L'intervista

giovedì 30 Ottobre, 2025

Exploit degli affitti brevi, l’analisi dell’esperto: «Stanno trasformando le nostre città, servono limitazioni prima del disastro»

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Per il professore di Economia dell’Università di Trento Umberto Martini servono regole chiare

Un’economia digitale, quindi del presente e quasi del futuro, che riporta in auge una figura del passato. È questo quello che è successo con l’arrivo del mercato degli affitti turistici brevi, secondo il professore di Economia dell’Università di Trento Umberto Martini, e con il conseguente ritorno dei «rentier», ossia le persone che vivono di rendita. «Ma quando si usava quella parola, nell’ottocento e nel novecento – osserva il professore – Si indicavano persone che si arricchivano con la rendita dei campi. Oggi vediamo questa dinamica interessare invece le proprietà abitative».

Professore, il mercato, in continua crescita, degli affitti turistici brevi sta portando opportunità o criticità?
«Dipende. Dobbiamo partire da un presupposto: qualunque sia il servizio o il prodotto, se lasciamo agire liberamente il mercato con le sue leggi, possiamo ottenere risultati sia favorevoli che problematici. Il turismo, in particolare, porta con sé un forte carico antropico: aumento del traffico, della densità di persone, pressione sulle località, dalle città alle montagne e aumento del costo della vita. Inserire un fattore come la ricettività extralberghiera introduce quindi un effetto a due facce. Da una parte è un’opportunità per il turista, che trova una maggiore offerta, e per gli host, che ne ricavano un beneficio economico importante. Oggi ci sono persone per cui questa è diventata una vera e propria professione: gestire appartamenti tramite piattaforme online. È una realtà anche in Trentino, dove molte famiglie hanno trasformato questa attività in un lavoro a tempo pieno, sia nelle località turistiche sia a Trento. I dati di Airbnb però mostrano che esistono proprietari che gestiscono decine di appartamenti — spesso società, non singoli cittadini. E qui cambiano le regole del gioco: non è più il “signor Rossi” che arrotonda affittando una stanza, ma un’impresa vera e propria, che andrebbe regolata come tale. È anche per questo che gli albergatori chiedono una legislazione simile: se un albergo con 30 camere e un host con 30 appartamenti fanno lo stesso mestiere, perché dovrebbero avere normative diverse? Si tratta di concorrenza, non necessariamente sleale in senso giuridico, ma comunque con regole diseguali. Il problema emerge quando il sistema sfugge al controllo: la capacità ricettiva cresce in modo esponenziale e l’impatto sul territorio diventa evidente»

Quali sono le problematicità?
«La prima è la crisi del mercato degli affitti a lungo termine: molti proprietari preferiscono l’affitto breve, più redditizio. Di conseguenza, lavoratori e studenti faticano a trovare casa. È un fenomeno evidente a Trento, come a Padova o Bologna. Inoltre, cambia il tessuto dei servizi: le aree abitate da residenti stabili richiedono negozi e attività diverse rispetto a quelle frequentate da ospiti temporanei. Questo porta a una trasformazione urbana che può risultare difficile da gestire. A Roma, Firenze, Napoli ci si chiede se questo cambiamento sia ancora accettabile. Il centro di Roma, per esempio, si sta svuotando. Quando un quartiere diventa prevalentemente turistico, arrivano bar, ristoranti e negozi di souvenir, mentre spariscono botteghe e servizi di prossimità. È un mutamento che va previsto e gestito, coinvolgendo anche i residenti, altrimenti il rischio è che si sentano “sfrattati” dalle loro stesse città».

Qual è la formula vincente degli affitti turistici brevi?
«Tre sono i fattori principali. Il primo è il prezzo: all’inizio erano molto più competitivi rispetto agli alberghi, una classica strategia d’ingresso in un mercato. Il secondo è un fattore di costume. Molti viaggiatori si sono stancati della formula alberghiera tradizionale. L’idea di avere un appartamento, con i propri orari e senza vincoli, piace sempre di più. Gli alberghi si sono dovuti adattare, passando dalla pensione completa al bed and breakfast. Oggi il turista vuole libertà: decide dove mangiare, quando uscire, e spesso preferisce una struttura con angolo cottura per gestirsi in autonomia. Il terzo elemento è il fascino dei luoghi. Gli affitti brevi offrono esperienze “immersive”: dormire in un appartamento nel centro storico, in riva al mare o tra i boschi, vivere come un locale. Un’offerta che l’albergo standardizzato non può replicare».

Alla luce di questa situazione, secondo lei è giusto e necessario porre delle limitazioni?
«Senz’altro. Se lasciamo che sia solo il mercato a regolare domanda e offerta, sappiamo come va a finire: la crescita diventa incontrollata. Bisogna intervenire per tempo, non quando “i buoi sono già scappati”. Città come Berlino, Amsterdam e Barcellona lo hanno fatto, anche a seguito di forti proteste dei residenti. È giusto introdurre controlli e limiti: non possiamo immaginare che una città come Trento, in dieci anni, decuplichi le strutture turistiche senza conseguenze. A Roma e Firenze questo è già accaduto, e tornare indietro è difficile. L’amministrazione pubblica deve farsi carico dell’interesse collettivo, non solo del giro d’affari turistico. Anche perché, se una località “passa di moda”, cosa succede? Tornare all’affitto lungo non è automatico: le trasformazioni sociali e urbanistiche non si riassorbono facilmente».

Prima parlava di regole uguali per alberghi e affitti turistici. Si riferiva anche alla tassazione?
«Certo. Gli albergatori sono soggetti a un regime fiscale più oneroso, ma anche i controlli, come quelli sulla registrazione degli ospiti, non sono gli stessi. La concorrenza è sana solo se si gioca con le stesse regole».