Il diario
mercoledì 19 Novembre, 2025
Cop30, l’ombra climatica degli eserciti: emissioni militari pari al 5,5% del totale globale e nessun obbligo di rendicontazione
di Marzio Fait
Mentre i negoziatori discutono di decarbonizzazione, un settore resta fuori dai radar ufficiali: quello militare. Secondo il Ceobs, guerre e apparati di difesa generano emissioni paragonabili a quelle delle grandi economie, dalla guerra in Ucraina ai bombardamenti su Gaza, fino alla corsa al riarmo europeo
Alla Cop30 di Belém, mentre governi e negoziatori discutono di come accelerare la decarbonizzazione globale, un tema cruciale resta ancora ai margini del dibattito ufficiale: l’impatto climatico del settore militare e dei conflitti armati. Mentre il mondo concentra gli sforzi sulla transizione energetica, sui trasporti puliti e sulla trasformazione industriale, le attività militari persistono in una zona d’ombra contabile, producendo un’impronta di carbonio paragonabile a quella delle economie più avanzate e sfuggendo a qualsiasi obbligo sistematico di monitoraggio e rendicontazione. In questo contesto, la Cop30 offre l’occasione – forse irripetibile – per portare alla luce questo nodo irrisolto e inserirlo finalmente nell’agenda climatica globale.
Secondo il Conflict and Environment Observatory (Ceobs), l’industria militare è responsabile del 5,5% delle emissioni globali annuali di gas serra. Nel rapporto presentato alla Cop, il Ceobs fornisce alcune stime che mostrano la dimensione del problema. Nei tre anni trascorsi dalla seconda invasione dell’Ucraina, il conflitto avrebbe prodotto 237 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente, con un danno climatico stimato in 43 miliardi di dollari. L’intensificazione dell’occupazione a Gaza avrebbe generato, nei primi 15 mesi, oltre 31 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente, un’impronta superiore a quella annua di 102 Paesi. E secondo le previsioni, la fase più emissiva, quella della ricostruzione, deve ancora arrivare.
Anche le scelte politiche europee hanno un impatto significativo. Il piano ReArm Europe / Readiness 2030 prevede un aumento della spesa militare dell’Ue di oltre 800 miliardi di euro entro il 2030. Il Ceobs stima che questo incremento potrebbe generare ogni anno fino a 218 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente aggiuntive, con un danno climatico associato fino a 298 miliardi di dollari.
Nonostante numeri così rilevanti, nessun governo è obbligato a rendicontare in modo completo le emissioni delle proprie attività militari. L’esenzione nasce con il Protocollo di Kyoto e sopravvive nell’Accordo di Parigi, che prevede una rendicontazione volontaria. Il risultato è un quadro frammentario, definito da molte organizzazioni come military emissions gap.
Intanto, però, la spesa militare mondiale continua a crescere, tanto che per il 2024 avrebbe raggiunto i 2,7 trilioni di dollari. Secondo il Ceobs, inoltre, i Paesi del Nord globale investirebbero 30 volte di più nei propri apparati militari rispetto ai fondi destinati al finanziamento climatico internazionale.
Da qui, alcune proposte provenienti da Ong e istituzioni. Oil Change International stima che si potrebbero mobilitare fino a 5 trilioni di dollari attraverso una tassa sul commercio di armi e la riallocazione del 20% della spesa militare dei Paesi ricchi. Un rapporto dell’Onu afferma che reinvestire anche solo il 15% della spesa militare globale basterebbe a colmare l’attuale gap nei fondi per l’adattamento.
Nel documento presentato a Belém, il Ceobs indica tre priorità: rendicontazione obbligatoria delle emissioni militari con linee guida Ipcc aggiornate; integrazione della riduzione delle emissioni del comparto militare all’interno degli Ndc; e un riallineamento degli investimenti pubblici, affinché la spesa per la difesa non sottragga risorse all’azione climatica, alla diplomazia e alla costruzione della pace.
Senza affrontare il costo climatico degli eserciti e senza un riallineamento delle priorità di spesa, gli obiettivi dell’Accordo di Parigi resteranno fuori portata.
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