Crisi climatica
mercoledì 10 Settembre, 2025
Ghiacciai in ritirata, il geografo Varotto: «Tra 15 anni la Marmolada sarà spoglia, è simbolo della sofferenza»
di Elisa Salvi
Il docente da anni compie rilevazioni sulla Regina delle Dolomiti: «Il dato scientifico è che i ghiacciai, che oggi ancora vediamo, sono relitti del passato»

Una Marmolada senza ghiaccio. È questa l’immagine che vedremo di qui a una quindicina d’anni. La calotta «perenne» presto (tenendo conto della storia di questa cima) sarà solo un ricordo, dato che il ritiro del manto ghiacciato procede a falcate di 7 metri l’anno e in alcuni punti, anche di 20 metri. A presentare lo scenario, molto vicino, è Mauro Varotto, professore di Geografia all’Università di Padova, che da 25 anni effettua rilevazioni sulla Regina delle Dolomiti (le ultime sono del 5 e 6 settembre) e che a luglio ha pubblicato il libro “La lezione della Marmolada”.
Professor Varotto com’è lo stato attuale della Marmolada?
«Continua il ritiro del ghiacciaio nonostante ci siano stati momenti relativamente freddi nel periodo estivo. Ma al di là di questi piccoli episodi freschi, il bilancio complessivo è di scarse precipitazioni nevose, invernali o tardive, che non riescono ad alimentare il ghiacciaio. Il pericolo principale per il ghiacciaio, però, sono le altissime temperature, anche se di breve durata, che determinano un’ablazione continua. Così, il risultato finale anche quest’anno è un ghiacciaio che si sta assottigliando, con una media di ritiro di 7 metri sui segnali frontali, che raggiunge i 20 metri, dove il ghiaccio è più sottile».
Cosa prova per questa montagna con cui ha istituito una relazione personale nel corso di questi anni?
«È chiaro che si crea un legame affettivo con “oggetti” che stanno scomparendo. Ma al di là dell’aspetto emotivo, il dato scientifico è che i ghiacciai, che oggi ancora vediamo, sono relitti del passato, non più in grado di resistere nelle condizioni climatiche attuali. Quindi assistiamo a un’inerzia di ciò che è stato accumulato nei tempi antichi quando le condizioni evidentemente invernali ed estive garantivano l’alimentazione e la conservazione del ghiacciaio. Sia nell’oggi ma ancora di più per il futuro queste fenomenologie glaciali scompariranno».
Qual è la lezione che possiamo trarre dalla Marmolada?
«Il ghiacciaio è una sentinella che ci svela tante cose. L’idea di conservare il ghiacciaio in sé e per sé è sbagliata perché non si misura in un termometro sempre la stessa temperatura. Quindi dobbiamo cogliere le relazioni, le concause che determinano la scomparsa del ghiacciaio: il clima sta cambiando a causa di un intervento umano, che dev’essere oggetto d’attenzione. Il comportamento turistico non è più sostenibile, ma va al di là di quella che è la posizione turistica del ghiacciaio. Si tratta di uno stile di vita che determina una forte emissione carbonica ed è quella che dobbiamo modificare».
Che futuro può avere questa montagna?
«La Marmolada non è soltanto il suo ghiacciaio e dobbiamo cominciare a immaginarla senza ghiaccio. Sta finendo l’epopea, nata soltanto un secolo fa, dello sci che ha avuto nella Marmolada uno dei suoi pionieri, con i primi impianti di risalita in Italia, grandi piste da sci e grandi performance sportive. È stato un episodio della vita di questa montagna, ora dobbiamo immaginarci altro per il futuro. E il futuro non è lontano, perché il ghiacciaio scomparirà nei prossimi 10 – 15 anni».
Per molti anni la Marmolada è stata al centro di una questione di confini. Da geografo, che significato hanno oggi i confini, tanto più per una cima come questa?
«La Marmolada è un esempio anche da questo punto di vista: ci insegna che una montagna divisa a metà diventa marginale per dei centri lontani che la governano. Ma soprattutto quel confine, quale che sia la linea che divide il massiccio, rende difficile una pianificazione complessiva che sia coerente e attenta agli equilibri stessi della montagna. Quindi questa idea della divisione delle montagne sulla base degli spartiacque, che è un’idea settecentesca nata a Parigi dal topografo del re di Francia, forse oggi dovrebbe essere abbandonata».
Il suo libro a chi è dedicato in modo particolare?
«Oltre a raccontare la mia esperienza di 25 anni su questo ghiacciaio, l’obiettivo è restituire un quadro, non solo dal punto di vista puramente glaciologico, ma geografico più ampio sui cambiamenti di questo periodo. La Marmolada ci fornisce insegnamenti dal punto di vista della gestione politica del territorio e dal punto di vista economico: oggi dobbiamo andare oltre quello che è stato un modello turistico che ha funzionato bene finché c’è stata neve. Poi c’è un insegnamento etico legato alla leggenda della formazione del ghiacciaio della Marmolada che parla del superamento di un limite. In tal senso si riprende quanto lanciato con la rete dell’università per lo sviluppo sostenibile, l’anno scorso proprio qui, con l’evento “Climbing for Climate – Marmolada” che ha portato qui referenti di vari atenei italiani per la sensibilizzazione sul tema del cambiamento climatico che va affrontato con strumenti nuovi, partendo dall’insostenibilità del nostro modello economico».
La ricerca, l’università come possono contribuire a un cambiamento positivo?
«L’università ha tre ruoli: la ricerca, quindi monitorare e documentare con imparzialità, la formazione di studenti e adulti, interessati ad aggiornarsi e specializzarsi sulle questioni che riguardano la montagna, infine la comunicazione e la sensibilizzazione. È necessaria una maggiore responsabilizzazione rispetto ai comportamenti in montagna che tengano conto della sua fragilità, specie quando si tratta della Marmolada».
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