la rubrica

giovedì 31 Luglio, 2025

Il ritorno dei «Fantastici 4», il punto di vista sovversivo di «Presence» e il racconto sospeso de «Le occasioni dell’amore». Cosa vedere al cinema

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Perla da recuperare: «C'era una volta in America», disponibile in streaming su Tim Vision

I FANTASTICI QUATTRO – GLI INIZI

(The Fantastic Four: First Steps, USA 2025, 114 min.) Regia di Matt Shakman, con Pedro Pascal, Vanessa Kirby, Ebon Moss-Bachrach, Joseph Quinn

Primo capitolo della cosiddetta fase 6 del Marvel Cinematic Universe, I Fantastici Quattro – Gli Inizi riesce sorprendentemente a infondere nuova linfa all’ormai infinita serie di film dedicata ai supereroi dei fumetti Marvel. Reboot che fa piazza pulita dei precedenti adattamenti con protagonisti gli stessi personaggi, risulta interessante anche per i non iniziati grazie ad un’estetica rétro coerente con l’ambientazione nei primi anni Sessanta (quando uscirono i fumetti), anche se il tutto si svolge sull’immaginaria Terra-828. Accanto a questo, lo straordinario lavoro di world building, con un insieme incredibile di dettagli, ambienti e oggetti, dimostra nuovamente il talento del regista, già evidente nella serie tv WandaVision. La trama ricostruisce velocemente e solo in forma di narrazione televisiva l’episodio spaziale che ha portato i quattro scienziati ad acquisire i loro superpoteri, il mondo che il film ci presenta vede nei Fantastici Quattro una garanzia di sicurezza e pace e li ama incondizionatamente. Fino a quando una minaccia superiore alla loro portata si presenta al mondo, annunciata dall’araldo Silver Surfer: il divoratore di mondi, Galactus, ha scelto Terra-828 come prossima vittima. Oltre al potente nuovo nemico, Reed Richards e Sue Storm (Mister Fantastic e Donna Invisibile) devono affrontare la nascita di Franklin, il loro primogenito, che non solo è causa di ansie e preoccupazioni nel padre, ma che sembra avere qualcosa che a Galactus piace molto. Lo scontro con il titanico villain (visivamente e concettualmente riuscito) comporterà scelte difficili e comprometterà in parte il rapporto con la popolazione. Il tema della genitorialità e più in generale della famiglia funziona piuttosto bene nel raccontare le dinamiche interne al gruppo dei protagonisti, così come è abilmente utilizzato per il ruolo fondamentale di Silver Surfer. Il film procede senza particolari intoppi, sviluppando una trama gradevolmente demodé e riuscendo miracolosamente a rimanere sotto le due ore di durata, aspetto non secondario in prodotti di questo genere, spesso appesantiti da lunghezze titaniche. Ovviamente in questa ottica alcuni aspetti non sembrano sufficientemente approfonditi e certi personaggi, come ad esempio La Cosa, dovranno probabilmente attendere i capitoli successivi per ottenere lo spazio che meritano. Per lo stesso motivo alcune situazioni umoristiche non risultano del tutto a registro e il film funziona meglio quando si concentra sui dubbi e le ansie dei protagonisti. Anche se la gag del seggiolino in auto strappa più di un sorriso e il cast è in parte. Un must per i cultori, ma un gradevole intrattenimento anche per chi solitamente non apprezza.

PRESENCE

(USA 2024, 85 min.) Regia di Steven Soderbergh, con Lucy Liu, Julia Fox, Chris Sullivan

 

Qualora ce ne fosse ancora bisogno, Presence conferma la lucidità sperimentale e l’abilità tecnica di Steven Soderbergh, come di consueto anche direttore della fotografia e montatore sotto pseudonimo. Realizzato con un budget irrisorio per la media delle produzioni statunitensi (appena due milioni di euro) e magicamente tenuto sotto la durata dei 90 minuti con una messinscena ridotta all’osso, il film offre un’esperienza percettiva che ha del geniale. Se il meraviglioso Here di Zemeckis imponeva uno sguardo immobile e da spettatore esterno, testimone dell’evolversi della Storia, Presence ne propone l’esatto controcampo: un punto di vista mobile, soggettivo, che coincide con la presenza invisibile che abita la casa. Il film si apre con l’arrivo di una famiglia in un’abitazione ancora vuota, pronta da arredare. Fuggono da una brutta vicenda che ha toccato la figlia minore e al contempo cercano una nuova scuola, adatta al talento per il nuoto del maggiore. I rapporti in famiglia sono molto tesi. Il tutto è raccontato sempre e solo dal punto di vista della presenza, che conosce un po’ alla volta – insieme a noi – i personaggi ed esplora ininterrottamente gli ambienti. Soderbergh restituisce tutto questo con un’incredibile precisione formale, aggiungendo più di un sussulto emotivo: piccoli scarti nel movimento della macchina da presa, leggeri tremolii, sguardi in macchina che destabilizzano, pause improvvise. Il tutto con un ricorso minimo agli effetti speciali, estremamente semplici. La sceneggiatura di David Koepp riesce a condensare un universo di tensione famigliare in gesti circoscritti e dialoghi potenti, la regia sfrutta abilmente il nero per coprire le ellissi, che permettono alla narrazione di proseguire efficacemente, saltando ogni parte superflua. E sotto la superficie si stratificano i temi: il lutto, la paura dell’abbandono, la violenza, la fragilità dei rapporti, la droga. Il risultato è poetico e perturbante, ipnotico e talvolta commovente. Forse non il migliore degli esperimenti di Soderbergh, ma comunque un grande esempio teorico di uso del mezzo e di riflessione sullo sguardo, che riesce – al tempo stesso – ad essere estremamente coinvolgente.

 

SPECIALE CINEMA CAPOVOLTO – MERCOLEDÌ 6 AGOSTO

LE OCCASIONI DELL’AMORE

(Hors-saison, Francia 2023, 115 min.) Regia di Stéphane Brizé, con Guillaume Canet, Alba Rohrwacher

Distribuito in Italia con colpevole ritardo alla fine del 2024, dopo l’anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia l’anno precedente, Le occasioni dell’amore – titolo italiano piuttosto anodino, considerando che l’originale Hors-saison (“fuori stagione”) dice già moltissimo – è uno di quei piccoli gioielli che meritano di essere recuperati. Firmato da uno dei maggiori registi francesi contemporanei, solitamente implacabile nel raccontare le ingiustizie sociali e il mondo del lavoro, il film è qui un racconto sospeso, che nella prima parte accenna con tono quasi da commedia a un profondo spaesamento esistenziale, per poi trasformarsi nel poetico ritratto di una relazione, interrotta ma mai sopita. Lui è un celebre attore parigino in crisi, fuggito da un debutto teatrale mai affrontato; lei una pianista italiana, sposata, con una figlia, che vive in una località balneare sulla costa bretone. È lì che, rifugiatosi in una spa fuori stagione, lui la ritrova per caso. Si erano amati quindici anni prima. Con la grazia dei maestri, Brizé dirige due interpreti straordinari: sinceri, generosi, capaci di vibrare nelle sfumature più impercettibili. E il contesto stesso si fa eco emotiva della narrazione, trasformando l’apparente vuoto in sostanza. Una piccola magia poetica, da riscoprire e apprezzare come merita.

STREAMING – PERLE DA RECUPERARE

C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA (Versione estesa e restaurata)

DISPONIBILE SU TIMVISION

(Once Upon a Time in America, Italia/USA 1984, 241 min.) Regia di Sergio Leone, con Robert De Niro, James Woods

Tratto dal romanzo The Hoods di Harry Grey (pseudonimo di Herschel Goldberg), gangster realmente vissuto, il film è il risultato di un sogno coltivato da Sergio Leone per oltre quindici anni. Grey scrisse il romanzo mentre era in carcere nel 1952 e  Leone lo lesse a metà degli anni Settanta. In quel momento il regista trovò una base narrativa, necessaria alla sua idea di raccontare una grande epopea americana vista da un punto di vista atipico ed europeo. La trama si snoda lungo l’intera esistenza di David “Noodles” Aaronson, ragazzo del quartiere ebraico newyorkese che, con i compagni di infanzia, passa dai piccoli furti di strada al crimine organizzato. Ma in realtà sono il tempo, la memoria, la colpa e il rimpianto a scandire la narrazione. La storia si muove su tre linee temporali: l’infanzia negli anni Venti, l’ascesa criminale durante il Proibizionismo, e un enigmatico ritorno negli anni Sessanta, quando Noodles riemerge dall’ombra dopo decenni di silenzio. Il film fu un fallimento commerciale al momento dell’uscita americana, stroncato da una pessima versione accorciata e rimontata in ordine cronologico senza il consenso del regista. Solo anni dopo, grazie a una lenta riscoperta critica e al successivo restauro voluto dalla Cineteca di Bologna e dalla Film Foundation di Martin Scorsese, il film è tornato alla sua forma voluta ed è oggi finalmente disponibile in versione estesa (241 minuti), con le sequenze reintegrate e il montaggio originale. Una vera rinascita per quello che è a tutti gli effetti il testamento artistico di Leone. Non c’è retorica in questa dichiarazione: C’era una volta in America è un’opera totale. Per costruzione narrativa, complessità tematica e uso della memoria come materia cinematografica, il film richiama più i grandi romanzi della letteratura europea – Alla ricerca del tempo perduto su tutti – che non il tradizionale gangster movie americano. Leone adotta uno sguardo tragico, rallentato, quasi ipnotico, lasciando che siano i vuoti, i silenzi, gli sguardi e le musiche a guidare il racconto. Il cast è memorabile, con De Niro contenuto e profondissimo, e James Woods splendidamente ambiguo. La colonna sonora di Ennio Morricone è una delle sue più struggenti e brani come il tema di Deborah sembrano nati per essere già nostalgia. E poi le scene che restano: la charlotte con la panna mangiata sul gradino, il cucchiaino girato nel caffè, il sorriso nell’ultima inquadratura. Gesti minimi che diventano epica. Leone ricostruisce con una precisione ossessiva un’intera epoca, ma non è mai schiavo del decorativismo: ogni dettaglio è carico di senso, ogni immagine è un frammento di tempo perduto. Non è un film su una vendetta o un mistero da risolvere: è una riflessione malinconica sul passato, sull’amicizia tradita, sull’impossibilità di tornare indietro. Con questo film Leone ha chiuso la sua carriera e in qualche modo anche la sua vita. Ma ci ha lasciato un’opera che non si dimentica e che arricchisce ad ogni visione.