L'intervista

domenica 17 Settembre, 2023

Sara Simeoni, ex campionessa olimpica: «Tamberi estroso. Jacobs? Tanta concorrenza»

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Medaglia d’oro olimpica e europea, ha detenuto anche il record del mondo: «Il primato mi rese la vita impossibile»

Cosa resterà degli anni Ottanta? Di sicuro, quanto avvenne nella finale del salto in alto alle Olimpiadi di Mosca. Era il 26 luglio del 1980, quando Sara Simeoni sulla pedana dello stadio Lenin conquistò la medaglia d’oro con la misura di 1,97 metri e dal suo microfono Rai la voce di Paolo Rosi entrò nelle case di milioni di italiani: «Oro, medaglia d’oro, Sara Simeoni!». Nemmeno le Olimpiadi scamparono alla Guerra Fredda; un anno prima, nel 1979 le truppe dell’Unione Sovietica avevano occupato l’Afghanistan, e per tutta risposta gli americani boicottarono i giochi di Mosca (i sovietici avrebbero ricambiato quattro anni dopo a Los Angeles). Noi italiani, da sempre abili re travicelli, trovammo comunque il modo per andare a Mosca: gli atleti dei corpi militari a casa, niente inno di Mameli e niente bandiera tricolore alle premiazioni. «Sul podio suonavano l’inno olimpico, così mi venne da cantare “Viva l’Italia” di Francesco De Gregori. Prima di salire sul podio, l’inno di Mameli lo cantammo eccome, però!», ricorda Sara Simeoni, settant’anni compiuti quest’anno, un’icona dello sport italiano eletta «Atleta del Centenario» insieme ad Alberto Tomba in occasione dei 100 anni del CONI.

Sara Simeoni atleta del secolo. Che effetto le fa?
«Una grande soddisfazione, perché il riconoscimento è venuto quando avevo smesso da anni e non mi aspettavo più niente. In più è arrivato da atleti olimpici che hanno fatto un percorso come il mio».

A Mosca la sua rivale più grande, la tedesca dell’Est Rosemarie Ackermann, rimase giù dal podio, quarta. Incredibile…
«Per anni era stata lei la più forte, noi al massimo potevamo puntare a un posto sul podio. Poi un po’ alla volta ce la feci a batterla. Fu quando capii che anche una come lei poteva aver paura di me».

Vi siete più riviste?
«Ci scrivevamo e ogni tanto ci vedevamo. Ora non ci sentiamo da un po’».

Due stili opposti: la Ackermann saltava ventrale, lei Fosbury…
«Da ragazza saltavo a forbice, poi avrei dovuto imparare il ventrale, ma a certe misure mi faceva impressione. Fu così che svoltammo sul Fosbury. Allora le attrezzature, non erano come quelle di oggi: ho iniziato a saltare sulla terra battuta, nella zona di caduta mettevano dei sacconi di gomma piuma coperti da un telo e sulle ginocchia porto ancora i segni delle cadute, l’asticella di alluminio era triangolare e se ci finivi sopra faceva un male cane alla schiena. Per non parlare delle scarpe che certo non erano tecniche e ti provocavano dolori vari alle articolazioni».

Fu l’olimpiade di Sara Simeoni e Pietro Mennea, voi due il manifesto di un’epoca. Che rapporto avevate tra di voi?
«Abbiamo passato dieci anni ad allenarci assieme a Formia. Tra noi non c’era un rapporto di vera amicizia, Pietro era uno che si faceva gli affari suoi, aveva un suo gruppetto di amici. Ci si vedeva al campo e dai massaggiatori; finiva lì, neanche una pizza la sera».

Distanti anche in politica: lei col centrosinistra, lui col centrodestra. «Che vita! Pietro Mennea e Sara Simeoni son rivali alle elezioni», cantava Samuele Bersani.
«Ma no. Io con la politica non ho mai avuto nulla a che fare. Avevo sempre declinato ogni invito, ma alle Regionali del 2015 volli dare fiducia a una donna (Alessandra Moretti candidata del Pd, ndr). Non è stata una bella esperienza».

Due uomini fondamentali nella sua storia: il professor Walter Bragagnolo e suo marito Erminio Azzaro.
«Il professor Bragagnolo mi ha avviata all’atletica, poi il salto di qualità l’ho fatto con Erminio quando ho potuto avere un allenatore che si dedicava a me. Vedevo le mie avversarie e mi dicevo “Cavolo, ma io non faccio niente di quello che fanno loro!”. Così, finito il liceo artistico, ho deciso di provare ad allenarmi seriamente per vedere dove potevo arrivare. Andai a Formia, perché a Verona l’impiantistica non era un granché allora e non ti potevi allenare indoor. La scelta si rivelò giusta perché i risultati vennero subito».

Veniva a gareggiare anche a Trento…
«Certo! Al Donna Sprint, meeting tutto al femminile organizzato dall’Ataf Trento il cui presidente era Giuseppe “Bepi” Groff, un pittore importante, nonché un amico e una persona eccezionale».

4 agosto 1978: 2,01 metri, il record del mondo a Brescia. Sono passati 45 anni. Come lo visse quel record?
«Fu un record “terreno”, nel senso che non mi è mai interessato raggiungere misure lunari che rimanessero inviolate per trent’anni. Quello che ho fatto non doveva essere qualcosa di irraggiungibile: “se ci sono riuscita io, con l’impegno ci possono riuscire anche altri” pensavo. Il record mi rese la vita impossibile, ero costantemente sotto l’assedio dell’invadenza prepotente dei giornalisti assiepati fuori da casa mia. Non avevo più nemmeno cinque minuti per me. Allora mica avevi uno staff attorno a te come oggi, Erminio fu bravissimo a farmi da scudo e a prendersi la parte del “cattivo” (ride, ndr)».

Oggi c’è Tamberi a volare in alto. Non potrebbe essere più diverso da lei. Come lo vede?
«È stato bravissimo a riconfermarsi. È un ragazzo estroso cresciuto in un mondo diverso dal mio. Con i suoi atteggiamenti si carica e ha trovato una sua dimensione. Ha anche capito che così attrae più interesse attorno a sé».

Jacobs?
«Fantastico a Tokyo, ma si sapeva che le cose non sarebbero state facili per lui. La concorrenza nella velocità è davvero tanta e forte».

Dopo anni di buio, l’atletica italiana è rinata. Come se lo spiega?
«Parole a parte, nei fatti non si lavorava bene su un progetto a livello giovanile. Ora le cose sono cambiate e i risultati si vedono, anche se spesso celebriamo prestazioni che hanno una valenza nazionale, ma non internazionale».

Il «Circolo degli anelli» durante le Olimpiadi di Tokyo l’ha resa un personaggio televisivo. Quanto si è divertita?
«Molto. “Cosa cercate da me? Son quarant’anni che non vado in tv, e lo sport lo seguo poco perché il modo nuovo di concepirlo non mi appassiona”, gli dissi. È andata bene. È stato molto bello il coinvolgimento delle famiglie degli atleti, e in compagnia di altri campioni mi sono proprio divertita».

La rivedremo il prossimo anno a Parigi?
«Ah questo non lo so».

Le sue acconciature in trasmissione hanno fatto colpo…
«È successo che la pettinatrice delle prime due puntate fosse assente. Un tal Ricky, che era già presente, ha pensato bene di acconciarmi i capelli una sera così e una sera cosà. Se ne inventava ogni volta una nuova. La prima sera che mi sono presentata con la sua acconciatura, sono stata accolta da un’ovazione in studio. Io sono stata al gioco, perché ero curiosa non essendo mai stata nella mani di questi creativi. Anche questo è stato molto divertente».

E ora dal parrucchiere come vanno le cose?
«No, no. Sono tornata al tradizionale (risata, ndr)».

L’estate com’è andata?
«Un viaggio in camper con mio figlio in Abruzzo. Siamo stati sul Gran Sasso, posti bellissimi, ma ho anche capito che ad agosto è meglio rimanere a casa, come ha fatto Erminio che non ha voluto perdersi in tv una sola gara dei mondiali di atletica di Budapest».

Lo scorso maggio a casa i ladri le hanno rubato la medaglia d’oro di Mosca: un furto a dir poco odioso. I tanti appelli per la restituzione sono serviti a qualcosa?
«Più sentito nulla. Mi hanno portato via tutto, non solo la medaglia d’oro. Persino il mio abito da sposa si sono presi».

Lei è nata e cresciuta a Rivoli Veronese, alle porte del Trentino. Una come lei avrebbe potuto andare a vivere ovunque nel mondo. E invece è sempre rimasta lì: perché?
«Sono stata fortunata a fare sport e un certo tipo di vita in gioventù. Saltavo in alto, ma ho sempre avuto i piedi per terra. Coi risultati che ho fatto, avrei potuto andare a vivere chissà dove. Ma quando uscivo da uno stadio, mi piaceva essere la persona che ero, la Sara».

Viva l’Italia, Sara.
«Viva l’Italia, sempre».