L'INTERVISTA
giovedì 21 Dicembre, 2023
di Simone Casalini
Sotto la sede dell’arcidiocesi di Trento il cicalare dell’ultima compravendita natalizia rimbalza tra parcheggi saturi e aria di assopito svago. Tempo frenetico quello del consumo che don Lauro Tisi osserva, setacciando le tante vite che scorrono in Trentino, molte delle quali impigliate in una risalita controcorrente. «Registriamo un affaticamento sociale importante, le nostre Caritas traboccano di nuovi poveri che arrivano da vie non consuete. Nelle valli contiamo i passaggi record dei turisti, ma mancano le abitazioni e i servizi» spiega con enfasi l’arcivescovo da sette anni e mezzo alla guida della Chiesa trentina. Alla politica consegna una missione: «Vorrei un confronto dialettico vero tra maggioranza e opposizione dove al centro ci sia il Trentino del futuro e non la sua amministrazione. Oggi tutte le forze politiche sono carenti nell’immaginazione».
Don Lauro, cosa augura per il Natale ai trentini?
«Prendo a prestito un’espressione del cardinal Martini che, di fronte alla richiesta di indicare un’urgenza, rispondeva: pensare. Il mio augurio alla comunità è di tornare a pensare, di scavare dietro ai fatti e trovare un senso e un’interpretazione più profonda del mondo che ci circonda».
Abbiamo vissuto la secolarizzazione, la fase postsecolare e ora un ritorno di domanda di spiritualità.
«Sì, non c’è solo il Natale eletto a ennesima occasione di consumo. Riscontro un’esigenza di spiritualità che non viene declinata nei canoni classici del religioso. Ha tratti differenti, è una domanda di senso che non necessita di sofismi e filosofie, ma ricerca relazioni, dialogo, ascolto. In tutte le fasce di età ritrovo questa istanza».
Una delle urgenze del tempo è quella demografica. L’Italia è scesa sotto i 60 milioni di abitanti, ne perderà 11 milioni in proiezione da qui al 2070. Anche il Trentino ha indicatori non confortanti. Cosa incide di più sulla crisi demografica? Gli aspetti economici o quelli culturali?
«Il fattore economico ha un peso non secondario, ma non credo sia il freno principale. La denatalità alberga in una popolazione che fatica ad immaginare un futuro positivo, in una popolazione di sonnambuli come l’ha definita il Censis. C’è una caduta di visione della vita e delle prospettive. Manca l’avvenire pensato come promessa».
Quindi come se ne esce?
«Frequentando concretamente le relazioni umane che sono spesso sostituite da uno schermo. Riappropriandoci della vita reale. È l’unica strada per recuperare speranza. Nelle case di cura, negli ospedali, negli hospice, nelle scuole sono colpito dalla qualità umana di educatori e insegnanti, per esempio».
Salari bassi, disuguaglianze, accoglienza negata: sono diverse le emergenze sociali che si trascinano dalla grande crisi del 2008. La Chiesa è sotto pressione?
«Tanto, più del passato. Alle nostre Caritas arrivano diversi nuovi poveri. Mi raccomando, parliamo di poveri e non di povertà perché non devono rimanere astratti. C’è un grande squilibrio della distribuzione della ricchezza. Mi impressionano i salari a livelli così bassi, anche in Trentino, mentre pochi massimizzano i profitti. Ma dare qualità di vita alle persone produce benessere per la società».
Nessun segnale di controtendenza…
«Ci sono senza dubbio. Ne cito uno: l’imprenditoria della val di Fiemme, un modello a cui fare riferimento che sa immaginare una differente conciliazione famiglia-lavoro. E con un’istituzione di autogoverno, la Magnifica comunità, che funziona ancora ed è un presidio di democrazia».
Tra le emergenze sociali c’è sempre quella dei migranti. Anche in questi giorni, a Trento, ci sono richiedenti asilo sotto i ponti…
«Non riesco a concepire come si possa ancora discutere sull’opportunità di accogliere i migranti…Senza i migranti siamo a terra, è assurdo il modo in cui viene gestita questa partita. Dovremmo inserirli nel lavoro e nella società, sono un fattore determinante anche in chiave demografica. Non capisco come ci si sia fermati alla narrazione irreale dell’invasione e non si immagini di aiutarli ad arrivare attraverso vie normali e sicure, invece di farli morire in mare o nella via balcanica».
Il ponte dell’Immacolata ha fatto registrare accessi record nelle piste da sci, oltre 200mila. La sostenibilità è un concetto intermittente e ambiguo ed è stato un tema cardine del papato di Francesco. Come si declina?
«Dobbiamo immaginare uno sviluppo turistico che non abbia come sua cifra di risultato l’aumento delle presenze. Più di un turista, peraltro, comincia a dire: io non ci sto più. E cambierà destinazione. Qualche segnale lo si percepisce. Poi evidenzierei una contraddizione tra gli enormi flussi turistici e l’esiguità di servizi e risposte sociali, come le case, che riusciamo ad offrire ai residenti nelle valli. Il turismo di massa non è sostenibile dal punto di vista ambientale, ma nemmeno sociale, temo. Infine, i cambiamenti climatici – che qualcuno banalizza o nega – sono una variante che condizionerà le strategie».
Però nella società di oggi manca anche un’alternativa, un pensiero che non sia solo affermativo dei processi in campo. Manca una dialettica. Consumo e tecnica erano due temi polarizzanti che oggi non sollecitano più nessuno.
«Sono d’accordo, si è affermato un pensiero unico che non è più sottoposto a verifica. La pace era un altro argomento che suscitava dibattito, riflessione, divisione. Oggi non più. Lo stesso vale per l’economia, come si possono costruire modelli più incentrati sulle persone e quindi alternativi a quello prevalente?».
Una delle questioni più sensibili è quella dell’Intelligenza artificiale. Qual è la sua posizione?
«Mi preoccupa che sia chiamata intelligenza un dispositivo tecnologico che noi stessi riempiamo di dati. È un dispositivo, peraltro, che lavora solo sul passato. Qui si definisce una differenza fondamentale perché l’intelligenza umana guarda al futuro ed è capace di emozione. Prendo le distanze, dunque, dall’enfasi assegnata al tema e dalla sua definizione. Dopodiché è un’opportunità, può snellire alcuni processi. Ma appunto siamo in un altro campo di analisi».
Oggi il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, presenterà la sua giunta in Consiglio e il programma di legislatura. Cosa ci vorrebbe trovare?
«Vorrei che, a livello politico, tornasse ad esserci un confronto intenso tra maggioranza e opposizione pur nella diversità delle posizioni. Il Trentino ha bisogno di essere immaginato e pensato. Una dialettica, anche conflittuale, la ritengo essenziale perché oggi tutti i partiti sono carenti nella fase di elaborazione».
Priorità?
«Sofferenza sociale, migranti, dignità del lavoro. Questo mondo che soffre non è una dépendance del mondo abbiente e deve avere attenzione».
Poi?
«I giovani. Molti di loro non votano e non gli viene nemmeno data la possibilità di esprimersi. La politica è distratta, non se ne occupa. È tutto orientato alle esigenze degli adulti. I giovani sono silenziati e non entrano in nessuna agenda».
È favorevole ad anticipare il voto a 16 anni?
«Sì, senza dubbio. Ma bisogna agire subito attraverso la politica. Nel nostro cammino sinodale le priorità emerse sono state giovani e donne».
Le cronache trentine di questi giorni ci riportano anche un rapporto sbagliato e violento tra adulti e adolescenti. La stessa violenza e disparità che cogliamo nel rapporto tra generi.
«Abbiamo la necessità di compiere uno scatto culturale, persiste un atteggiamento svalutante nei confronti della donna. Il gap salariale tra uomini e donne è un assunto vergognoso. La donna parte sempre svantaggiata o è prigioniera di cliché come quello che la vede unica responsabile dell’educazione dei figli. Tutti i mondi, compresa la Chiesa, non si sono mai davvero misurati con un’effettiva parità».
Alle elezioni provinciali del 22 ottobre ha votato il 58% dei trentini, il minimo storico. La preoccupa?
«Molto, è un segnale di disaffezione profondo che ci deve interrogare, tutti. Quasi metà della popolazione non ha espresso il proprio voto per l’Autonomia, bisogna avere ora una strategia per recuperarla alla partecipazione e alla democrazia».
L’altro giorno il Dicastero per la Dottrina della fede ha pubblicato la dichiarazione «Fiducia supplicans» – approvato dal papa – in cui si sdogana la benedizione delle coppie omosessuali anche se non il matrimonio. Cosa ne pensa?
«Lo ritengo un gesto di altissima profezia. Dobbiamo immaginare l’umano come un cantiere di lavoro. La chiesa di Gesù Cristo non divide tra buoni e cattivi. Ognuno di noi è irregolare, siamo tutti camminatori e nessuno può essere lasciato indietro».
La guerra in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese non sembrano trovare un punto di caduta, un’uscita che immagini scenari di pace.
«Quanto sta accadendo in Ucraina e Medio Oriente testimonia che nessuna guerra porta la pace. Non esistono vittorie in guerra, ma solo sconfitte. Bisogna ritrovare la fecondità del pensiero per immaginare percorsi di pace: don Tonino Bello ne è stata un’espressione straordinaria. Tutti sottolineano la tragicità del presente, ma nessuno immagina come uscirne. L’unica parola è il ricorso alle armi, alla guerra. Servirebbero oggi dei sognatori che, in realtà, sono poi le persone più concrete».
Tra pochi giorni archiviamo anche il 2023. Quale può essere il filo conduttore del 2024?
«La voglia di incontrare realmente le persone, il desiderio di alimentare la partecipazione, il mettersi a disposizione visto che il 2024 sarà anche l’anno di Trento capitale del volontariato. Il volontariato è una risorsa, ma in sofferenza. Il ricambio procede a rilento, non si riescono ad immaginare nuovi modelli. Ecco, speriamo sia un anno di ripartenza e di pensiero».
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