La storia
giovedì 11 Dicembre, 2025
Trento, la dottoressa Gabriella Facchini va in pensione: «Lasciare i pazienti non è facile. Burocrazia e carichi hanno amplificato la stanchezza»
di Alberto Folgheraiter
Dal 1993 al 31 dicembre 2025 è stata punto di riferimento sanitario in città per oltre 1500 persone, con il suo studio in via Madruzzo
La sanità che soffre. E i pazienti che soffriranno ancora di più. I Pronto soccorso degli ospedali sono intasati come certe piste da sci in alta stagione. Anche qui domina il bianco: del codice di accesso all’ambulatorio. Colpa dei medici di base? Neanche per idea. Colpa, spesso, del dott. Google, della «cura fai da te», con la medicina del territorio scavalcata quotidianamente da chi ha fretta, da chi crede di trovare risposte rapide, da chi pensa di sapere tutto lui. Intanto i «vecchi» medici di famiglia vanno in pensione. Fra un paio di settimane, sulla piazza di Trento, appenderanno il camice al chiodo almeno tre professionisti. Tra costoro la dottoressa Gabriella Facchini (1957), laureata nel 1983 a Padova-Verona, dieci anni di guardia medica sull’altipiano di Pinè, dal 1993 al 31 dicembre 2025 punto di riferimento sanitario in città per oltre 1500 persone, con il suo studio in via Madruzzo.
Di lei ci eravamo occupati qualche anno fa. Lei abitava in una palazzina di via Giovanelli, accanto all’ospedale militare di Trento che sorgeva dove oggi c’è un parcheggio (di fronte alle Camilliane). Era una bambina dai riccioli biondi che salutava dal poggiolo i giovani militari degenti in quell’ospedale. Uno di costoro si faceva calare un cestino appeso a uno spago e vi metteva dentro ciliegie o caramelle. Ebbene, quel militare, affetto da un osteosarcoma al bacino, un tumore maligno che non lasciava scampo, si chiama Vittorio Micheli. Era il 1963. Dopo un viaggio a Lourdes, fatto controvoglia sul treno degli ammalati, guarì inspiegabilmente. La Chiesa disse che quello era un «miracolo», ovvero «un evento di cui la scienza medica non sapeva (almeno allora) dare spiegazione».
Vittorio Micheli, che vive a Borgo Valsugana, oggi ha 85 anni. Quella che in un’intervista a il T ricordava come una bambina adesso va in pensione. Mentre la medicina, 60 anni dopo, non ha ancora dato una spiegazione a quella guarigione misteriosa.
Dottoressa, lei sta facendo i pacchi, i suoi pazienti saranno costretti a fare le valige. Verso quale meta?
«A chi ha saputo e mi ha chiesto non ho potuto dare indicazioni. Ho detto loro solo che l’Azienda sanitaria provvederà a indicare l’elenco dei medici disponibili e che tra quei nomi dovranno decidere a chi affidarsi».
Se ne va insalutata ospite?
«Ma no, ho cercato di avvertire i miei pazienti. Non tutti, coloro che dal mese di ottobre si sono rivolti a me. Tra qualche giorno ci penserà l’Azienda sanitaria ad avvertirli che dovranno cercarsi un altro medico di famiglia».
I tempi della burocrazia. C’entra anche questo nella sua scelta di lasciare la medicina del territorio?
«Il carico di lavoro e la burocrazia che non aiuta, in qualche modo hanno alimentato la stanchezza. E poi l’età che si fa sentire. Certo, lasciare i miei pazienti non è facile».
Che cosa le dicono?
«Che sono stata un punto di riferimento per loro».
Il magone è dietro l’angolo. Intanto «largo ai giovani», si sarebbe detto una volta…
«Largo ai giovani se ce ne fossero, come c’erano quando mi sono laureata io. Oggi la situazione si è completamente rovesciata».
Mancata programmazione e scarsa lungimiranza di una classe politica che invece di guardare alle generazioni future teneva d’occhio le elezioni venture. Ma adesso anche Trento ha la propria facoltà di medicina.
«Non so se potrà risolvere la carenza di medici. Anche perché, tra coloro che tra qualche anno pronunceranno il giuramento di Esculapio, quanti sceglieranno la medicina del territorio?».
Al momento le prospettive sembrano sconfortanti. L’annunciato avvio delle «case di Comunità» potrà risolvere il problema ingorghi al Pronto soccorso?
«Francamente non lo so. Queste settimane sono state pesanti: l’influenza di stagione (piuttosto virulenta), la chiusura di una stagione professionale… La stanchezza si fa sentire».
Che cosa farà da «grande»?
«Intanto mi prendo un periodo di riposo, poi magari la nostalgia avrà il sopravvento e tornerò ad occuparmi di medicina. Chissà?»
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