La ricostruzione

martedì 28 Febbraio, 2023

Curcio e la memoria su Mara Cagol: «Si era arresa, l’hanno voluta uccidere»

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Il memoriale presentato dall’ex brigatista sulla sparatoria di Cascina Spiotta. «I risultati dell’autopsia parlano chiaro. Era seduta e le è stato sparato un solo colpo di pistola sul fianco sinistro proprio sotto l’ascella»

«Oggi con l’autopsia in mano possiamo avere la certezza che il colpo mortale fu un classico “sotto-ascellare”, da sinistra a destra, che le ha perforato orizzontalmente i due polmoni; colpo mortale e inferto con competenza professionale. Su di ciò non possono esserci più dubbi, come sul fatto che Margherita in quel momento fosse disarmata e le sue mani fossero alzate. Restano allora senza risposta due domande: chi realmente ha premuto il grilletto? Era necessario?». Lo scrive Renato Curcio nella memoria consegnata nei giorni scorsi ai magistrati che indagano sui fatti di Cascina Spiotta, quando il 5 giugno 1975 in una sparatoria rimasero uccisi l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e la trentina Margherita “Mara” Cagol, appunto la moglie di Curcio, che con un altro brigatista mai rintracciato (fuggì dopo lo scontro a fuoco) in quel casolare non distante da Acqui Terme, nell’Alessandrino, stava tenendo in ostaggio l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, rapito il giorno prima.

Un po’ a sorpresa, l’ex leader delle Brigate Rosse è stato formalmente iscritto nel registro degli indagati, benché non abbia partecipato né al sequestro né alla sparatoria. E lo ha appreso esattamente il 14 febbraio, dopo un primo interrogatorio in veste di persona informata sui fatti. Di qui la memoria, prodotta nel secondo interrogatorio di lunedì 20 avvenuto a Roma, memoria che si conclude significativamente con queste parole: «Non ho voluto fino ad oggi sollevare queste tristissime domande né l’avrei fatto se questa strana comunicazione in cui leggo di “essere indagato” non me le avesse strappate dal cuore riportandole in qualche modo allo scoperto».

Sempre Curcio, nel documento, puntualizza di aver parlato diffusamente della vicenda di Cascina Spiotta in un libro pubblicato ancora nel 1993, A viso aperto, quando venne intervistato dall’allora giornalista dell’Espresso Mario Scialoja. E a quel volume rimanda i magistrati, ripercorrendo i fatti: a partire dalla sua evasione dal carcere di Casale Monferrato, avvenuta il 18 febbraio di quel 1975. «Va da sé – afferma – che per il clamore non indifferente che quell’azione fece il mio viso comparve più e più volte su giornali e televisioni e questo, sia per le Br che per me, costituiva un problema. Per oltre un mese rimasi riparato in un piccolo appartamento della Liguria in attesa che sbollissero le acque, come ho raccontato nel libro citato». Poi si stabilì clandestinamente a Milano.

«In quel periodo – scrive ancora Curcio – non partecipai ad alcuna campagna operativa ma venni invitato ad un solo incontro di discussione tra Margherita per la Colonna di Torino, e Mario Moretti, per quella di Milano, che si era reso opportuno poiché nell’organizzazione stava circolando tra i militanti l’idea di aggiungere agli espropri di banche anche eventuali sequestri di banchieri o comunque di persone facoltose. In quell’incontro, si concluse che sarebbero state le singole le Colonne a valutare in proprio i pro e i contro, e a decidere in piena autonomia cosa sarebbe stato meglio fare per ciascuna di esse».

Per questo Curcio, a proposito del sequestro Gancia, afferma di non conoscere «alcun particolare specifico: non essendo interno alla Colonna torinese venni tenuto accuratamente all’oscuro della discussione che portò alla sua progettazione operativa, alla sua messa in opera e delle modalità in cui avrebbe dovuto svolgersi». Incontrò però la moglie a ridosso del rapimento: «In quell’occasione fu lei a dirmi che i nostri già radi incontri diretti sarebbero stati temporaneamente sospesi per qualche tempo poiché la Colonna torinese sarebbe stata impegnata in una azione a cui lei stessa avrebbe preso parte».

A proposito del brigatista che sfuggì alla sparatoria, Curcio afferma quanto segue: «In un primo tempo, non conoscendolo preferii non incontrarlo. In un secondo tempo, tuttavia, dopo aver letto la sua relazione ampiamente circolata nelle varie Colonne, decisi – nonostante il rischio – di farlo per conoscere meglio alcuni dettagli relativi agli ultimi confusi minuti della vita di Margherita. Questo incontro si svolse in una località turistica verso la fine di giugno. Non avevo mai visto prima la persona che si presentò e mai più la rividi in seguito. Era un uomo assai afflitto per il “guaio” che era successo e oltremodo turbato per gli errori compiuti e per le morti che ne erano derivate. Lo ascoltai in silenzio. Anche di quell’incontro comunque ho fatto un cenno trent’anni fa nel libro “A viso aperto”».

Nel libro c’è ovviamente molto di più. Ma alcuni passaggi non sembrano coincidere appieno con la ricostruzione contenuta nella memoria. Ad esempio, a proposito della decisione su chi sequestrare. Viene citata in effetti una riunione con la moglie Mara e con Moretti, ma poi si legge: «Esaminammo una rosa di nomi presentata dalla colonna torinese. Puntammo su Gancia perché…», eccetera. Il che sembra indicare una partecipazione effettiva di Curcio alla scelta.

In quel libro, però, si dettaglia soprattutto il racconto che quel brigatista ad oggi sconosciuto fece a Curcio. La cui conclusione già allora era netta: «I risultati dell’autopsia parlano chiaro. Margherita era seduta con le braccia alzate. Le è stato sparato un solo colpo di pistola sul fianco sinistro, proprio sotto l’ascella. Il classico colpo per uccidere».