Alpinismo
domenica 5 Ottobre, 2025
Pinzolo, in 500 per l’omaggio a Ermanno Salvaterra. «Trasmetteva forza anche nei momenti più duri della spedizione»
di Walter Facchinelli
L'abbraccio all'icona dell’alpinismo patagonico, a 40 anni dalla leggendaria prima salita invernale del Cerro Torre: il ricordo dei compagni di cordata Maurizio Giarolli, Andrea Sarchi e Paolo Caruso

Venerdì sera, 3 ottobre, al Paladolomiti di Pinzolo, si è svolto un incontro dedicato alla storica prima salita invernale del Cerro Torre del 1985 e un abbraccio collettivo a ricordo di Ermanno Salvaterra «l’uomo del Torre» icona dell’alpinismo patagonico.
Guide alpine, amici, appassionati e autorità locali si sono stretti nel suo nome, simbolo dell’alpinismo trentino e internazionale. Salvaterra è stato ricordato come guida alpina, maestro di sci, scrittore, ma soprattutto «uomo capace di vivere la montagna con rispetto, dedizione e passione, trasmettendo entusiasmo e generosità a chiunque incrociasse il suo cammino in montagna e nella vita».
Oltre 500 persone hanno vissuto un viaggio nel tempo tra memoria, affetto e gratitudine, attraverso immagini e video, voci e racconti di chi ha condiviso corde, passi, sogni e vita con Salvaterra, a poco più di due anni dalla sua tragica scomparsa sul Campanile Alto il 18 agosto 2023.
Maurizio Giarolli, Andrea Sarchi e Paolo Caruso, compagni di cordata a 40 anni dalla leggendaria prima ascensione invernale del Cerro Torre, hanno ripercorso quei giorni di sfide estreme, convivenza in spazi ridotti, paure condivise e gioia della vetta. «Non era solo una conquista tecnica» hanno ricordato «ma un viaggio umano, fatto di divergenze e rispetto, di sogni verticali trasformati in realtà». Giarolli ha detto «con lui ogni passo diventava più leggero, perché sapeva trasmettere forza anche nei momenti più duri», Sarchi ha aggiunto «per lui contava la persona accanto, non solo la montagna» e Caruso ha ricordato «la sua sensibilità nascosta dietro una forza granitica e il sorriso che scioglieva ogni tensione».
Carlo Claus, decano dell’alpinismo trentino quasi novantanovenne, che partecipò alla spedizione del 1970 con Cesare Maestri e altri compagni, ha ricordato «giornate corte e notti lunghe, potevamo aspettarcele. Ma quella fu la base dei sogni futuri».
Elio Orlandi, che nel 1982 partì con Salvaterra per la sua prima volta in Patagonia, ha parlato di un contesto non facile «era appena finita la guerra delle Falkland e c’era tensione, per entrare nel Parco Los Glaciares servivano permessi militari che non arrivavano mai». Eppure la forza dell’amicizia e il richiamo di quelle montagne erano più forti di ogni ostacolo. «Eravamo giovani, senza internet né guide dettagliate, partimmo con la voglia di conoscere e di sognare. Il Cerro Torre era l’idea che ci teneva uniti». Ha ricordato con un sorriso «abbiamo mangiato troppo calafate, il frutto tipico di lì, dicono che chi lo mangia è destinato a tornare. E infatti siamo tornati».
A Pinzolo i tre alpinisti hanno condiviso aneddoti intimi, dalla tendina ultraleggera «pensate, in meno di due metri ospitava quattro persone per bivacchi di 40 ore» al sacco a pelo cristallizzato dal ghiaccio «per solidarietà e spirito di squadra, nessuno quella notte li utilizzò rimanendo vestiti e umidi dopo dieci giorni di permanenza in parete». Perfino le necessità più banali diventavano complesse «fare la pipì nella tendina era un’impresa», gestita coi sacchetti riutilizzati dei liofilizzati e gettata dagli sfiatatoi. Il cibo era ridotto al minimo «in due ci dividevamo una bustina di liofilizzati da 350 calorie quando in una giornata ne consumavamo 2000» e l’alfajor, biscotto speciale tuttora simbolo della convivialità «lo suddividevamo in quattro parti con la regola ferrea che chi lo tagliava prendeva la fetta più piccola». La pellicola della cinepresa in vetta per il freddo si frantumò in coriandoli, Paolo Caruso riuscì a ottenerne le immagini «grazie a una macchina russa, derisa ma resistente al freddo».
Sul Cerro Torre, unione e determinazione furono gli elementi che permisero ai quattro di raggiungere la cima. «Quando uno era in difficoltà, gli altri non lo lasciavano solo. Ogni piccolo gesto era amplificato dalla solidarietà» hanno raccontato. Anche nei momenti di estrema fatica, il legame tra i compagni si rafforzava «lunghe chiacchiere davanti al fuoco alle sei di mattina mangiando dulce de leche. L’obiettivo comune di arrivare in cima al Torre ci univa e ogni differenza veniva superata».
Gianni Canale presidente del Collegio delle Guide alpine del Trentino ha ricordato la capacità di Salvaterra di vivere la montagna con rispetto e autenticità, «lasciandoci un’eredità che parla alle generazioni passate, presenti e future».
A chiudere la serata, organizzata da Massimo Imperadori (Comune di Pinzolo) e Tullio Serafini (Apt), è stato Alessandro Beltrami, portato da giovane in Patagonia da Salvaterra e oggi gestore del Rifugio XII Apostoli da sempre legato alla famiglia. «Un passaggio di testimone» ha detto «come se Ermanno, in silenzio, mi avesse accompagnato fin lì e tra quelle pareti la sua presenza si sente ancora». Gli ospiti hanno poi lasciato la firma su un poster dell’epoca, simbolo che lega passato e presente, quarant’anni di storia, memoria e amicizia. L’incontro di Pinzolo ha confermato che il lascito di Salvaterra va oltre l’alpinismo «la montagna non è solo conquista, ma amicizia, rispetto e comunità».