Clima

sabato 15 Novembre, 2025

Cop 30: perché Belém è il luogo giusto nonostante (e grazie a) le sue contraddizioni

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Dal monito di Lula al contrasto tra summit globale e realtà delle favelas: ecco perché la conferenza sul clima in Amazzonia è più necessaria che mai

«Ogni anno potrebbero morire più di 250.000 persone. Il Pil globale potrebbe ridursi fino al 30%. Pertanto, la Cop 30 deve essere la Cop della verità». Con queste parole Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Brasile, ha aperto i lavori della conferenza Onu sul clima di Belém, nel cuore dell’Amazzonia.
Una Cop già definita da molti come la «Cop della verità», in un mondo in cui gli eventi climatici estremi si moltiplicano, le siccità si alternano a piogge torrenziali e le temperature raggiungono record storici.

Dietro ogni disastro ambientale si sommano conseguenze sociali drammatiche: migrazioni forzate, perdita di lavoro, crisi sanitarie, tensioni politiche. Eppure quella che dovrebbe essere la Conferenza della svolta rischia di essere percepita come la Conferenza delle contraddizioni.

A Belém, città-simbolo della biodiversità ma anche delle disuguaglianze, la metà della popolazione vive nelle favelas. In strada c’è chi rovista nell’immondizia per una lattina da rivendere, mentre le infrastrutture non reggono le piogge equatoriali quotidiane. Ogni casa ha inferriate a porte e finestre: una realtà fatta di fragilità e paura.

Di fronte a questo scenario, la domanda sorge naturale: ha senso organizzare una Cop qui? E, più in generale, perché riunirsi tutti nello stesso luogo invece di optare per un convegno digitale?

In realtà, portare la Cop nel cuore dell’Amazzonia non è solo simbolico: è fondamentale. Questa è la Cop dei popoli, della società civile, delle comunità indigene che in quella natura vivono ogni giorno e che oggi sono tra le più colpite dalla crisi climatica. Per molte di loro, la Cop è l’unico spazio dove farsi ascoltare dal mondo.

È anche un atto politico: spostare il vertice nel Sud del mondo, dove il cambiamento climatico non è un grafico o un obiettivo da negoziare, ma una realtà quotidiana. Per chi arriva dall’Occidente ricco, basta uscire dai padiglioni scintillanti e camminare pochi metri per capire cosa significa davvero vivere l’impatto ambientale, economico e sociale del clima che cambia.

Le Cop, inoltre, restano insostituibili per far avanzare l’Accordo di Parigi. Prima del 2015 le proiezioni parlavano di +3,5–4°C; oggi siamo intorno a +2°C grazie agli impegni assunti.
Un grado recuperato sembra poco? Come nel corpo umano, un solo grado può cambiare tutto.

E la presenza fisica conta: nei corridoi, nelle sale informali, nelle conversazioni improvvisate nascono compromessi impossibili da ottenere online. Oltre ai negoziatori, ci sono giornalisti, ricercatori, studenti, attivisti, ong, popoli indigeni.

Forse è proprio questo il senso profondo della Cop 30: far dialogare mondi che ancora non si parlano abbastanza.
Il mondo ricco e quello fragile, la politica e la scienza, il presente e il futuro.