italia
sabato 18 Marzo, 2023
di Redazione
No al salario minimo. No al Reddito di cittadinanza. Sì alla riforma del fisco varata dal governo. Nella tana del ‘nemico’ Cgil, al congresso del sindacato a Rimini, Giorgia Meloni prende la parola sul palco – dopo l’introduzione del segretario Maurizio Landini – e non arretra su nessuno dei temi della sua agenda. Del resto, è consapevole che non ci sia «nulla di quello che ha fatto il governo su cui la Cgil è d’accordo». Ma non per questo intende sottrarsi al ‘corpo a corpo’: «A questa occasione non ho voluto rinunciare per rispetto della più antica organizzazione del lavoro della nostra nazione» e «in coerenza con un percorso di confronto e ascolto che il governo sta portando avanti». La premier ripete più volte la parola «confronto», che «è necessario e utile. Ci sono ottime ragioni per confrontarsi con schiettezza e con le ragioni che ognuno di noi rivendica legittimamente», esordisce dal podio. Un «confronto» che «non considero finto» ma «produttivo anche quando non siamo d’accordo». Anzi – è l’invito finale della presidente del Consiglio alla platea – «rivendicate senza sconti le vostre istanze nei confronti del governo. Magari non saremo d’accordo ma quelle istanze troveranno sempre un ascolto serio e privo di pregiudizi».
Il clima nei confronti della premier non è stato certamente caloroso, ma nemmeno manifestamente ostile. La premier è stata fischiata all’inizio del suo discorso e alcuni dei presenti hanno lasciato la sala e cantato ‘Bella ciao’. Ma ha anche incassato qualche applauso quando ha condannato «l’assalto di gruppi di estrema destra alla sede della Cgil». Davanti al palacongressi c’è stata poi la ‘protesta dei peluches’ da parte della componente del direttivo nazionale, Eliana Como. Nella scelta dei peluches (un centinaiao) un richiamo alla tragedia dei migranti a Cutro. “La protesta dei peluches contro il cinismo la cattiveria e il razzismo di un governo fascista”, recitava un cartello.
Tornando alla premier, se l’apertura c’è sul metodo, nel merito Meloni non cede su nulla. A partire dal salario minimo. «Sui salari c’è un’emergenza», ammette, ma «serve intraprendere una strada diversa, puntando tutto sulla crescita economica», perché «la ricchezza la creano le imprese e i lavoratori». E quindi «l’introduzione del salario minimo legale non credo sia la strada più efficace, perché ho paura che divenga non una tutela aggiuntiva rispetto alla contrattazione collettiva ma una tutela sostitutiva». Stessa chiusura sul Reddito di cittadinanza. Abolirlo «per chi è in grado di lavorare è stato doveroso», rivendica Meloni, lanciando una stoccata al Movimento 5 Stelle: «Ci dicevano che la povertà si poteva abolire per decreto» ma «nonostante i decreti la povertà non è stata abolita ma è aumentata». Provocazione che viene raccolta da Giuseppe Conte, per il quale Meloni «ha attaccato le riforme del Movimento 5 Stelle per chi è in difficoltà e la nostra proposta di salario minimo legale. Se ne faccia una ragione, continueremo a opporci alla sua idea di Paese: pugno di ferro con i più deboli, inchino ai privilegiati!». Neppure sulla riforma del fisco, votata giovedì dal governo, la presidente del Consiglio accenna a passi indietro. Anzi, il disegno di legge delega è stato «frettolosamente bocciato da alcuni», rimprovera alla Cgil. Invece «vogliamo creare un rapporto diverso tra fisco e contribuente, dare maggiori garanzie contro uno Stato che a volte è sembrato vessatorio. Che non significa tollerare l’evasione fiscale» ma «non confondere la lotta all’evasione fiscale con la caccia al gettito».
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