la rubrica

giovedì 17 Luglio, 2025

Dalle fragilità di Superman al ritmo impetuoso di Emilia Perez: cosa vedere al cinema

di

Tra le perle da recuperare «Una pallottola spuntata» disponibile su Netflix

SUPERMAN


(USA 2025, 129 min.) Regia di James Gunn, con David Corenswet, Rachel Brosnahan, Nicholas Hoult

La nuova incarnazione cinematografica dell’Uomo d’Acciaio porta la firma di James Gunn, oggi alla guida dei DC Studios, già regista della trilogia dei Guardiani della Galassia e di The Suicide Squad. Citare i suoi precedenti lavori basta a farsi un’idea di cosa aspettarsi da questo reboot, che però non riparte dalle origini, ma si inserisce in un universo in cui Superman è già un’icona riconosciuta, anche se non da tutti amata. Fin dalle prime sequenze, il film mostra infatti un eroe in difficoltà: vulnerabile, a tratti incapace di gestire le relazioni, guidato da un ideale assoluto che cozza con le ambiguità e i compromessi del nostro tempo. È un Superman fragile, che perde il suo primo scontro, che non riesce nemmeno a tenere a bada il supercane Krypto, ma che proprio per questo appare più umano, più vero, più quotidiano e più contemporaneo. È questo il cuore dell’operazione: restituire centralità alla figura del supereroe senza mascherarne i dubbi, anzi, facendo di questi la sua forza. Perché, per quanto possa vacillare, Superman è sempre lì, pronto ad agire quando serve, che tu sia un’autista in difficoltà, un coraggioso venditore di falafel o perfino uno scoiattolo. La sua è una fiducia incrollabile nella vita, e salvarla è il suo compito. Sempre. Banale? Vecchio? No, anzi. In un mondo che si muove ormai per interessi privati, cinismo e distrazione, Superman diventa un simbolo radicale. Un eroe “punk rock”, come viene definito nel film, perché resta per scelta fedele a un’etica che sembra fuori dal tempo. Il suo avversario è Lex Luthor – interpretato con sottile ferocia da un ottimo Nicholas Hoult – magnate della tecnologia senza scrupoli, esperto di manipolazione e guerra, disposto a tutto pur di distruggere chi rappresenta un ostacolo alla sua visione. È lui il motore di una campagna di screditamento ben orchestrata, e dietro le sue mosse si muovono conflitti geopolitici, eserciti privati, social media gestiti (letteralmente) da scimmie e un intero sistema di violenza, controllo e potere. Non sempre tutto scorre alla perfezione: il film ha un andamento narrativo irregolare, probabilmente condizionato da un montaggio previsto diversamente (facile immaginare un futuro director’s cut). Alcune transizioni risultano forzate, certi passaggi sbrigativi o confusi. Ma ciò che resta è un’opera viva, capace di emozionare e divertire. Il cast funziona e le sequenze d’azione – soprattutto quelle con la Justice Gang – garantiscono l’intrattenimento. Ma ciò che più colpisce è lo sguardo morale di Gunn, che non rinuncia alla satira, all’emozione, né alla possibilità di dire qualcosa sul nostro presente (con riferimenti più o meno espliciti alla geopolitica attuale). Un racconto adatto all’oggi, che non si vergogna del proprio eroismo. E che, anzi, lo rivendica come valore fondativo. In attesa dei prossimi sviluppi dell’universo DC, questo nuovo Superman rappresenta un aggiornamento intelligente e più riuscito della media dei cinecomics contemporanei. Da vedere in sala, senza pregiudizi.

SPECIALE CINEMA CAPOVOLTO – MARTEDÌ 22 LUGLIO

EMILIA PÉREZ

(Francia/Messico/Belgio 2024, 132 min.) Regia di Jacques Audiard, con Karla Sofia Gascón, Zoe Saldana, Selena Gomez

Candidato a 13 premi Oscar – un record per un film non in lingua inglese – dopo il trionfo a Cannes, dove ha ricevuto il Premio della Giuria e il riconoscimento collettivo al cast femminile, Emilia Pérez si è poi aggiudicato soltanto due statuette: quella per la portentosa performance di Zoe Saldana come non protagonista e quella per la canzone “El Mal”. Un risultato deludente per uno dei film più originali e discussi degli ultimi anni, condizionato da una serie di polemiche che ne hanno rallentato la corsa verso un trionfo che sembrava scontato. Alcune contestazioni – come quelle legate al fatto che solo una delle protagoniste fosse realmente messicana, o alla rappresentazione semplificata dei cartelli della droga – sono state comprensibili; altre, più scivolose, hanno riguardato alcuni vecchi tweet attribuiti alla protagonista, pubblicati prima della sua transizione, giudicati da molti omofobi. Il film, così, è diventato oggetto di un dibattito acceso che ne ha in parte offuscato il valore. Ed è un peccato, perché Emilia Pérez è un’opera davvero coraggiosa, che si inserisce perfettamente nella galleria di ritratti incompiuti, frantumati e inquieti che Jacques Audiard ha costruito nel tempo. La protagonista – un narcotrafficante in cerca di redenzione, che decide di cambiare sesso e identità per iniziare una nuova vita – diventa il simbolo di una ricerca universale: quella di essere finalmente se stessi, al di là delle gabbie imposte dall’identità, dalla colpa, dal potere. Ancora una volta Audiard esplora con lucidità e compassione l’ambiguità dell’animo umano, restituendo un’opera potente, profonda e travolgente. Ma è soprattutto il modo in cui lo fa a lasciare a bocca aperta. Emilia Pérez è un film che sfugge a ogni classificazione: musical e melodramma, noir e favola queer, satira e thriller politico. Il ritmo è impetuoso, la messa in scena audace, la colonna sonora (firmata dalla cantautrice Camille e dal compositore Clément Ducol) è parte integrante della narrazione. Perché la componente musicale è l’anima stessa del film: è ciò che esprime, più di tutto, il debordare delle emozioni. Soprattutto dell’amore. Tutto è in continua evoluzione, come i personaggi. Al diavolo la verosimiglianza degli eventi: qui conta la traiettoria emotiva, non la cronaca. Il film parla il linguaggio del corpo, della trasformazione, del desiderio di liberazione. Il cast è formidabile: Karla Sofía Gascón – prima attrice trans premiata a Cannes – offre una prova magnetica e sorprendentemente fragile; Zoe Saldana è intensa ed energica come non mai; Selena Gomez, nel ruolo più maturo della sua carriera, convince e sorprende. Certo, Emilia Pérez non è un film per tutti. Ma è un’opera importante, libera, radicale. Una storia di seconde possibilità, girata con l’energia visionaria di un autore che non ha mai avuto paura di osare.

EVENTO SPECIALE

4 MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO – EDIZIONE RESTAURATA 4K

(Italia 1971, 102 min.) Regia di Daro Argento, con Michael Brandon, Mimsy Farmer

VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI

Dopo essere stato a lungo introvabile per problemi legati ai diritti di distribuzione, torna finalmente in sala – nello splendore di un restauro in 4K – uno dei film più amati e misteriosi del primo Dario Argento. Capitolo conclusivo della cosiddetta “trilogia degli animali”, che segue L’uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code, 4 mosche di velluto grigio è un’opera affascinante proprio perché di passaggio: chiude la fase più classicamente thriller della carriera del regista e apre la strada a territori più visionari, onirici e perturbanti, anticipando l’evoluzione che porterà ai capolavori Profondo rosso e Suspiria.
La trama segue la struttura del giallo: Roberto, giovane batterista, si sente seguito da un uomo misterioso. Quando lo affronta, finisce per causarne accidentalmente la morte. Ma qualcuno ha visto tutto. Da quel momento, una presenza invisibile comincia a tormentarlo con foto e messaggi. Il film si muove tra paranoia e allucinazione, lasciando che la tensione cresca in un crescendo di ambiguità e senso di minaccia. Tra i primi titoli del regista è forse il più libero, audace, visionario. A colpire oggi è soprattutto la maestria tecnica: il montaggio, il lavoro magistrale sulla luce e sulle location (un mosaico urbano che unisce Roma, Torino e Milano), le trovate visive di rara potenza – su tutte il passaggio dal giorno alla notte nella celebre sequenza del parco. E poi c’è il finale, un’autentica sinfonia visiva e sonora: girato a rallentatore, con una potenza emotiva sorprendente, e costruito in simbiosi con le musiche di Ennio Morricone. All’epoca il film fu un grande successo anche al botteghino – più di due miliardi di lire incassate in Italia – e consacrò definitivamente Argento tra i maestri del brivido moderno. Rivederlo oggi, restaurato e restituito alla sala, è un’occasione imperdibile per riscoprire un momento di transizione e di straordinaria libertà creativa nel personale percorso dell’autore.

STREAMING – PERLE DA RECUPERARE

UNA PALLOTTOLA SPUNTATA

DISPONIBILE SU NETFLIX

(The Naked Gun: From the Files of Police Squad!, USA 1988, 85 min.) Regia di David Zucker, con Leslie Nielsen, Priscilla Presley, O. J. Simpson

Scritto dal trio che ha sostanzialmente inventato la comicità demenziale statunitense – David Zucker, Jerry Zucker e Jim Abrahams (scomparso lo scorso novembre) – insieme a Pat Proft, Una pallottola spuntata piomba su Netflix in un periodo non casuale. Il 30 luglio, infatti, arriverà nelle sale italiane il quarto capitolo della saga, con Liam Neeson nei panni del figlio dell’ispettore Frank Drebin, personaggio reso immortale dalla gommosa mimica e dall’assurdo aplomb di Leslie Nielsen (1926-2010). L’occasione è dunque perfetta per un ripasso: un tuffo nella travolgente sequenza di gag – verbali (da gustare in lingua originale, anche se il nostro doppiaggio fa quel che può per restituire doppi sensi e giochi di parole) e soprattutto visive – con momenti di improvvisa volgarità liberatoria che suscitano ilarità quasi automatica. Il film si ispira a una serie televisiva creata dagli stessi autori, Police Squad! (1982), giunta in Italia solo dopo il successo cinematografico col titolo Quelli della pallottola spuntata. La trama è una scusa: Drebin indaga sull’aggressione di un collega che stava seguendo una pista legata a un traffico di eroina e finisce coinvolto in un complotto per assassinare la Regina Elisabetta II attraverso un sistema di ipnosi dei sicari… Il risultato è un’escalation di assurdità a più livelli, amplificata dall’ineffabile serietà del protagonista, fenomenale nel riunire i cliché dell’eroe da poliziesco e la loro parodia più spietata. Restano indimenticabili: l’incipit a Beirut, la sequenza infinita di infortuni subiti da Nordberg (O. J. Simpson), il microfono lasciato acceso nel bagno, la fuga sul cornicione, l’inseguimento con l’auto della scuola guida, il rapporto “protetto” tra i protagonisti, la devastante partita di baseball con esecuzione dell’inno nazionale compresa. Come già accadeva nel precedente e geniale L’aereo più pazzo del mondo, il trio procede per accumulo comico, senza risparmiare niente e nessuno, mantenendo un ritmo invidiabile all’interno di una durata contenuta. Certo, oggi alcune gag possono apparire ingenue o invecchiate e l’umorismo non è decisamente per tutti i palati. Ma l’anarchia generale, perfettamente incanalata dentro i codici del genere, fa sì che il film resti ancora oggi godibilissimo e più intelligente di quanto voglia sembrare. In attesa di scoprire che piega prenderà il nuovo capitolo, questo primo film è un grande classico della comicità nonsense e può ancora sorprendere chi non lo conosce.