Sanità

domenica 15 Giugno, 2025

Tempi di attesa infiniti e costi troppo alti: quarantamila trentini rinunciano a prestazioni sanitarie

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Prima del Covid la quota di chi rinunciava alle visite specialistiche era nettamente sotto il 5%

Nel 2024 i trentini che hanno rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria sono il 7,4% della popolazione, circa 40mila persone, in netto aumento rispetto all’anno precedente, quando erano meno di 30mila, il 5,4% del totale dei residenti. Hanno rinunciato a test diagnostici e visite specialistiche quasi 25mila donne, il 9% del totale, e poco più di 15mila uomini, il 5,7% dei maschi trentini. Il dato provinciale resta inferiore alla media nazionale, 9,9% anch’essa in netta crescita, e, sia pur di poco, all’8,1% del Nord est, ma è superiore a Bolzano, dove siamo al 5,3%. Prima del Covid la quota di chi rinunciava a prestazioni sanitarie era nettamente sotto il 5%: il 3,5% della popolazione nel 2017, il 4,4% nel 2028, il 3,2% nel 2029. Poi c’è stata, come in tutta Italia, l’impennata della pandemia. con l’8,1% di rinunciatari nel 2020 e il 9,1% nel 2021. Nel 2022 e 2023 si era tornati a poco più del 5%. Ora il nuovo balzo. Che, secondo la Fondazione Gimbe, è dovuto in primo luogo all’esplodere delle liste d’attesa. «Se tra il 2022 e il 2023 l’aumento della rinuncia alle prestazioni era dovuto soprattutto a motivazioni economiche – spiega il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta – tra il 2023 e il 2024 l’impennata è stata trainata in larga misura dalle lunghe liste di attesa».
I dati sulla rinuncia alle prestazioni sanitarie sono stati elaborati dall’Istat a partire dall’Indagine sugli aspetti della vita quotidiana e inseriti tra gli indicatori Bes, Benessere equo e sostenibile. L’ultimo aggiornamento è di poche settimane fa ed è riferito, appunto, all’anno scorso. Secondo la definizione Istat, si tratta di persone che dichiarano di aver rinunciato nell’ultimo anno a visite specialistiche, escluse quelle odontoiatriche, o esami diagnostici pur avendone bisogno, a causa di almeno uno dei seguenti motivi: tempi di attesa troppo lunghi, problemi economici (impossibilità di pagare, costi eccessivi), difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi).
Nel 2024, afferma la Fondazione Gimbe, «il fenomeno ha registrato un’allarmante impennata». Secondo le elaborazioni Gimbe sui dati Istat, il 9,9% della popolazione italiana – circa 5,8 milioni di persone – ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, rispetto al 7,6% del 2023 (4,5 milioni di persone) e al 7% del 2022 (4,1 milioni di persone). «Negli ultimi due anni – commenta Cartabellotta – il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l’intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di vantaggio relativo, come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato».
Il netto aumento delle rinunce a visite ed esami rilevato nel 2024 è dovuto soprattutto ai lunghi tempi d’attesa: la quota di popolazione che dichiara di aver rinunciato per questo motivo è passata infatti dal 4,2% del 2022, al 4,5% del 2023, fino a schizzare al 6,8% l’anno scorso. Anche le difficoltà economiche continuano a pesare: la percentuale di chi rinuncia per motivi economici è aumentata dal 3,2% del 2022, al 4,2% del 2023, fino al 5,3% del 2024. «Il vero problema – osserva Cartabellotta – non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del Servizio sanitario nazionale di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute». Va ricordato che il questionario Istat consente risposte multiple: il cittadino può indicare contemporaneamente sia i motivi economici sia i lunghi tempi d’attesa tra le cause della rinuncia. «È proprio l’intreccio di questi due fattori a rendere il fenomeno ancora più allarmante: quando i tempi del pubblico diventano inaccettabili, molte persone sono costrette a rivolgersi al privato; ma se i costi superano la capacità di spesa, la prestazione diventa un lusso. E alla fine – conclude Cartabellotta – per una persona su dieci la scelta obbligata è rinunciare».