la rubrica
giovedì 7 Agosto, 2025
Dall’immortale saga demenziale (rinnovata) «Una pallottola spuntata» all’horror ambizioso «Weapons»: cosa non perdere al cinema
di Michele Bellio
Perla da recuperare «Toy story – il mondo dei giocattoli», disponibile su Disney+

UNA PALLOTTOLA SPUNTATA
(The Naked Gun, USA 2025, 85 min.) Regia di Akiva Schaffer, con Liam Neeson, Pamela Anderson
Il nuovo capitolo della storica saga demenziale lanciata alla fine degli anni Ottanta riprende in mano l’eredità di Leslie Nielsen con un’operazione che cerca (e talvolta riesce) a mescolare il nonsense di una volta con una spruzzata di ironia più aggiornata. Protagonista è Liam Neeson, qui figlio del mitico tenente Frank Drebin, che si presenta in scena con una consapevole autocitazione: “Sono la nuova versione”. Ed è proprio questo il cuore del film: una riflessione giocosa e continua su cosa voglia dire rifare oggi qualcosa che sembra ormai fuori dal tempo e da qualsiasi moda. Il prodotto è più curato di quanto ci si potrebbe aspettare, l’assurdo si fa strada grazie a piccole gag visive inserite ai margini dell’inquadratura (esemplari le foto segnaletiche in centrale). La regia, il montaggio e la fotografia sono funzionali anche alla componente cinefila del progetto e il contrasto tra questa eleganza tecnica e il tono sguaiato delle gag crea un risultato piacevole, anche perché gli effetti speciali sono volutamente dilettanteschi (esilarante il fantoccio usato come scudo umano nella scena della banca). Il contesto è quello classico della parodia poliziesca: voice-over, indagini raffazzonate e dialoghi surreali. Il nuovo Drebin è ottuso almeno quanto il padre e porta avanti un’idea di giustizia vecchia scuola, con battute che ironizzano apertamente sull’operato della polizia (“Da quando la polizia rispetta la legge?”), così come non si risparmiano frecciate sull’uso della bodycam. Certo, alcune gag sono pensate per un pubblico USA (la battuta sul figlio di O.J. Simpson, il vino proveniente dalla tenuta di Bill Cosby, la comparsata di Weird Al Yankovic, il cameo di Dave Bautista), ma l’umorismo riesce spesso a travalicare i confini culturali, soprattutto quando diventa puramente visivo o si rifà al nonsense totale. Le gag più riuscite sono infatti quelle che si accumulano senza logica: dalla delirante sequenza d’amore anni ’80 tra Neeson e Pamela Anderson col pupazzo di neve, al prefinale con le confessioni registrate a cascata, fino ai titoli di coda in cui Neeson rompe la quarta parete parlando direttamente agli spettatori. Non manca neppure una vena di satira contemporanea: il film prende in giro il politically correct senza farsene beffe in modo becero, ma piuttosto ironizzando sul suo impatto comico, facendolo diventare materia per nuove gag. Non tutto è centrato. Alcune battute risultano un po’ stantie, le gag metalinguistiche spesso cadono nel vuoto, il doppiaggio italiano fatica a vari livelli e dove manca lo spunto visivo il divertimento è meno efficace. In generale più coraggio, sia nei bersagli della comicità (Musk è evidente, ma ci fermiamo lì), sia nella struttura stessa del film, avrebbe giovato. Comunque, anche solo per accumulo, la risata arriva: la gag ricorrente dei caffè sempre bevuti a metà e subito gettati, la squadra di anziani che affianca il cattivo, le battute da traduzione creativa come il dialogo sull’omicidio “polposo”, la scena del jazz. In definitiva, il film fa il suo. È una piccola ode al diritto di ridere senza filtri, alla comicità come atto libero e anarchico. Piacerà? Difficile a dirsi, trattandosi di un umorismo che tenta di omaggiare quello di oltre trent’anni fa, ma sarebbe un errore pensare che il film sia da liquidare come una sciocchezzuola.
WEAPONS
(USA 2025, 128 min.) Regia di Zach Cregger, con Josh Brolin, Julia Garner
VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI
È un horror ambizioso il nuovo film di Cregger (già regista di Barbarian), costruito su di una struttura narrativa frammentata e multipolare, che ricorda le atmosfere di una fiaba nera in un’ambientazione da provincia americana che sembra presa di peso da un racconto di Stephen King. Proprio al grande scrittore americano e alla stanza 217 di The Shining fa riferimento lo spunto narrativo di partenza. Alle 2:17 di una notte come tante altre 17 bambini, provenienti dalla stessa classe della scuola elementare di una tranquilla cittadina, escono di casa di loro spontanea volontà e spariscono nel buio. Nessuno sa dove siano andati, la polizia brancola nel buio e, dopo un mese di indagini, la scuola riapre senza che si siano fatti progressi. Nella classe interessata è rimasto solo un bambino, Alex, solitario e taciturno: per qualche motivo lui non è scomparso. E mentre la comunità si sgretola di fronte ad una tragedia collettiva, i principali sospetti ricadono su Justine, la maestra, una giovane donna che ha a cuore il suo lavoro, ma che ha commesso alcuni errori nella sua vita (beve, frequenta uomini sposati), rendendola il capro espiatorio ideale per la rabbia frustrata della società, che la addita come strega. L’affascinante e coinvolgente trama, che ha l’unico limite forse di dilungarsi un po’ oltre il necessario, accumula una quantità impressionante di concetti che ci raccontano come il nostro mondo stia rapidamente galoppando verso l’autodistruzione e come ogni strumento possa facilmente concorrere a trascinarci verso il baratro (da qui il titolo, armi). Aiutato da una messinscena viva e fremente, con una macchina da presa mobilissima che pedina e accompagna i sei personaggi principali (ognuno protagonista di un capitolo che aggiunge man mano un tassello alla narrazione), il film dosa abilmente gli spaventi e crea un clima di tensione che trasporta con efficacia lo spettatore dalle atmosfere thriller a quelle più smaccatamente sovrannaturali. Il meccanismo regge, anche se a volte l’impressione è quella di un elegante esercizio di abilità tecnica e la svolta principale, anticipata da più riferimenti, è alla portata degli spettatori più avvezzi ai meccanismi del genere. Tuttavia sono molte le scene che restano visivamente impresse: dalla sequenza iniziale, a quella finale, passando per l’inquietante utilizzo di icone pop come la zuppa in barattolo. Un film che potrebbe piacere anche ai non appassionati del genere, prodotto interessante di un regista da tenere d’occhio.
SPECIALE CINEMA CAPOVOLTO – MERCOLEDÌ 13 AGOSTO
L’ORCHESTRA STONATA
(En fanfare, Francia 2024, 103 min.) Regia di Emmanuel Courcol, con Benjamin Lavernhe, Pierre Lottin
L’Orchestra Stonata è uno di quei film che dimostrano, ancora una volta, quanto il cinema francese riesca con naturalezza dove il nostro spesso fatica: raccontare storie semplici ma non banali, capaci di tenere insieme leggerezza e profondità, ironia e dolore. Presentato nel 2024 nella sezione Cannes Première, è una commedia drammatica che affronta temi complessi – la malattia, la solitudine, il fallimento dei propri sogni – con un tono garbato, mai sopra le righe. Il protagonista è Thibaut, celebre direttore d’orchestra parigino, che scopre improvvisamente di essere malato di leucemia e bisognoso di un trapianto. Durante le indagini per cercare un donatore compatibile, emerge un segreto taciuto: Thibaut è stato adottato. E da qualche parte, nel nord della Francia, vive un fratello biologico che non ha mai conosciuto, impiegato in una mensa scolastica e trombonista dilettante nella banda del paese. L’incontro tra i due – il primo dialogo è meraviglioso – è il cuore pulsante del film. I mondi da cui provengono non potrebbero essere più distanti: uno fatto di sale da concerto e tournée internazionali, l’altro di mense, birrerie e prove serali in parrocchia. Eppure qualcosa li unisce: la musica. Non quella “alta”, elitaria, ma quella che si suona insieme, per passione, per stare in compagnia. Quando la banda di paese rimane senza direttore, nasce l’occasione perfetta per un avvicinamento: Thibaut si propone di aiutare, entrando così, a poco a poco, nel mondo del fratello. Il film si regge su un equilibrio delicato, ma efficace: sa far ridere senza mai banalizzare, sa commuovere senza ricattare. Funziona con una leggerezza apparente che cela una struttura fin troppo solida, dialoghi misurati e una cura rara per il contesto sociale, quello che nel nostro cinema si tende spesso a sorvolare. Qui, invece, ogni personaggio ha un lavoro credibile, abita spazi coerenti, frequenta ambienti realistici. L’Orchestra Stonata parla anche di seconde occasioni, di riconciliazione, di quanto sia difficile – ma a volte necessario – rivedere la propria vita attraverso lo sguardo di qualcun altro. In Francia il film ha avuto il successo che merita. Da noi, come spesso accade, è purtroppo passato quasi in sordina. Da recuperare.
STREAMING – PERLE DA RECUPERARE
TOY STORY – IL MONDO DEI GIOCATTOLI
DISPONIBILE SU DISNEY+
(Toy Story, USA 1995, 81 min.) Regia di John Lasseter
Era inevitabile, prima o poi, doversi confrontare con il lascito di uno dei film più importanti della storia del cinema. Non c’è alcuna esagerazione in questa affermazione, se il titolo in questione è Toy Story, che nel 2025 celebra trent’anni dalla sua uscita nelle sale. Primo film realizzato interamente in computer graphic (premiato con un Oscar speciale), primo lungometraggio Pixar, primo passo verso una nuova era dell’animazione: Toy Story ha rappresentato un punto di svolta, non solo tecnico, ma anche culturale e narrativo. Dietro la regia c’è John Lasseter, mente e cuore della Pixar di quegli anni, che riesce a tradurre in immagini la propria poetica: un misto di ingenuità infantile, struggimento universale e amore per le storie capaci di parlare a tutte le età. Dopo una serie di cortometraggi straordinari – piccoli esperimenti visivi ed emotivi come Luxo Jr. o Tin Toy – il salto al lungometraggio si concretizza in questo racconto che fonde intrattenimento puro e profondissima umanità. La trama è semplice ma potentissima: nella stanza del piccolo Andy i giocattoli prendono vita ogni volta che il bambino esce. C’è una gerarchia, c’è un ordine, c’è un equilibrio. Finché, il giorno del compleanno, arriva Buzz Lightyear, giocattolo spaziale di ultima generazione, che minaccia il ruolo di Woody, lo sceriffo cowboy, fino ad allora leader e giocattolo preferito. Da questo scontro nasce un’avventura indimenticabile, che porterà i due protagonisti a perdersi, a scontrarsi, a conoscersi e infine a comprendersi, nel tentativo di ritornare a casa. I riferimenti sono molteplici: si va dalle fiabe classiche (Il soldatino di piombo, La pastorella e lo spazzacamino) a suggestioni che attraversano la fantascienza, l’horror anni ’80 (indimenticabile la camera di Sid, sorta di laboratorio delle torture giocattolesche) e il buddy movie. Il personaggio di Buzz, convinto di essere un vero Space Ranger, non è solo fonte inesauribile di gag, ma anche il cuore tragico del film: il suo percorso verso l’autoconsapevolezza è uno dei tratti più intensi mai scritti per un film d’animazione. Il ritmo è perfetto, i personaggi memorabili, e alcune scene – su tutte l’incontro con gli alieni del Pizza Planet – sono entrate nell’immaginario collettivo. Ma Toy Story è soprattutto un film che tocca il cuore. Parla di crescita, di gelosia, di amicizia, di paura dell’abbandono. Parla di tempo che passa e di cose che cambiano. E lo fa con leggerezza e originalità. Non è un caso che i seguiti – in particolare il secondo e soprattutto l’intensissimo terzo capitolo – siano stati accolti con enorme entusiasmo e considerati tra i migliori sequel della storia del cinema. Toy Story è un classico vero, un caposaldo che ha gettato le fondamenta per un nuovo modo di fare cinema d’animazione. Da vedere e rivedere.