L'intervista

venerdì 25 Aprile, 2025

Il 25 aprile «sobrio» secondo lo storico Sassoon: «La Resistenza ha ridefinito la patria. Ma FdI deve ancora riconoscerlo»

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Il professore della Queen Mary University: «Incredibile come questa sia, con il 2 giugno, l'unica festa laica italiana. Il risorgimento è stato dimenticato»

«Festeggiare, ma con sobrietà», le parole del ministro Musumeci; e Giorgia Meloni che, non fosse scomparso Papa Francesco, aveva scelto proprio la data del 25 aprile per un viaggio in Uzbekistan. Ogni anno la storia si ripete, persino questo che dal 25 aprile del ’45 son passati ottant’anni. Un Paese, in cui una giornata che dovrebbe essere un buon motivo per riunirlo finisce puntualmente per acuirne le divisioni. «Della Resistenza facevano parte diverse forze politiche: per la maggior parte comunisti, ma anche badogliani, socialisti, liberali, democristiani, eccetera. Le spaccature sono relativamente recenti. Fino a una ventina di anni gli italiani non litigavano sul 25 aprile. Chi non era d’accordo stava a casa e non andava in piazza, ma tutti erano concordi nel riconoscere il 25 aprile una data importante per la Costituzione dell’Italia», nota Donald Sassoon, uno dei maggiori storici contemporanei, scrittore e saggista britannico, professore emerito di Storia europea comparata alla Queen Mary University of London.

 

Professore, perché tutti questi distinguo, tutte queste divisioni attorno a una giornata come il 25 aprile?
«Dal punto di vista simbolico, il 25 aprile era un momento di unità; in questi ultimi anni le cose sono cambiate con partiti, come ad esempio quello guidato da Giorgia Meloni, che non si riconoscono nei valori della Resistenza e pensano sia una ricorrenza basata su qualcosa di ideologico».

 

Cosa rappresenta il 25 aprile?
«Una nuova definizione di Patria. Perché patriottico era il movimento di liberazione del Paese dal nazifascismo. I movimenti di liberazione hanno però sancito la sconfitta del nazifascismo, ma non del nazionalismo».

 

Se torniamo a ottant’anni fa, lo scenario che si prefigurava era ben diverso da quello attuale. Concorda?
«L’Italia post-Resistenza comincia col Governo De Gasperi a capo di una coalizione dominata dalla Democrazia Cristiana. È crollata con Tangentopoli a inizio anni Novanta, quando la Dc sparisce, i socialisti spariscono e il Pci cambia nome. Fino ad allora l’Italia era stabile nel senso che, sebbene i governi cambiassero spesso, i partiti che li componevano erano sempre gli stessi. Si potevano fare dei governi di coalizione, coi socialisti e persino di compromesso storico coi comunisti, ma mai con l’estrema destra che era fuori dall’arco costituzionale. Con Tangentopoli tutto questo è finito. È quella la fine dell’Italia della Resistenza. Negli anni Novanta, con l’arrivo sulla scena di un personaggio come Silvio Berlusconi, l’Italia diventa pioniere di un nuovo sistema politico che potremmo definire post-post-Seconda Guerra Mondiale. Personaggi che, come oggi Trump in America, ottengono un certo riconoscimento al di fuori dei partiti tradizionali. Questa è oggi la situazione in Europa e naturalmente anche negli Stati Uniti».

 

Giorgia Meloni aveva per il 25 aprile programmato un viaggio in Uzbekistan, rinviato poi per la scomparsa del papa; il presidente Mattarella sarà oggi invece a Genova, città liberata dalla Resistenza. Sembra quasi ci siano due Italie…
«Sì, certo. Del resto, due Italie c’erano anche prima, con l’Italia cattolica e democristiana e quella comunista. In una democrazia è normale ci siano delle divisioni».

 

Qual è stato il ruolo effettivo della Resistenza?
«Creare un momento di sostanziale importanza in cui gli italiani poterono dire aver partecipato alla guerra anti-nazista. La Resistenza cominciò nel ‘43 quando sbarcarono in Sicilia le truppe alleate, e fu attiva soprattutto nel centro-nord dell’Italia. Dal punto di vista militare si potrebbe anche dire che se non ci fosse stata la Resistenza le cose non sarebbero cambiate in modo sostanziale, ma questo vorrebbe anche dire dimenticarne il valore simbolico. La Resistenza contribuì a ripulire l’immagine dell’Italia nella storia dall’idea che fosse fascista e alleata dei nazisti. Spaccatosi l’8 settembre del ’43, il Paese si ricompose per merito in parte della Resistenza quando dopo il ‘45 i partiti si misero d’accordo nel far nascere la repubblica».

 

Vede retaggi fascisti in Italia oggi?
«Senza dubbio. Penso a gente che va in giro a dire che Mussolini fece anche cose buone».

 

Tipo che i treni erano puntuali…
«Esatto (ride, ndr), sebbene negli anni Trenta i treni fossero davvero pochi e non erano né più né meno puntuali di oggi. È come dire che Hitler, uno che ha sterminato milioni di persone, ha fatto le autostrade in Germania. Mi ricorda il film “Brian di Nazareth” dei Monty Python, dove in Palestina uno condanna l’occupazione dei Romani, ma un altro gli fa notare che hanno costruito le strade, e allora li condanna sebbene abbiano fatto le strade; poi un altro gli fa notare che i Romani hanno portato pure l’acqua; e allora li condanna sebbene abbiano portato le strade e l’acqua. E via così fino all’infinito».

 

Arriveremo un giorno a celebrare un 25 aprile condiviso?
«Questo non lo posso sapere. Il mio lavoro è quello di storico noioso (altra risata, ndr); già noi storici litighiamo sul passato e non siamo ad esempio ancora d’accordo sulle cause che portarono alla Prima Guerra Mondiale, figuriamoci sul futuro. I giornalisti ci chiedono sempre cosa succederà, ma l’unica risposta corretta è che non ne abbiamo la più pallida idea. Nessuno sapeva che il comunismo sarebbe crollato in Unione Sovietica, nessuno che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina, nessuno che ci sarebbe stata la crisi economica del 2008; vero che qualcuno ha indovinato, ma chi ci azzecca c’è sempre. Vorrei aggiungere, però, una cosa…».

 

Prego, dica.
«Trovo assai curioso che un Paese come l’Italia abbia due sole feste nazionali, oltre al Primo Maggio che è internazionale, che non siano di carattere religioso: il 25 aprile e il 2 giugno. Non c’è nemmeno una festa per ricordare il Risorgimento, il movimento che ha creato l’unità del Paese. Un tempo si festeggiava la data del 20 settembre per celebrare la Presa di Porta Pia a Roma nel 1870, ma era vista male dai cattolici e fu soppressa dal fascismo quando furono siglati i Patti Lateranensi. Insomma, nell’Italia unita e repubblicana non si festeggia il Risorgimento dei vari Mazzini, Garibaldi e Cavour. Detto ciò, buon 25 aprile».