realtà molto lucida. È un papa che è ben cosciente di cosa accade nel mondo».

 

È un linguaggio diverso da quello di papa Francesco.
«Cambia il lessico ma c’è piena sintonia di vedute. Papa Prevost pesa ogni parola e rivendica la continuità con Francesco, come ha dimostrato il commovente omaggio alla tomba del predecessore, dove il nuovo Papa ha posto una rosa bianca e si è raccolto in preghiera».

 

Cosa ne pensa delle ricostruzioni giornalistiche che stanno uscendo del Conclave?
«Quello che so è che al quarto scrutinio l’allora cardinale Prevost ha avuto un consenso molto alto, superiore ai cento voti. Il quorum era di 89».
In questi giorni per La Stampa ha intervistato il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e considerato un punto di riferimento dei «conservatori». Ed è anche un uomo di Chiesa in contatto con Donald Trump. Come pensa che si svilupperanno i rapporti tra il Vaticano e gli Stati Uniti?
«Penso che miglioreranno. Le differenze di vedute rimarranno, ma il dialogo è destinato ad ampliarsi».