Cultura

lunedì 24 Novembre, 2025

Daria Deflorian, il premio Nobel portato a teatro: «L’opera di Han Kang mi chiama. Ecco com’è nata la mia versione della “Vegetariana”»

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L'attrice e sceneggiatrice fiammazza: «Repliche anche in Corea, ma nessuna data in Trentino. Ora al lavoro su "Non dico addio"»

Come una rockstar. Il 5 novembre Han Kang, premio Nobel per la letteratura 2024, è «apparsa», per usare un verbo caro alla casa editrice che la pubblica in Italia, Adelphi, a Milano per la presentazione del suo «Libro bianco». Ultimo libro pubblicato in Italia, ma non ultima fatica in ordine cronologico, visto che risale al 2016 e anticipa «Non dico addio», già stampato lo scorso anno. Ad attenderla a Milano centinaia di persone, ben oltre quello che può contenere il teatro Dal Verme, dove si svolge l’evento. Tanti giovani, pronti a chiedere una foto, un autografo. Quando si spengono le luci in sala, a prendere parola è l’autrice che legge, in coreano, alcuni passi. La lettura in italiano è affidata a Daria Deflorian, attrice e regista di origine trentina (di Tesero), la stessa che ha portato sul palco «La vegetariana», ispirata all’opera più nota.

Daria Deflorian, come è nata questa collaborazione?
«Quando mi è stata chiesta la disponibilità per presentare Han Kang ho spostato tutta una serie di impegni: si trattava della prima volta che l’autrice si sarebbe recata in Italia dopo il Nobel. Per rispetto del pubblico, ho scelto dei brani brevi, in cui si racconta il legame tra la protagonista e la sorella, centrale nel libro, e si descrive Varsavia d’inverno, con la neve. Un’accentuazione di quel “bianco” che caratterizza il romanzo fin dal titolo. La sorpresa è stata che Han Kang ha scelto di leggere con me in coreano, aggiungendo un brano verso la fine del libro a cui è molto legata».

A proposito del «Libro bianco»: l’autrice lo ha definito a metà tra prosa e poesia. Al punto che l’editore le ha chiesto di «scegliere» per poterlo mettere in vendita. Lei che ne pensa?
«Non sono una critica letteraria, sono una semplice lettrice appassionata e di lunga data. Quello che posso dire è che è un libro speciale, che ha una peculiarità. Ci sono dei “buchi”, degli “spazi bianchi”, verrebbe da dire, che il lettore è costretto a riempire, in una storia raccontata per piccoli episodi e in cui la linearità viene interrotta, ma ciò non è mai a caso. Forse, anche per questo, sfida le definizioni».

Si aspettava una simile risposta da parte del pubblico?
«Sono rimasta colpita non solo dal numero delle persone – l’evento era gratuito su prenotazione e i biglietti sono andati via in un giorno – ma anche dall’entusiasmo. Le presentazioni di libri sono solitamente piccoli eventi che raccolgono nuclei attorno all’editore. Invece è stato qualcosa di completamente diverso. C’erano tanti giovani, la fermavano per gli autografi, aspettavano che alcuni posti dentro il teatro si liberassero».

Secondo lei, perché quella di Han Kang è una letteratura che piace ai giovani?
«Perché ha una liricità che ricorda in un certo modo l’adolescenza, ma lo fa con una profondità che da giovane non riesci ad avere».

Dallo scorso anno lei porta in scena «La Vegetariana» e ci saranno date anche nel 2026. Come è nata la scelta di realizzarne uno spettacolo teatrale?
«Quando lessi il romanzo nel 2018 Han Kang non era assolutamente conosciuta. È stato il libro a chiamarmi, ne ho intuito subito la portata teatrale. Il testo è strutturato attorno a tre testimonianze che raccontano una figura che non parla. Una donna che, a seguito di un sogno, si rifiuta di mangiare carne, poi sceglie di diventare un albero. Noi non la sentiamo mai, parlano solo le voci di marito, sorella e cognato. Una figura che mi ha colpito e che è resistita per mesi e… quando le cose durano, si possono fare progetti come quelli che portano a uno spettacolo teatrale. Uno spettacolo che è un grande lavoro di gruppo e che sarebbe stato impossibile senza la squadra di Index Productions».

A Milano lei ha detto, riferendosi alla poetica di Han Kang, che è un’autrice che «scrive con il corpo». Questo aiuta in scena?
«Se i suoi personaggi devono comunicare qualcosa lo fanno attraverso espressioni fisiche. Ad esempio: invece che “ho paura”, troveremo “mi sento soffocare”. Benché sia letteratura, è qualcosa che si avvicina molto al fare teatro. Noi portiamo dei corpi vivi in mezzo a spettatori altrettanto vivi. E questo, tra le altre cose, fa del teatro una forma di resistenza sempre più importante in questo mondo digitale e virtuale.

Sempre per «La vegetariana» ci sono diverse date per l’anno prossimo. Lo spettacolo arriverà anche in Trentino?
«C’è stato un dialogo con il Centro Santa Chiara e il direttore Massimo Ongaro, che ha mostrato un grande interesse. Purtroppo l’iniziativa, poi, non è andata in porto. Il teatro, del resto, è un meccanismo delicato e complesso: basta che manchi un incastro e le occasioni purtroppo sfumano. Ma mi piacerebbe molto, come tutti i “teserani” che hanno lasciato la valle sento un grande attaccamento, e anche un po’ di nostalgia, verso il Trentino».

In compenso lo spettacolo ha viaggiato anche all’estero…
«Si può dire che è andato anche “a casa” visto che c’è stata una rappresentazione anche in Corea del Sud. E anche l’anno prossimo sarà a Losanna e di nuovo al Piccolo con dieci repliche. Poi chiuderemo a Roma, al teatro Vascello».

E nel frattempo, c’è qualcos’altro in ballo?
«Sto lavorando a un altro spettacolo, sempre tratto da un’opera di Han Kang: si tratta di “Non dico addio”, sarà pronto per ottobre 2026».