L'intervista
venerdì 16 Maggio, 2025
Alberto Pellai: «La disconnessione scolastica educa i genitori e fa bene ai ragazzi. Il digitale interferisce con le capacità cognitive dei giovani»
di Tommaso Di Giannantonio
Lo psicoterapeuta sul regolamento provinciale: «Giusto dare un limite alle comunicazioni online»

Da un lato la scuola «non può pretendere che gli studenti siano sempre connessi ai dispositivi digitali», dall’altro i genitori «devono riuscire a sentirsi meno coinvolti nelle fatiche scolastiche dei propri figli». Per questo motivo Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva e autore, tra i tanti libri, di Allenare alla vita (Mondadori), guarda con favore al nuovo regolamento della Provincia sulla disconnessione a scuola, inviato nei giorni scorsi a tutti i presidi trentini.
È necessario, dunque, stabilire fasce orarie offline?
«Ci sono genitori molto ansiosi che vogliono essere avvertiti in tempo reale. Quando il figlio ha un’interrogazione, il mandato dei genitori è quello di andare in bagno e chiamarli per sapere com’è andata. In questo modo l’interrogazione si trasforma in una questione di vita o di morte per il genitore ed amplifica l’ansia dello studente».
Anche la scuola deve fare un passo indietro rispetto alle comunicazioni fuori orario?
«Certamente. Quest’anno è arrivata anche una circolare ministeriale che raccomanda ai docenti di dettare i compiti sul diario, e non solo ed esclusivamente sul registro elettronico. La scuola non può aspettarsi che gli studenti siano sempre pronti a consultare un dispositivo digitale».
Dall’altro lato capita che i docenti ricevano mail o messaggi dalle famiglie a qualsiasi ora del giorno. Cosa denota questo atteggiamento?
«Che il genitore non sa rinunciare alla comunicazione istantanea. Non sa rinunciare a scaricare la propria frustrazione e la propria ansia sul messaggio “qui e ora”. Quindi fissare delle regole ben precise diventa importante. Tra l’altro si tratta di un tema trasversale ad altre professioni. Si pensi al pediatra: non appena un bambino ha tre linee di febbre, il genitore manda subito un WhatsApp al dottore e se non risponde continua a tempestarlo di messaggi».
Il regolamento invita anche a essere equilibrati nell’assegnare i compiti a casa. Cosa ne pensa?
«Assicurare un buon bilanciamento tra lezioni e compiti a casa permette ai ragazzi di sviluppare una capacità di auto-organizzazione. Ben venga quindi».
I docenti, inoltre, dovranno fissare un tetto massimo di verifiche settimanali e giornaliere. Giusto limitare il numero di prove?
«In questi anni, per la prima volta, abbiamo visto numerosi attacchi di panico, spesso legati a un compito in classe o a un’interrogazione. Gli adolescenti, però, hanno sempre fatto le interrogazioni in classe: come mai, proprio oggi, questa sfida genera attacchi di panico? È questa la domanda che dovremmo farci. È un indicatore di una fragilità strutturale dei ragazzi, che non riescono ad affrontare lo stesso livello di complessità dei loro coetanei di 20 o 30 anni fa. Di fronte a questa fragilità emotiva, la scuola non deve martellare lo studente con le verifiche, ma deve garantirgli uno stato di protezione».
Quali sono le cause di questa fragilità emotiva?
«Ci sono diversi fattori. Sicuramente i ragazzi sentono molto più intensamente l’aspettativa sulla loro prestazione, e questo anche perché i loro genitori sono più coinvolti rispetto al passato. I genitori non riescono a vedere da fuori la fatica scolastica dei figli, anzi si frantumano loro stessi se qualcosa – un compito o un’interrogazione – non va come deve andare. Questo invischiamento non fa bene al ragazzo. Al contrario, i genitori dovrebbero far capire ai propri figli che l’errore è un’esperienza in cui si impara per non sbagliare in futuro. Un altro fattore di questa fragilità emotiva è legato all’enorme distraibilità che caratterizza la nostra epoca: il digitale è, infatti, anche un dispositivo di distrazione di massa, che interferisce con le capacità cognitive. Oggi, inoltre, gli adolescenti dormono da una a 2 ore in meno rispetto ai loro coetanei di 30 anni fa, e questo incide sulle funzioni per l’apprendimento. Una carenza che si fa sentire anche sulla capacità di essere sul pezzo nell’esperienza della valutazione».
Si può parlare di una società iperconnessa?
«Certo, la psicologa Twenge ne ha scritto un libro (Iperconnessi). La vita degli adolescenti si è spostata in modo eccessivo dalla sfera reale a quella virtuale. Le competenze acquisite nel virtuale, però, non sono trasferibili. Di conseguenza abbiamo una generazione fragilissima: di fronte alla sfida del reale, si sente inadeguata e spesso si ritira nel mondo “dentro”».
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