Commercio
mercoledì 31 Luglio, 2024
Rovereto, anche Jinping Cao chiude il negozio: «Non passa nessuno, vado via»
di Anna Maria Eccli
Tempi davvero difficili per il commercio Vecli, Andreatta, Perini hanno gettato la spugna e ora anche borsette e bijoux non reggono

Ogni volta che un negozio abbassa definitivamente le serrande è una sconfitta per l’intera città, un vero dispiacere per chi ama Rovereto e la vorrebbe forte nell’identità e gentile nei modi. Ma quando a chiudere l’attività è una persona sorridente, educata (qualità non sempre presente), dai modi che si distinguono come Jinping Cao, dispiace ancora di più, lo si vive come un’ingiustizia. Già, perché alla chiusura delle botteghe Perini, Andreatta, Vecli, ora dobbiamo anche aggiungere quella, già decisa per il 15 novembre, del negozio di accessori di Via Giovanna Maria della Croce. Bottega dedicata all’oggetto bello, dai guanti coloratissimi alle collane, orecchini, borsette, poco costose ma con modelli carini. «Gli articoli che vendo piacciono – ci dice la signora Cao – ma il problema principale è che qui non c’è passaggio. A Rovereto ormai si fermano poche persone, i giovani preferiscono prendere la macchina e uscire dalla città, per fare shopping. La gente si lamenta anche perché il parcheggio è oneroso; due 2 euro all’ora per venire in centro a fare un giro, o per fermarsi con gli amici in un bar, è veramente troppo. Senza contare che se sbagli nel ritorno di mezzora ti ritrovi signore multe da pagare». Proviamo a dire che, forse, la politica dell’invitare a lasciare la macchina all’esterno della città è giusta: «Lasciamo stare il fatto che uno non è tranquillo nemmeno a camminare, con tutte le bici che sbucano da ogni lato – ci risponde Jinping, forte dell’esperienza fatta, anche con i turisti – è evidente che, spesso, il Follone è pieno e le persone perdono interesse a entrare in città, preferiscono tirare dritto verso Trento, o Verona. Una volta che si è instaurata una certa abitudine, è poi difficile tornare indietro». Nata in Cina, ma in Italia da 15 anni, Jinping parla un italiano fluente e corretto, merito anche del fatto che ha sposato un italiano, Nicola Coraiola. Sempre gentile nei modi, è anche molto determinata: «Le spese che un commerciante deve affrontare sono talmente alte da rendere difficile, quasi impossibile, la sopravvivenza – dice – paga il commercialista, le tasse, l’affitto, le spese per l’energia elettrica… A fine mese arrivi a fatica». A fronte di chi, come lei, vende beni non indispensabili, ma con classe, c’è poi una cittadinanza che ha ormai perso il gusto di entrare in un panificio vero, che non c’è; gente che se rompe i sandali è costretta a camminare scalza alla ricerca di un calzolaio, che non c’è; consumatori che se sbagliano bar si sentono persino negare con fare sprezzante un sorso d’acqua da bere col caffè. L’antifona noiosa sulla fine d’una città è trita e ritrita, se il governo cittadino pubblico non ha saputo trovare soluzioni (le prime porzioni a soffrire di saracinesche abbassate sono state Via Rialto, Via della Terra, Via Portici… le più suggestive a ben guardare, esattamente quelle che potrebbero fare la differenza), anche l’esistenza di certi esercenti dai modi tribali non contribuisce al benessere. Eppure rilanciare il commercio, fare provare il piacere di percorrere le strade cittadine, prima d’essere una priorità “di destra” o “di sinistra” dovrebbe essere un segnale di civiltà da gestire competenza e, forse, con un pizzico di genialità imprenditoriale.
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