Il focus
lunedì 10 Novembre, 2025
Rovereto, la «collina dei rifiuti»: 9 ettari per 30 metri di altezza. Alla discarica dei Lavini ancora 50 metri cubi di percolato al giorno
di Robert Tosin
Il sito, chiuso dal 2018, resta attivo come punto di stoccaggio e monitoraggio. Controlli su falda, odori e temperatura per garantire la sicurezza ambientale
Con i rifiuti differenziati gli antichi romani hanno creato una collina artificiale oggi nota come Monte Testaccio, una delle aree più note della Capitale. Anche i roveretani possono “vantare” la loro collina artificiale realizzata con i rifiuti: è la discarica dei Lavini, 9 ettari ai bordi del parco, per 30 metri di altezza, proprio come il Testaccio.
Ieri il sito, gestito dalla Provincia, ha aperto i suoi cancelli per mostrare ai cittadini (in questo caso invitati dal gruppo Dai neta) qual è la situazione del sito che è chiuso al conferimento dal 2018, ma che continua a operare come sede di stoccaggio temporaneo di residuo e umido destinato poi fuori provincia, dove viene smaltito definitivamente (e a pagamento) da altre aziende.
Seppur chiusa, infatti, una discarica ha ancora vita ed ha bisogno di controlli continui che ne verifichino lo stato e che – obiettivo principale – non diventi pericolosa per l’ambiente e per l’uomo.
Lo ha ben spiegato l’ingegnere Giacomo Poletti dell’Agenzia provinciale per la depurazione, il quale ha evidenziato che nonostante la “bestia” oggi sia tranquilla, non può essere certo ignorata.
«Oggi – ha detto – la situazione è stabilizzata perché non ci sono più conferimenti, quindi i controlli sono relativamente più semplici ma sono comunque costanti: dai controlli alla falda, qui molto profonda, alle verifiche odorigene con il “naso elettronico”, fino alle telecamere che registrano eventuali variazioni termiche scongiurando possibili incendi. Nulla è lasciato al caso».
Come ad esempio la possibilità di presenza di rifiuti radioattivi. È infatti possibile che nei cumuli di rifiuti vi siano oggetti portatori di una pur blanda radioattività. Tipico esempio è il pannolone utilizzato da persone sottoposte a cure particolari. Quando arriva all’inceneritore, un rilevatore ne impedisce la distruzione, creando problemi di gestione.
Per questo a Rovereto tutti i rifiuti che arrivano dalla città e dalla Vallagarina si fermano alcuni giorni, in modo da attendere l’abbattimento della (infinitesimale) radioattività.
La discarica è dunque oggi solo un’area di passaggio, ma i cumuli di rifiuti che accoglie sono impressionanti. Da qui poi regolarmente partono i container che portano i rifiuti fuori provincia, verso siti a cui è stato appaltato l’“ultimo miglio” della nostra immondizia: una parte se ne va all’inceneritore di Bolzano, una parte a quello di Brescia della A2A, qualcosa a Dalmine e una piccola parte anche alla Edr di Ala.
Il costo per il Trentino – che ancora non ha un inceneritore – è di 200 euro a tonnellata, prezzo che fluttua anche notevolmente a seconda del “mercato”. Una fortuna, per dirla così, è che il residuo roveretano è di “buona qualità” perché frutto di una differenziazione spinta all’origine, quindi piace di più agli inceneritori nei momenti in cui serve una qualità di energia migliore del solito.
I vecchi rifiuti invece giacciono assonnati sotto un telone che li protegge dalle intemperie. «Questa è una discarica moderna – dice il tecnico – realizzata con tutti i crismi. Si tratta di una specie di vasca da bagno, un bacino totalmente isolato sotto e sopra».
Dettaglio non da poco, perché il problema vero e l’incubo dei gestori è il percolato, ovvero tutto quel liquame che il rifiuto produce. La discarica di Rovereto ha un condotto sotterraneo che porta quel liquame (circa 50 mc al giorno) direttamente al depuratore, in sicurezza.
Dentro ci sono inquinanti di tutti i tipi: manganese, ferro, ammoniaca, boro e anche Pfas, le temibili e indistruttibili sostanze chimiche. Per questo il percolato in depuratore viene trattato in modo diverso, e anche per questo i fanghi di risulta non vengono più ceduti al compostaggio, nonostante non ci sia una legge apposita.
«Le Pfas si distruggono solo a 1500 gradi di temperatura, addirittura più alta di quella normale di un inceneritore» spiega Poletti.
Come fare per ridurre ulteriormente questa costosa mole di rifiuti? Fino a qualche anno fa in discarica, una macchina vagliava ulteriormente il residuo, riuscendo a recuperare un altro 30% di materiale impiegato nella gestione della discarica.
«Oggi sono ferme – spiega il tecnico – perché non sono economiche e perché non abbiamo più discariche da trattare, cioè il materiale “riciclato” dovremmo comunque portarlo all’inceneritore».
Ci sono esperienze che vanno nella direzione di differenziare il rifiuto con tecnologie moderne, in modo da avviare al riciclaggio quasi tutto. La parte che resta è comunque sempre significativa.
Il futuro? Entro 5 anni la discarica sarà ricoperta di verde con la prospettiva di un utilizzo “sociale”. Sui precedenti lotti hanno fatto il campo pratica di golf e quello di aeromodellismo, su quest’ultimo è ancora da stabilire.